martedì 27 novembre 2018

Inchiesta

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Classi medie e proletari nel "movimento dei gilet gialli"
- di Agitations -

La mobilitazione proletaria e interclassista dei "gilet gialli" suggerisce che esista una rabbia che si cristallizza sotto forme e discorsi differenti a seconda dei blocchi e degli spazi, creando una sorta di atonia critica, se non degli appelli romantici ad essere popolo. Di fronte a questo movimento, non rimane altro da fare che un lavoro noioso: quello di interessarsi ad una settimana di mobilitazioni attraverso quelle che sono le strutture spaziali e demografiche che lo attraversano e che ci danno informazioni a proposito della sua composizione sociale.

Sotto i gilet gialli, delle magliette gialle
Pur non essendo di massa, la partecipazione alla mobilitazione di sabato 17 novembre è stata importante (sebbene più debole di quella di sabato 24 novembre). Le modalità originali di partecipazione erano minime: indossare un gilet giallo oppure metterlo sotto il parabrezza. Nel corso di questa mobilitazione, dei proletari, vestiti da "popolo", manifestavano insieme a dei piccoli padroni e a dei piccoli sfruttatori, al punto che, a prima vista, rimane difficile capire su quali basi profonde affondasse le sue radici l'appello al blocco. Dal momento che qui non si tratta né di un semplice essere stufi delle tasse, né di una jacquerie (e questo, detto al di là dell'anacronismo di tale analogia). Fondamentalmente, questo movimento contesta la diseguale distribuzione dell'imposizione fiscale sui dipendenti salariati e sui commercianti, e ne contesta soprattutto la sua forma indiretta (IVA, aumento globale delle tasse...), ritenuto come «il più ingiusto». Tale movimento avviene in un contesto di stagnazione dei salari, delle pensioni e dei sussidi che si trovano al di sotto del livello dell'inflazione, e in un contesto di diminuzione degli aiuti (APL [sussidio abitativo], Assurance chômage [Cassa di Disoccupazione], CSG [Contribuzione Sociale Generalizzata]), allo stesso tempo in cui «il costo della vita» (alloggi, trasporti, generi alimentari) aumenta. I primi ad essere colpiti da queste inuguaglianze sono gli operai e i dipendenti delle aree suburbane e delle zone rurali, ma possiamo domandarci legittimamente se questi ultimi possono mobilitarsi rispetto a dei luoghi da bloccare che talvolta sono lontani, e mentre il costo per arrivarci potrebbe dissuadere alcuni entusiasti.
L'Insee - Institut national de la statistique et des études économiques, in un suo rapporto, afferma che fra il 2008 ed il 2016, i francesi hanno perso in media 500 euro del loro reddito disponibile. Tale perdita grava essenzialmente sulle classi medie e sui pensionati, soprattutto a causa di un aumento dei prelievi fiscali sui patrimoni. E infatti sono soprattutto loro quelli che in maggioranza hanno bloccato le strade sabato 17 novembre. In questi blocchi erano numericamente molto presenti gli abitanti delle zone suburbane che guadagnano più di quello che è il salario medio. Come viene evidenziato da una nota dei servizi di intelligence, sono stati loro i principali iniziatori dei movimento, e in maggioranza provengono dal comprensorio parigino (e non dai suoi margini). Provenienti dalle classi medie, questi manifestanti che hanno bloccato il sabato nelle periferie delle grandi città, erano imprenditori, lavoratori indipendenti, manager, commercianti, artigiani, liberi professionisti.
Economicamente e socialmente ben inseriti, abitualmente hanno in gran parte i mezzi per poter organizzare delle navette che li portano dal domicilio al lavoro, queste classi non subiscono il peso della lontananza spaziale, ma vogliono conservare la loro bolla di tranquillità nella loro autovettura, piuttosto che optare per il disagio (ed i prezzi sempre più aggressivi) dei trasporti pubblici. Se alcuni manifestanti deplorano il declino del servizio pubblico (torneremo nella seconda parte sulle manifestazioni più proletarie), la maggioranza di loro non si batte per conservare le conquiste sociali. Molti di quelli che fanno parte di queste classi medie hanno votato Macron, e oggi sono delusi, e si lamentano del fatto che non sia stato un baluardo contro la «piramide» ed il «potere delle banche». Inoltre, sono molte, fra di loro, le prese di posizione che rifiutano l'assimilazione con gli «assistiti» che ricevono l'aiuto dello Stato.
Questo informe aggregato di individualismi, che non vogliono pagare per gli altri, si inserisce in uno sfondo ideologico di estrema destra. Al di là della più che problematica presenza dell'estrema destra parlamentare ed extraparlamentare, c'é un discorso che continua ad essere ripetuto come un ritornello: contro i «parassiti», quelli cosiddetti in alto (Macron, i bobo [borghesi-bohemien], il governo, ma non la classe capitalista) e quelli in basso (i precari, gli immigrati, i disoccupati, ecc.) che se ne approfitterebbero della redistribuzione. Ciò si è tradotto concretamente in attacchi fisici contro una donna col velo, un reporter asiatico, una coppia omosessuale, dei migranti nascosti in un camion e che sono stati consegnati ad una gendarmeria, un compagno nero, ecc..
Il ricorrere di episodi razzisti antisemiti, omofobi, contro gli antirazzisti dell'RSA [Revenu de Solidarité Active], anti-migranti è la trasposizione di un inconscio popolare che naturalizza un ordine sociale con i suoi bersagli da sfruttare e da dominare per mantenere la propria posizione. Queste classi medie in procinto di declassamento, anche se pensano di lottare contro delle inuguaglianze, in realtà lottano per proteggere la loro posizione al vertice delle classi proletarie. Si assiste al medesimo fenomeno di predazione svolta dal Medef [Mouvement des entreprises de France] che sosteneva, in nome delle difficoltà del PME [Petites et Moyennes Entreprises] e del TPE [Très Petites Entreprises] il bisogno di ottenere dei vantaggi. Questi gilet gialli si sono mobilitati sulle strade, nascondendosi dietro alcuni impiegati ed operai che essi sfruttano sul lavoro e che evitano nella spazio della vita quotidiana. Non esitano a licenziare i loro dipendenti - mentre nel frattempo rendono loro sempre più insopportabile il lavoro - per manifestare, anziché aumentare i salari, cosa che farebbe pagare loro il costo necessario della solidarietà.
In mezzo ad una piccola classe media mobilitata e focalizzata sul prezzo del petrolio o sul costo della vita, i piccoli padroni approfittano della mobilitazione a fini propagandistici, contro gli statali, anti-sindacali, contro gli aiuti sociali, diffondendo queste idee in tutto il corpo sociale. Ecco il motivo per cui gli appelli ad una convergenza con il sindacato sono così poco numerosi: c'è una frattura sociale fra un mondo operaio, ma qualche volta sindacalizzato (sebbene assai raramente), ed un «popolo» del management. Al di fuori delle zone suburbane vere e proprie, che sono tutto quel che rimane delle roccaforti operaie (come ad esempio il porto di Le Havre), in realtà non c'è niente che «converga». In buona fede, ci sono dei proletari che si mobilitano a partire da quelli che sono degli interessi immediati e visibili (ad esempio, il prezzo del pieno del carburante) ma sono costretti ad allinearsi su delle rivendicazioni di classe media superiore (contro gli «oneri fiscali»).
il movimento dei «gilet gialli» si dichiara apolitico, senza struttura, senza una reale ideologia e soprattutto risolutamente contrario ad un eventuale recupero da parte di corpi intermedi come i sindacati o i partiti politici, attenendosi all'agenda capitalista del discredito di ogni organizzazione di lavoratori. La sfiducia nei partiti è diventata proverbiale, basta vedere il tasso di astensione alle elezioni. Per quanto riguarda i sindacati, numerosi manifestanti della prima ora li evitano perché sono dei liberi professionisti. Negano il settore pubblico, diventato il cuore dell'attività sindacale (così come fra loro per l'appunto sono stati in molti a non essere arrabbiati contro lo sciopero ferroviario di pochi mesi fa). I dirigenti hanno tutto l'interesse a focalizzare la mobilitazione su una strategia interclassista e «apolitica», al fine di negare il rapporto di classe in nome della ricorrente categoria guazzabuglio di «popolo», e al fine così di proteggere il separatismo sociale e spaziale l'attraversa.

