mercoledì 4 agosto 2021

Crepuscolo

La morbilità capitalista e la crisi globale
- di Murray Smith, Jonah Butovsky e Josh Watterton - [*1]

Lo sconvolgimento sociale del 2020-21 potrebbe segnare una grande svolta nella storia mondiale. L'emergenza sanitaria globale causata dal Covid-19 e la crisi economica ad essa associata hanno prodotto effetti sociali e politici estremamente dirompenti e di vasta portata.  Anche prima dell'inizio della pandemia - va notato - l'economia mondiale era già sull'orlo di una grave recessione, vacillando dopo una prolungata - e notevolmente tiepida - ripresa dalla Grande Recessione del 2008-09. Dopo diversi decenni di crescita lenta, questo era tutto ciò che era in grado di offrire: austerità e persistenti problemi di redditività nella sfera del capitale industriale, dove si producono valore e plusvalore.  La recessione è stata poi notevolmente amplificata dai lockdown (totali o parziali) imposti dagli stati nazionali alle industrie, ai servizi pubblici e alle piccole imprese. Come risultato di questo processo, sono stati raggiunti livelli di disoccupazione e contrazione economica che rivaleggiano con quelli visti nella Grande Depressione del 1930.
Come affrontare questa crisi globale "combinata" avvenuta tra il 2020 e il 2021?  Con poche eccezioni, le risposte che vengono date dai media aziendali, degli strati manageriali professionali, delle élite politiche e da molti economisti appaiono notevolmente uniformi.  Coerentemente con la maggior parte delle valutazioni convenzionali circa i problemi attuali dell'umanità, questo evento viene visto come se fosse un fenomeno naturale: ecco che improvvisamente e «misteriosamente» è apparso un virus stranamente infettivo e subdolo ... Di fronte a questa emergenza, si comincia a fare un gran parlare delle decisioni e delle azioni consapevoli degli individui (professionisti della salute, politici, dirigenti d'azienda e giornalisti dei grandi media) in reazione ad essa. Questo serve a minimizzare il ruolo decisivo giocato da quelle potenti forze strutturali sociali che istigano, sfruttano e determinano la forma e la grandezza della crisi.

Contro un simile approccio, superficiale e volutamente semplicistico, una spiegazione seria della crisi deve comportare una critica scientifica delle condizioni sociali che hanno permesso l'emergere del virus e lo sviluppo della pandemia così come si è verificato. L'emergenza sanitaria di Covid-19 ha approfondito la flessione economica in cui nel 2020 l'economia mondiale stava già entrando,  e  in questo modo le ha dato una forma definita. Inoltre, le relazioni sociali fondamentalmente conflittuali che definiscono il capitalismo hanno contribuito in modo decisivo all'origine, al corso e alle conseguenze della pandemia.
Secondo autorevoli autorità mediche ed epidemiologi, la mortalità dovuta al Covid-19 - misurata come «eccesso di mortalità» rispetto alle medie osservate negli ultimi anni - è stata stimolata dalla presenza, in parte della popolazione, di alcune «co-morbilità» ovvero «condizioni di base»,quali malattie polmonari, immunità compromessa, malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione e cancro. E con certezza, questa sembra essere una spiegazione perfettamente ragionevole.  Ma tali morbilità clinicamente diagnosticabili non sono affatto le uniche «condizioni di fondo» che devono essere considerate per comprendere correttamente le radici della pandemia, la sua diffusione ineguale, così come la contrazione dell'economia globale che la pandemia ha innescato.  Un'attenzione seria va rivolta soprattutto ai fattori determinanti sociali delle malattie: le condizioni socio-economiche, i contesti in cui si danno i comportamenti individuali, le minacce alla salute e al benessere di intere popolazioni. All'inizio, vanno considerati i determinanti della salute delle popolazioni, così come sono stati evidenziati da tempo dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da una legione di altri esperti. Quelli che seguono possono essere menzionati come i fattori che contribuiscono maggiormente all'emergere delle morbilità umane in generale (definite queste, come malattie o come disabilità che allontanano le persone dallo «stato normale»). Sono i determinanti che hanno creato le condizioni che hanno portato alla diffusione del virus SARS-CoV-2:

* Aumento della disuguaglianza di reddito e ricchezza;

* Investimenti inadeguati nella sanità pubblica;

* Scarsità e costo del cibo prevalentemente associati a fame e a obesità;

