Un omaggio a un uomo straordinario e a un intellettuale di fama mondiale, che con il nostro paese ha da sempre un legame del tutto speciale. Cento firme italiane, espressioni di una molteplicità di campi del sapere, sono qui riunite per celebrare i 100 anni di Edgar Morin. Brevi ritratti di un grande umanista, che della sua opera e della sua persona restituiscono nel loro insieme un affresco inedito. Cento e più ragioni per onorare lo studioso, il maestro e l'amico, che oggi, nel pieno di questa gravissima crisi mondiale, indica l'orizzonte di un nuovo umanesimo planetario e continua a motivare alla resistenza contro ogni forma di barbarie, per costruire insieme reti e oasi di solidarietà, di fraternità, di pensiero creativo. Per uscire, insieme, da questa "Età del ferro dell'Era planetaria".
(dal risvolto di copertina di: "Cento Edgar Morin. 100 firme italiane per i 100 anni dell'umanista planetario". Mimesis editore. 28€)
Edgar Morin 100
- di Leonardo Martinelli -
Finisce di parlare sulle note di My way e la voce dolce di Frank Sinatra. È stato Edgar Morin a volere quella canzone «perché stasera vi spiego il mio cammino». Lo ha detto quando ha iniziato a parlare, incredibilmente lucido e rassicurante. A quasi cent’anni, il solito foulard al collo, ma soprattutto il pensatore francese mantiene quel sorriso luminoso, da «umanista gioioso», lo chiamano così. Ormai vive a Montpellier, sotto il sole, ma ieri ha deciso di venire a Parigi e festeggiare il suo compleanno (nacque in questa stessa città l’8 luglio 1921) in una sala dell’Unesco, con «amici vecchi e nuovi», perfino qualche ministro venuto in incognita ad ascoltarlo. Ha preparato una lezione per loro. Ed è incredibile, ne ha vissute di tutti i colori, potrebbe parlare del passato ed è finita lì, ma è al presente che guarda, con lucidità. A questa pandemia, che ha sorpreso pure lui, perché «una delle grandi lezioni di vita è cessare di credere nella perennità del presente, nella continuità del divenire, nella prevedibilità del futuro». Lo ha scritto pure nel suo ultimo libro-testamento.
Per lui l’anno appena vissuto è stata la prova che la globalizzazione non funziona. «Si è sviluppata dalla diffusione a livello planetario dell’economia di mercato - spiega Morin-, che ha portato a una globalizzazione a livello tecnico ed economico e non nelle mentalità. Avrebbe dovuto spingere verso una coscienza comune del destino umano rispetto al pericolo nucleare ed ecologico. E invece ha portato le singole culture a ripiegarsi su sé stesse, al risorgere del nazionalismo, alla paura dello straniero: le interazioni, le interdipendenze tecniche ed economiche non hanno creato nessuna solidarietà. Con la pandemia lo si vede benissimo, quando c’è stato bisogno di mascherine e di vaccini per tutti».
Sorride l’«umanista gioioso», ma in realtà in questo intervento (sarà l’ultimo? Non lo vuole nessuno) intende scuotere chi lo ascolta, «per trarre delle lezioni dalla pandemia». A non ripartire come se niente fosse. E mette in guardia su tre punti: le catastrofi ecologiche (fu un ecologista ante-litteram, inascoltato, già agli inizi degli Anni 70), il pericolo di una guerra nucleare («dal 1945 la storia umana è cambiata, perché l’uomo ha creato uno strumento per autodistruggersi: non lo dimentichiamo mai») e «un transumanesimo che è monopolio delle caste economiche».
È all’avventura umana che bisogna ritornare e studiarla in maniera interdisciplinare. È stata la missione di una vita per Morin: la sua teoria del «pensiero complesso», l’unione degli opposti e dei saperi. Si definisce proprio un «bracconiere del sapere», che per capire il mondo è partito da un’educazione umanistica, ma poi ha pescato ovunque, in biologia, matematica, politica, demografia, religione, psicanalisi, letteratura, ecologia. «Era una predisposizione che avevo in me fin dagli inizi – racconta -. Quando nel 1939 andai all’università, m’iscrissi ai corsi della facoltà di Filosofia. E contemporaneamente a quelle di Diritto e ancora di Scienze politiche. Applicavo senza saperlo il conosci te stesso di Emmanuel Kant, in quel momento di follia umana, mentre la guerra stava iniziando». Parteciperà alla Resistenza. Dopo il conflitto sarà giornalista. Ma ieri ha ricordato un periodo «fra il 1948 e il ’49, due anni, in cui sono stato disoccupato. E li ho trascorsi a studiare e leggere nella Biblioteca nazionale. Capii che l’immaginario, i miti, le religioni non sono solo sovrastrutture secondarie rispetto alla base economica e materiale, ma hanno una propria realtà». Cominciava così a superare il marxismo. E scrisse L’uomo e la morte, che lo portò a diventare ricercatore al Cnrs, in sociologia. Centenario, ancora oggi, studia e pensa. Segue il suo cammino.
