Il carattere anti-ecologico del sistema capitalista
- di Benoit Bohy-Bunel -
Il capitalismo si sviluppa sulla base di un'opposizione fra ricchezza materiale e ricchezza astratta. La ricchezza materiale è formata dai diversi valori d'uso, che rimandano ai corpi concreti e materiali delle merci. La ricchezza astratta è composta dalla quantità di lavoro astratto che è contenuto nelle merci, e che è convertibile in somme di denaro.
Nella circolazione A - M - A', la ricchezza materiale è solo un mezzo, un male necessario, per aumentare la ricchezza astratta. I diversi valori d'uso non sono altro che dei supporti per l'astrazione del valore, e devono svanire sparendo dietro di essa. Quindi, il sistema capitalista fa della soddisfazione dei bisogni concreti, e della materialità concreta dei beni d'uso, un semplice pretesto contingente in vista della produzione di astrazioni quantitative vuote ed indifferenziate. In tal senso, il fatto che una merce guarisca, migliori, o distrugga concretamente l'ambiente o il legame sociale, non è un fattore determinante per la sua produzione: ciò che innanzitutto importa, è la quantità di lavoro astratto che essa contiene. Un simile sistema, cieco davanti alle dimensioni concrete e materiali dei beni prodotti, non può essere altro che fondamentalmente anti-ecologico: proprio per il fatto che non si preoccupa per un solo secondo degli effetti reali che i prodotti hanno sull'ambiente "naturale" e sociale. Solo un sistema che creerebbe le condizioni di vita tenendo conto dei desideri e dei bisogni degli individui, senza alcuna valorizzazione astratta, scissa e separata, potrebbe essere suscettibile di promuovere una metabolismo non distruttivo degli esseri umani con l'ambiente. Solo il superamento del capitalismo permetterebbe l'abolizione del moderno disastro ecologico, nella misura in cui il capitalismo è un sistema che accumula delle astrazioni quantitative, senza mai tener conto delle conseguenze reali, ecologiche e sociali, dei prodotti.
Ma se oggi guardiamo alla logica evolutiva del processo di valorizzazione , si constata che questo sistema non può che distruggere sempre più, in maniera asitontica, l'ambiente cosiddetto "naturale". Storicamente, per aumentare il tasso di plusvalore, vale a dire, per aumentare la parte di plus-lavoro nella giornata lavorativa, si trattava di aumentare il numero di ore lavorate, in termini assoluti. Ma questa logica in un dato momento incontra un limite quantitativo. Quindi, con l'emergere del capitalismo industriale, si estrae, in maniera più sistematica, un plusvalore relativo: aumentando la produttività del lavoro, si aumenta, in maniera relativa, il tempo di plus-lavoro all'interno della giornata lavorativa. Il plusvalore relativo presuppone una razionalizzazione dell'organizzazione del lavoro, ed un ricorso sistematico alla meccanizzazione. Me nel momento in cui si entra nell'era del plusvalore relativo, ecco che il capitalismo entra in un processo irreversibile. L'accresciuta produttività del lavoro fa sì che, tendenzialmente, diminuisca sempre più il tempo di lavoro socialmente necessario contenuto nelle merci. Ciò non significa affatto che, ad esempio, un'ora di lavoro cambi improvvisamente quello che è il suo valore: il valore dell'ora lavorativa rimane invariata. Solo che, se ora la produttività del lavoro viene moltiplicata per due, lo stesso valore contiene, per esempio, rispetto a prima, il doppio di quelle che sono le merci reali. Quindi, per produrre la medesima quantità di valore, ora deve raddoppiare anche la quantità di materie prime. Perciò, se il valore deve aumentare continuamente, mentre sempre più merci fisiche e concrete sono contenute in delle unità di valore sempre più piccole, ciò significa che la quantità di merci fisiche deve aumentare in maniera esponenziale. Sotto questo profilo, lo sviluppo delle risorse energetiche (eventualmente inquinanti), ed il saccheggio delle materie, prime deve intensificarsi. Un simile processo distruttivo non incontra alcun limite formale, nella misura in cui l'aumento del valore - che è un processo quantitativo - non conosce a priori alcun limite.
In questo contesto, alcuni movimenti di contestazione promuovono una "decrescita" virtuosa, capace di contrastare una simile fuga in avanti distruttiva, autodistruttiva e patologica. Di cosa si tratta? Bisognerebbe innanzitutto distinguere la crescita della ricchezza astratta dalla crescita della ricchezza materiale. Dal momento che questi due livelli non necessariamente coincidono. Se si tratta di far decrescere la ricchezza astratta senza però abolire il principio del lavoro astratto, allora ci saranno numerosi individui che verranno esclusi socialmente, ed avremo un sistema cieco rispetto al carattere concreto delle merci che continuerà malgrado tutto a perdurare, in maniera profondamente anti-ecologica. Se invece si tratta di far decrescere la ricchezza materiale senza abolire il principio del lavoro astratto, ecco che si sviluppa il medesimo stato confusionale anti-ecologico. In realtà, l'unica "decrescita" coerente e conseguente dovrebbe promuovere l'abolizione del sistema della valorizzazione della merce, in quanto è oggi un tale sistema quello che incoraggia il saccheggio cieco ed esponenziale delle risorse energetiche e delle materie prime. Ma sul piano della ricchezza astratta non ci può essere "decrescita": perché ciò supporrebbe che si continui a contabilizzare questa ricchezza in termini di mercato. Decrescita dovrebbe significare che si abolisce, puramente e semplicemente, il principio di questa ricchezza astratta. La forma della ricchezza astratta non è per niente adatta per il potenziale della ricchezza materiale: la logica del plusvalore relativo fa sì che sempre più beni prodotti vadano a costituire una ricchezza astratta sempre meno significativa, in un sistema nel quale tuttavia si tratta di fare aumentare costantemente questa ricchezza astratta. Una situazione simile comporta una fuga in avanti patologica, ed un processo di crisi senza fine. Il problema del termine "decrescita" è che può significare decrescita della ricchezza materiale senza abolizione della ricchezza astratta, oppure può significare la semplice decrescita della ricchezza astratta senza abolizione del sistema di valorizzazione. Non si vede, in questo, che si ha a che fare con due differenti livelli di realtà. Tuttavia, se decrescita significa abolizione del sistema del lavoro astratto, a favore della riqualificazione dei desideri e dei bisogni umani consapevoli, allora questo diventa coerente con le sue intenzioni profonde e con la radicalità che le è propria.
- Benoit Bohy-Bunel - Pubblicato a settembre 2018 -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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