* Infrastrutture sociali in decomposizione o inadeguate (inclusi ospedali, cliniche, strutture di assistenza a lungo termine e unità di terapia intensiva);

* Ambienti urbani malsani (insieme ad abitazioni degradate e infestate da parassiti, la carenza di mercati di generi alimentari freschi e alla carenza di spazi verdi e aree ricreative pubbliche);

* Luoghi di lavoro stressanti e mentalmente debilitanti per i lavoratori (dove bisogna scegliere, ad esempio, tra andare al lavoro anche in caso di malattia o perdere una parte di un reddito essenziale);

* Governance politica volta a massimizzare i profitti aziendali piuttosto che promuovere la salute e il benessere dei lavoratori (ad esempio, le fatidiche decisioni dei governi degli Stati Uniti e del Regno Unito, a febbraio-marzo 2020, di dare priorità al continuo movimento verso l'alto dei mercati azionari rispetto alla necessità di agire rapidamente per contenere la diffusione del coronavirus attraverso tamponi , tracciamento, quarantena e contenimento);

* Oppressione razziale e trattamento discriminatorio nei confronti dei migranti;

* conflitti tra Stati nazionali che impediscono un'autentica cooperazione internazionale nella lotta contro i problemi globali;

* Guerre: eventi laceranti immediatamente distruttivi per tutti coloro che hanno morbilità sociale;

* La rovinosa relazione esistente tra il continuo e incessante processo di accumulazione del capitale e gli ecosistemi naturali da cui dipende l'umanità;

* E infine, tutte le priorità incentrate sul profitto, spesso grottescamente distorte dalle imprese che compongono l'industria farmaceutica e della salute pubblica.

Dovrebbe essere ovvio che queste "morbilità sociali" hanno reso il compito di sconfiggere il flagello del Covid-19 (e persino l'effettiva eliminazione del virus) molto più difficile di quanto non fosse necessario.  Ciò che invece potrebbe non essere poi così ovvio è che, durante tutta l'era capitalista, le ricche élite dominanti si sono quasi sempre opposte ad allocare le risorse sufficienti a creare «beni pubblici» e tutti quei servizi sociali necessari per poter migliorare la salute della popolazione.
Inoltre, la ricerca e gli investimenti effettuati regolarmente da case farmaceutiche a scopo di lucro non riescono a incidere in modo decisivo su alcuni dei peggiori rischi per la salute e il benessere dell'uomo.  Scrivendo durante i primi giorni della pandemia, il socialista americano Mike Davis ha notato in un articolo che Big Pharma ha rinunciato alla ricerca e allo sviluppo di nuovi antibiotici e antivirali:

«Delle 18 maggiori aziende farmaceutiche, 15 di loro hanno completamente abbandonato questo campo di ricerca. Leader del profitto sono i rimedi cardiaci, i tranquillanti che danno dipendenza e trattamenti per l'impotenza degli uomini, e non le difese contro infezioni ospedaliere, le malattie emergenti e virus tropicali che vengono considerati alla stregua di killer tradizionali.  Un vaccino universale contro l'influenza – cioè un vaccino che prendesse di mira le parti immutabili delle proteine superficiali del virus – è una possibilità reale da decenni, ma non è mai stata una priorità redditizia.»

