« Ciò che alla fine qui emerge, è l'ultima tendenza geopolitica a sviluppare un capitalismo di crisi senza egemonia. Questa complessa rete geopolitica di potere e relazioni, in cui gli stati competono o cooperano in costellazioni sempre mutevoli - a seconda dell'area di interesse - è in effetti la manifestazione politica reale di un ordine mondiale multipolare dopo la fine dell'egemonia statunitense. Questa è la realtà del tardo capitalismo senza egemonia, dove nessuna delle grandi potenze capitaliste in lotta è in grado di agire come se fosse una "polizia mondiale" imperiale.
Il disastro in Afghanistan rende chiaro che gli Stati Uniti ovviamente non esistono più. C'è quindi una moltiplicazione delle tensioni geopolitiche, un crescente pericolo di guerra, un aumento dei conflitti militari e delle corrispondenti revisioni delle frontiere. Gli Stati Uniti, altamente indebitati, hanno già perso questa posizione in seguito alla disastrosa invasione dell'Iraq; nel frattempo, oramai si tratta solo di una delle grandi potenze tra le tante che sta faticosamente cercando di formare alleanze per tentare di rallentare almeno l'ascesa della Cina e il declino del dollaro americano. In questa rete multipolare di relazioni, sta cercando la massima realizzazione di ristretti interessi nazionali - i quali, a causa della crisi, sempre più spesso possono essere realizzati solo a spese di altri paesi. Gli Stati usano le loro rispettive leve di potere per agire in base a spostamenti più o meno pronunciati delle costellazioni geopolitiche. La posizione frontale chiaramente strutturata della Guerra Fredda in termini di politica di potenza è una cosa del passato nell'agonia del sistema mondiale capitalista, così come lo sono i due decenni circa di chiara egemonia degli Stati Uniti.
L'egemonia è storia, ma il capitalismo è ancora in decadenza.
Da nessun'altra parte questo è più evidente che nel Caucaso del Sud, dove ad essere in competizione per l'influenza non solo la Russia, la Turchia, gli Stati Uniti, la Cina e diversi stati dell'UE , ma anche le potenze regionali che cercano di fare i loro calcoli geopolitici all'interno di costellazioni talvolta assurde. Israele, per esempio, si trova improvvisamente schierato con Ankara, importante fornitore di armi e alleato dell'Azerbaigian, in quanto ci si aspetta che così facendo Gerusalemme possa essere in grado di esercitare una maggiore pressione sul fianco settentrionale dell'Iran, dove vive una significativa minoranza azerbaigiana: d'altra parte, il regime dei mullah fondamentalisti in Iran mantiene buone relazioni con l'Armenia cristiana al fine di neutralizzare questo potenziale punto critico dell'Azerbaigian.
Tutti questi stati-mostro stanno semplicemente cercando di diventare ciò che gli Stati Uniti erano una volta. Alla luce dell'escalation della crisi socio-ecologica nel sistema mondiale, tutto ciò non solo è illusorio, ma è estremamente pericoloso, poiché le crescenti lotte regionali - che spesso sono abbastanza progettate, per esempio nel caso della Turchia, al fine di colmare le tensioni interne attraverso l'espansione esterna - possono molto rapidamente degenerare in guerre su larga scala. Ormai, nel sistema mondiale tardo capitalista e in crisi - nel quale le crescenti convulsioni ecologiche ed economiche generano un'instabilità geopolitica sempre più forte - nessuna grande potenza possiede più le risorse per poter imporre l'egemonia globale (ciò vale anche per la Cina, che oramai non pretende nemmeno più di agire come una "polizia mondiale" imperiale, ma piuttosto lavora per consolidare il suo dominio regionale); ed è proprio questo che aumenta il pericolo di una grande guerra nella crisi sistemica manifesta. (...). »
- Thomasz Konicz - da "Con le spalle al muro", a proposito della situazione dell'Armenia -
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