Quando finalmente - in "Bartleby e Compagnia" (poche pagine dopo aver usato, senza citare la fonte, la frase che fa da epigrafe al libro di Wilcock, "Lo stereoscopio dei solitari") - arriva a citare Wilcock, ecco che allora Vila-Matas usa un racconto, "Il vanesio": Fanil, il protagonista, ha pelle e muscoli trasparenti, con gli organi esposti come in una vetrina. I polmoni si infiammano, il cuore batte, le budella si contorcono, è tutto quanto in bella vista, in mostra: quando una persona ha una peculiare caratteristica, scrive Wilcock, citando Vila-Matas, invece di nasconderla, ne fa un problema, e a volte ne fa addirittura la sua ragion d'essere (fino a quando qualcuno non dice: «Senti, cos'è questa macchia bianca che hai qui, sotto il capezzolo? Prima non c'era»; ecco che allora si vede dove vuole andare a parare la sgradevole esibizione).
Sottilmente, Vila-Matas insiste sulla procedura a partire dalla quale fa un uso indiretto di elementi dello stesso testo: comincia con l'epigrafe segreta di Wilcock, continua con la citazione diretta dell'autore e con l'utilizzo del racconto, e finisce con una terza evocazione: nella parte finale di "Bartleby e Compagnia", ritorna sul tema dell'«interno del corpo visibile come in una vetrina». Questo terzo momento nel quale viene utilizzato Wilcock, lo si trova nel 62° capitolo del libro di Vila-Matas, quando il narratore parla del suo essere stato licenziato dall'ufficio (il suo capo scopre che ha ottenuto fraudolentemente un certificato medico); e in quella che è la sua rilettura di alcuni passaggi del "Diario" di Witold Gombrowicz.
Il narratore di Vila-Matas è a cena in un ristorante, dove si è portato dietro il libro di Gombrowicz. Commenta i passaggi in cui Gombrowicz prende in giro un passo di Léon Bloy - un altro diarista - e parla di quanto fosse ridicolo Bloy, che si metteva in ginocchio in «fervente preghiera». Improvvisamente, il narratore di Vila-Matas, mentre si pulisce i molari con uno stuzzicadenti, si sente «enormemente scontento» dei ristoranti e delle persone che li frequentano: «Che orrore. Il colmo era che gli uomini, dal canto loro, come se fossero diventati trasparenti, lasciavano vedere i polpacci, pur strozzati da spaventosi pantaloni. Mostravano l'interno dei polpacci nel preciso istante in cui questi venivano alimentati dagli schifosi organi dei loro apparati digestivi».
fonte: Um túnel no fim da luz
Nessun commento:
Posta un commento