In realtà, è stato solo dopo lo scoppio della pandemia di SARS-CoV-2 che le aziende farmaceutiche hanno di nuovo iniziato una corsa competitiva per sviluppare un vaccino per combattere questo tipo di virus.  Incredibilmente, la ricerca aziendale sulla SARS-CoV-1, iniziata in passato per un breve periodo dopo il successo del contenimento della sua epidemia nel 2003, era stata interrotta perché non veniva considerata redditizia. Alla luce dell'emergenza SARS del 2003, nonché dei focolai relativi ad altri «nuovi» virus negli ultimi decenni (come MERS ed Ebola), ci sono stati scienziati e funzionari della sanità pubblica che hanno a lungo avvertito del fatto che una pandemia di proporzioni potenzialmente catastrofiche era quasi inevitabile e che, pertanto, era urgentemente necessario sviluppare una serie di nuove capacità di prevenzione e trattamento.  Vale a dire farmaci antivirali e vaccini, abbondanti scorte di dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari in prima linea, letti ospedalieri e unità di terapia intensiva ben attrezzate. Sotto l'implacabile pressione del «settore privato» (leggi: della classe capitalista), tuttavia, la maggior parte dei governi occidentali ignorò questi avvertimenti e persistette in politiche che peggioravano la maggior parte delle morbilità sopra citate, anche mentre la pandemia si stava avvicinando.
L'esistenza stessa di condizioni sociali favorevoli al verificarsi di morbilità, dovrebbe essere di per sé focalizzata e spiegata. Purtroppo, ciò viene fatto in modo del tutto inappropriato dai ricercatori accademici (così come da agenzie quali l'OMS); semplicemente, hanno omesso e continuano a omettere di criticare il sistema socioeconomico, nella sua ampiezza, responsabile di tutto ciò. Ci si deve quindi chiedere: perché vi è una tendenza così pronunciata verso l'aumento della disuguaglianza sociale? Perché si sta sviluppando una rottura sempre più crescente, anzi una disarmonia disastrosa, tra la società umana e il mondo naturale?  E perché, nonostante i numerosi e grandi progressi compiuti dalle scienze naturali nel secolo scorso, non abbiamo avuto nessun notevole progresso nella creazione di un ordine sociale più armonioso, cooperativo, prospero ed ecologicamente sostenibile per tutta l'umanità? Tutte queste domande appaiono raramente, e tanto meno in forma di risposte, nei discorsi «convenzionali». Non sorprende che ciò sia dovuto al fatto che le risposte corrette comportano una critica a 360° del capitalismo contemporaneo; il quale è un modo di produzione e un sistema sociale le cui contraddizioni, crisi e irrazionalità fondamentale sono state evidenziate, in maniera eccezionale, dagli eventi dello scorso anno.

Profitto capitalista contro bisogni umani
La potenziale perdita di decine di milioni di vite umane a causa della piaga del Covid-19 (così come di altre pandemie che potrebbero arrivare in futuro) è un evento disastroso; tuttavia, com'è noto, il numero catastrofico di morti non è mai stato inevitabile. L'umanità ha le conoscenze scientifiche e le risorse per evitarlo.  Eppure lo stesso si può dire di molte altre morti facilmente prevenibili derivanti dalle patologie del capitalismo.  Le Nazioni Unite stimano che ogni anno a causa della fame, dei conflitti violenti e dell'inadeguatezza dell'assistenza sanitaria circa 40 milioni di persone muoiano.  Si può pertanto arrivare alla conclusione che a livello globale negli ultimi trent'anni – dal tanto celebrato «trionfo del capitalismo sul comunismo sovietico» – più di un miliardo di vite umane sono state divorate dalle operazioni del sistema socioeconomico dominante  – vite brutalmente sacrificate sull'altare del profitto capitalista.
Questa è già barbarie!  Perché, allora, i governi, i mass media e la professione medica non chiedono un'azione immediata per fermare il corso del flagello capitalista?  Perché non monitorano da vicino il numero di morti per tutte queste cause, al fine di illuminare il pubblico ogni giorno? Il motivo, ovviamente, è semplice: la maggior parte di loro è impegnata nella continuazione – di fatto, nell'espansione – del capitalismo.  La classe capitalista, i politici del sistema, nonché i giornalisti-propagandisti, l'élite accademica – così come le luci principali della professione medica – hanno da tempo dimostrato la loro volontà di sacrificare decine di milioni alla fame, alle malattie e alla guerra in modo che il capitalismo possa prosperare su scala globale.
Tutto ciò solleva e pone una domanda interessante e importante: perché i potenti social network, queste forze e questi attori hanno reagito alla pandemia della SARS-CoV-2 in un modo che sembra causare danni alla macchina del profitto nei paesi capitalisti sviluppati del Nord globale?  Su questo non è possibile fornire una buona risposta, ma alcuni dei suoi elementi possono essere riassunti brevemente.
Per prima cosa, la pandemia di coronavirus non si è limitata alle nazioni più povere del Sud del Mondo, vale a dire non hanno colpito solo le persone con la pelle nera o marrone che già muoiono in gran numero di malaria e di altre malattie tropicali.  Al contrario, è sembrato chiaro fin dall'inizio che l'impatto maggiore della pandemia, almeno inizialmente, sarebbe stato sui paesi relativamente ricchi e che hanno un gran numero di anziani e bianchi nella loro popolazione. La nazionalità e la razza (se non l'età) di molte delle principali vittime hanno avuto importanza nel costringere i poteri costituiti ad accettare che avevano tra le mani una grave emergenza sanitaria e che dovevano impegnarsi a combatterla (almeno per un po') in maniera straordinaria ed economicamente dirompente.
In secondo luogo, anche i politici capitalisti più reazionari come Trump e Johnson si sono resi conto che avrebbero dovuto affrontare un'opposizione politica molto forte nel caso avessero agito in modo aggressivo sotto l'impulso darwinista-maltusiano di Darwin di «lasciare che il virus seguisse il suo corso». In maniera più significativa, una forte resistenza sarebbe provenuta dalle professioni più venerate nelle società occidentali: gli operatori sanitari.  Basta ricordare quanto il personale sanitario, nei primi giorni della pandemia, fosse scioccato a causa del numero di medici, infermieri e paramedici che si stavano ammalando - e talvolta morendo - a causa del Covid-19. Negli ospedali male equipaggiati di Milano, Madrid e New York il numero di pazienti ha cominciato a crescere fin dall'inizio della pandemia.  L'imperativo di appiattire la curva – con ogni mezzo necessario – era soprattutto un imperativo per evitare che ospedali, terapie intensive e personale delle ambulanze diventassero vittime della pandemia. 
Terzo, nonostante i blocchi - che di solito nel mondo occidentale sono stati solo parziali -, ampi segmenti della forza lavoro sono stati in grado di svolgere il loro lavoro online sotto il regime di distanziamento sociale.  Allo stesso tempo, molte aziende «essenziali» (soprattutto, produzione alimentare, medicinali, ecc.) sono rimaste fuori dal blocco fin dall'inizio, così come lo sono rimaste la maggior parte dei punti vendita di alimenti e di farmaci. Il danno economico è stato parecchio esteso, ma i danni per la redditività rimasero in gran parte limitati alle imprese più piccole, così come ai settori del trasporto aereo, del turismo e alberghiero.
In quarto luogo - mentre nell'economia globale, nel suo complesso, la massa di profitti provenienti da attività specificamente produttive è diminuita significativamente - durante la prima metà del 2020, i contributi della banca centrale e del governo ai mercati finanziari e alle società hanno permesso agli strati superiori della classe capitalista di ottenere nei loro portafogli grandi guadagni, e fortune personali.