- Leonardo Martinelli - pubblicato sulla Stampa del 3/7/2021 -
Cerco un umanesimo rigenerato contro lo spettro della nuova barbarie
- Un estratto del sesto capitolo, intitolato Le mie esperienze politiche: i nuovi pericoli, dal libro autobiografico di Edgar Morin,Lezioni di un secolo di vita: sarà pubblicato in Italia da Mimesis il prossimo ottobre con la traduzione di Susanna Lazzari -
EDGAR MORIN
Il formidabile sviluppo delle scienze fisiche e biologiche del XX e XXI secolo pone problemi etici e politici sempre più gravi. In effetti, a partire dal XVII secolo, le scienze hanno potuto sviluppare la loro autonomia solo eliminando ogni giudizio di valore, cioè ogni giudizio etico o politico. Il loro ruolo nella storia delle società è diventato a poco a poco immenso. I progressi della fisica nucleare hanno permesso la creazione, l’impiego, e poi la moltiplicazione delle armi nucleari. Quelli della fisica quantistica hanno favorito il gigantesco sviluppo dell’informatica. Quelli della genetica e, più in generale, quelli delle scienze biologiche, incitano alle manipolazioni sull’embrione e sull’essere umano. Le scienze non conoscono alcuna barriera etica interna. L’etica può giungere solo da morali esterne, laiche o religiose. Gli Stati si impadroniscono dei poteri dell’arma nucleare, divenuta una spada di Damocle per l’umanità. Il profitto si impadronisce della genetica, trasformando i ricercatori in businessmen, mentre la ricerca medica è monopolizzata dalle multinazionali farmaceutiche che si dedicano a produrre farmaci redditizi, a scapito dei farmaci non redditizi. Tutti questi pericolosi sviluppi, oggi aggravati dalla pandemia del Covid, danno una cupa attualità alla vecchia formula di Rabelais: «Scienza senza coscienza non è che rovina dell’anima».
La nostra comunità di destino
Nel mio libro Terra-Patria, ero consapevole del fatto che la mondializzazione tecno-economica aveva creato una comunità di destino tra tutti gli umani nel dilagare economico planetario, nella degradazione della biosfera, nei pericoli dovuti alla moltiplicazione delle armi nucleari. Questa consapevolezza non ha, purtroppo, potuto crescere e amplificarsi. In seguito, ho misurato sempre meglio gli effetti perversi della mondializzazione tecno-economica (verso l’abisso?), del dominio universale del profitto, della crisi universale delle democrazie, del fallimento di quasi tutte le rivolte contro le dittature politiche o le dominazioni economiche (che sono spesso collegate).
Infine, la formazione in tutto il mondo, compresa l’Europa, di regimi autoritari con una facciata parlamentare, in modo particolare il neo-totalitarismo della Cina, fondato sulle sorveglianze elettroniche, testimonia della regressione che sta avvenendo su scala planetaria dagli inizi del XXI secolo. Una delle più grandi lezioni delle mie esperienze è che il ritorno della barbarie è sempre possibile. Nessuna acquisizione storica è irreversibile.
Pensiero complesso
L’esperienza della grande crisi planetaria multidimensionale, nata dalla pandemia di Covid, mostra in modo evidente la necessità di un pensiero complesso e di un’azione cosciente delle complessità dell’avventura umana. Ho dedicato cinquant’anni della mia vita a elaborare una Via che può essere nello stesso tempo definita Metodo (methodos, in greco, significa perseguimento o ricerca di una via) o Tao (che in cinese significa cammino o via). L’ho fatto nei sei volumi del Metodo, nei quattro libri per riformare l’educazione e nelle proposte politiche dei miei libri. Ma questa necessità non è né compresa né ammessa dalla maggior parte dei politici, degli economisti, dei tecnocrati, degli imprenditori, e rimane ignorata dalla maggior parte dei miei concittadini. Mai il capitalismo è stato così potente, così egemonico. Ha addomesticato l’agricoltura, divenuta industriale, il consumo sotto l’influenza pubblicitaria, i servizi uberizzati, il mondo dell’informazione e dell’informatica sotto l’influenza dei Gafa. Il capitalismo regna sulla salute attraverso le industrie farmaceutiche, la cui potenza si è accresciuta durante la pandemia, parassita con le sue lobby i governi, le istituzioni europee e internazionali.
Ciò nel sonnambulismo e nella cecità. E cosa ci troviamo di fronte? Delle coscienze disperse, delle rivolte represse, delle associazioni di solidarietà, un po’ di economia sociale e solidale, ma nessuna forza politica coerente che disponga di un pensiero-guida come quello che io preconizzo. Prevedo la possibilità del peggio, se non la sua probabilità, ma il peggio non è sicuro, l’improbabile è anch’esso possibile, così come l’imprevedibile.
Inoltre, nel corso del tempo, ho concepito sempre più le mie idee politiche con l’aiuto della conoscenza complessa e del pensiero complesso, a loro volta inseparabili dalle mie prese di coscienza politiche, e che ispirano queste prese di coscienza e da esse ispirati. E non dimentico la necessità di rivedere il mio pensiero, a seconda della sorpresa che l’evento inatteso provoca o anche periodicamente, come si revisiona il motore della propria auto ogni diecimila chilometri.
L’umanesimo rigenerato
Tutte le mie concezioni sono ora antropo-bio-eco-politiche. Non dipendono solo dal pensiero complesso, ma anche da ciò che ho chiamato «umanesimo rigenerato», e che espongo in Cambiamo strada. Dico «rigenerato», poiché già enunciato in modo lapidario da Montaigne in due frasi: «Riconosco in ogni uomo un mio compatriota» e «Ognuno chiama barbarie ciò che non è nei suoi usi».
- Edgar Morin -
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