Il 18 giugno, l'Institute for Policy Studies ha riferito che nei tre mesi precedenti i cinque miliardari più ricchi d'America (Bezos, Gates, Zuckerberg, Buffett ed Ellison) hanno visto un aumento combinato della ricchezza fino a oltre 101,7 miliardi di dollari, vale a dire del 26%.  Questo guadagno ha rappresentato il 17,4% della crescita totale della ricchezza dei 643 miliardari americani, che all'epoca controllavano 3,5 trilioni di dollari attraverso le loro fortune. Il 20 agosto 2020, Collins e Ocampo hanno riferito su Counterpunch che i dodici miliardari più ricchi degli Stati Uniti hanno guadagnato una ricchezza che ammonta a un totale di oltre $ 1 trilione. L'ondata dei fallimenti delle società meno redditizie ha aperto ai maggiori operatori l'opportunità di espandere le loro quote di mercato, acquisendo beni preziosi a prezzi stracciati, mentre la creazione di un «esercito di riserva» molto ampio ha reso ancora più a ribasso il mercato della forza lavoro. Tutto ciò è stato di buon auspicio per il ripristino della redditività a lungo termine per le economie capitaliste occidentali che all'inizio del 2020 si trovano di fronte prospettive piuttosto cupe.
Insieme, queste considerazioni portano alla conclusione che le élite capitaliste sono state in grado di far girare rapidamente a loro favore la caduta innescata dalla pandemia. Inoltre, sacrificando alcuni settori economici e alcune piccole imprese che si trovavano in condizioni disastrose, mentre allo stesso tempo intonavano in coro che «siamo tutti sulla stessa barca», sono stati così in grado di preservare un'apparenza di immotivata legittimità agli occhi di molti, nel mentre che aumentavano enormemente la propria ricchezza e potere.
  Alla luce di tutto ciò, vale la pena riflettere su un'altra questione.  Dato che alla fine del 2019 si stava già verificando una grave crisi finanziaria insieme a una contrazione economica, sarebbe stato possibile, in assenza dell'emergenza sanitaria Covid-19, convincere l'opinione pubblica della necessità di un'enorme iniezione di fondi della banca centrale e del governo nei a favore di banche, aziende e mercato azionario?  Pensiamo che la risposta sarebbe stata semplicemente no.  Una semplice ripetizione dei salvataggi estremamente impopolari del 2008-2009 avrebbe suscitato un torrente di indignazione popolare.
Dal punto di vista di alcuni interessi estremamente forti delle élite, ecco che allora la pandemia potrebbe essere vista come se fosse uno sviluppo stranamente gradito - e persino come una «benedizione sotto mentite spoglie».  In ogni caso, il principio guida dei «poteri costituiti» capitalisti, per quanto attiene la loro risposta alla crisi, è sempre stato inequivocabilmente chiaro: i profitti (la linfa vitale del capitalismo) devono avere la priorità su tutto il resto.

Sfruttamento, crisi della valorizzazione e morbilità capitalista
Come osservato da Karl Marx, perfino «ogni bambino sa» che le comunità umane dipendono dal lavoro per soddisfare le loro esigenze, e che tutti dovrebbero sviluppare pratiche al fine di distribuire il lavoro sociale in modo da soddisfare un'enorme varietà di compiti economicamente vitali.  Inoltre, poiché le società sono divise in diverse classi sociali, la distribuzione cooperativa del lavoro sociale assume necessariamente una forma antagonista. È per questo che i produttori diretti e gli utilizzatori di eccedenze sociali hanno interessi opposti.
Tuttavia, in passato non tutti gli ordini sociali creati dagli esseri umani erano così decisamente focalizzati sulla produzione mercantile come il capitalismo.  In questo modo di produzione, viene prodotto per il mercato, cioè per lo scambio monetario avviene per l'acquisizione di profitti in contanti.  Ciò che distingue il capitalismo è che la produzione di beni (definiti come prodotti di lavoro destinati alla vendita sul mercato) diventa un fenomeno diffuso.
Ciò non significa che ogni prodotto, ogni effetto o risultato del lavoro umano sia commercializzato; tuttavia, significa però che la stragrande maggioranza lo è. Le merci diventano di gran lunga i prodotti economicamente più significativi del lavoro umano; cosa ancora più importante, la forza lavoro stessa (la capacità di lavorare) diventa una merce acquistata nell'ambito degli scambi di mercato al fine di estrarre l'eccedenza di valore dal lavoro dei lavoratori salariati produttivi.
Ed è proprio a causa di queste condizioni che il processo di vita economica si trova sotto il dominio della «legge del valore», qualcosa di specifico del capitalismo – una legge che richiede la misurazione del valore di tutti i beni e e di tutti servizi che vengono commercializzati nei termini di «lavoro sociale astratto», e la cui «forma di apparenza» più importante è il denaro.
Nelle condizioni di produzione e scambio di beni capitalisti, i produttori diretti si trovano separati dalla proprietà e dal controllo dei principali mezzi di produzione, i quali ora sono proprietà privata dei capitalisti. Il monopolio di classe di fabbriche, miniere, mulini e persino terreni – di fatto, di tutti i principali beni economici della società – consente ai capitalisti di sfruttare sistematicamente la classe operaia, cioè di estrarre il lavoro eccedente che genera valore in eccesso, il quale costituisce la «sostanza sociale» del profitto e del reddito capitalista.

In questo modo, i fenomeni di cooperazione e di divisione del lavoro, che si ritrovano in tutte le società umane, derivano da una legge naturale che richiede, secondo Marx, «la distribuzione del lavoro sociale in proporzioni definite». Ma ora, nella società incentrata sulla concorrenza e sullo sfruttamento sistematico di una classe di produttori diretti da parte di una classe di grandi proprietari, tutto questo assume una forma particolarmente antagonistica e anti-egualitaria .  In un simile contesto, deve essere ovvio che lo slogan «siamo tutti sulla stessa barca» costituisce un fatto particolarmente assurdo oltre che una menzogna vergognosa.  Poiché invece la realtà è che le differenti classi sociali (e anche le frazioni di classe) sperimenteranno necessariamente in modi molto differenti gli eventi come la pandemia di coronavirus.
Tuttavia, ai fini di una valutazione approfondita della crisi del 2020-21, dobbiamo considerare anche ciò che distingue il capitalismo del XXI secolo: vale a dire, le manifestazioni specifiche di una crisi sistemica che ha iniziato a prendere forma in risposta ai gravi problemi di redditività degli anni '70, e a come questo si sia sviluppato e intensificato negli ultimi quarant'anni.  Questi problemi riguardano principalmente la crisi della produzione di plusvalore (ovvero, la «crisi della valorizzazione») discussa a lungo in "Twilight Capitalism" ; una crisi radicata fondamentalmente nel dislocamento del lavoro salariato vivente (l'unica fonte di plusvalore), attuato da parte della tecnologia di risparmio della manodopera, che ha come conseguenza una produzione insufficiente di plusvalore relativamente ai costi complessivi di produzione e di riproduzione capitalista.

Gli eventi preliminari alla catastrofe del 2020-2021 sono stati contrassegnati dai risultati di una duplice e peculiare strategia di classe capitalista volta a sostenere e rimandare il declino della redditività: da un lato, estrarre il più possibile dal lavoro salariato, dal lavoro vivo e produttivo, attraverso una serie di meccanismi e misure neoliberali, incluso lo sconsiderato saccheggio dei «doni della natura»;  e, dall'altro lato, manipolare i mercati azionari per sostenere valori azionari tanto alti quanto irrealistici (ossia, per mezzo di «profitti fittizi»), nel mentre che si aiutano governi e banche centrali compiacenti a ridurre al minimo le normative sull'attività delle imprese, a ridurre le tasse sulle società e a stampare denaro secondo necessità in modo da mantenere così la «stabilità finanziaria».
Il risultato è stata la distribuzione ai livelli superiori della classe capitalista di enormi somme di denaro facile, ma anche una lenta crescita del PIL, una debole formazione di capitale nel settore produttivo dell'economia e l'accumularsi di imprese, consumatori, governi e studenti fortemente indebitati; in altre parole, sono state create rivendicazioni di enormi valori che non erano ancora stati creati.  Il capitalismo, perfino alle sue condizioni, non può più funzionare adeguatamente. Le crisi economiche periodiche, ora appaiono più profonde e più minacciose che mai. Questo sistema decrepito orientato al profitto ora sta anche rivelando un'incapacità costitutiva di riuscire a garantire all'umanità un mondo senza guerra e senza devastazione ecologica.
Per tutti quelli che si rifiutano di guardare alla realtà sociale attraverso i prismi distorti delle ideologie e degli interessi capitalisti - accogliendo con favore l'autocompiacimento dell'alta classe media, la sua ignoranza intenzionale o i pregiudizi malvagi - dovrebbe ora essere diventato chiaro che l'ordine mondiale esistente – orientato soprattutto al perpetuarsi della ricchezza, del potere e del privilegio della classe capitalista – sta diventando sempre più irrazionale, insostenibile e moralmente ripugnante.

L'umanità non è più in grado di tollerare un sistema socioeconomico che subordina gli interessi umani più fondamentali agli interessi effimeri di una minuscola classe dirigente capitalista che si arroga il diritto di possedere e controllare i principali beni produttivi del mondo e di prendere tutte le decisioni importanti che riguardano la vita di otto miliardi di persone; e quasi sempre per il peggio.
Il libro "Twilight Capitalism" richiama l'attenzione sull'urgente necessità di trascendere – e non semplicemente riformare – questo sistema obsoleto. Affinché l'umanità possa sopravvivere e andare avanti, occorre che la proprietà privata della classe capitalista di mezzi di produzione, di distribuzione e scambio venga espropriata e posta sotto la proprietà collettiva e il controllo dei lavoratori in una società pianificata razionalmente e amministrata democraticamente. L'obiettivo è quello di formare una comunità globale impegnata principalmente nella salute, nel benessere e nel libero sviluppo di ogni individuo umano.

di Murray Smith, Jonah Butovsky e Josh Watterton - Pubblicato il 02/08/2021 -

[*1] - Nota degli autori: L'articolo è un adattamento del primo capitolo di "Twilight Capitalism: Karl Marx and the Decay of the Profit System" (Fernwood Publishing, 2021). Murray Smith è professore di sociologia alla Brock University di St. Catharines, Canada. Altri dei suoi scritti possono essere trovati in https://murraysmith.org. Jonah Butovsky è professore associato di sociologia alla Brock University. Josh Watterton è un dottorando.  studente presso la York University, Toronto, Canada.

fonte: Economia e Complexidade

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