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Geopolitica dei gilet gialli, l'ora della scelta
I blocchi più vicini agli ultimi «bastioni operai» e quelli delle zone rurali profonde, anche se meno numerosi di quelli che hanno avuto luogo nella periferia delle grandi città, hanno visto un'importante mobilitazione (non numericamente, ma proporzionalmente) di lavoratori poveri, di impiegati e di operai. Non va minimizzato ciò che sta accadendo: in queste zone dove sono convinti che non «succede mai niente», i manifestanti hanno moltiplicato i blocchi  stradali, dimostrando a sé stessi di essere forti e capaci di azioni dirette. Essi - e soprattutto esse - hanno difeso il compromesso fordista domandano più uguaglianza di fronte alle tasse: attaccare l'evasione e la frode fiscale, reclamare il ritorno dell'ISF [Imposta di solidarietà sul patrimonio], una imposta più alta sui profitti (flat tax sui dividendi, stock options, transazioni finanziarie), ma anche più servizi e più trasporti pubblici.
Evidentemente, principalmente si tratta di una lotta per la redistribuzione o per la regolazione della parte più astratta del capitale - la sua circolazione - e non è un attacco alla sua parte più concreta. Le forze del «movimento» non attaccano le strutture e le istituzioni del capitalismo, ma chiedono che lo Stato continui a gestire gli elementi costitutivi della riproduzione globale della forza lavoro, senza andare oltre. Nessuna rivendicazione (inizialmente) di un aumento del salario minimo e di un innalzamento generale dei salari, e nessuna proposta tradizionale nel senso dell'ormai morto «movimento operaio», come il trasporto combinato ferrovia-strada, il trasporto pubblico gratuito e un risarcimento per quelli e per quelle che subiscono un habitat periferico, ecc..
Il fatto che questi obiettivi di gestione delle modalità di produzione e di riproduzione del capitale non sono per niente la base del contenuto rivendicativo , fornisce la prova della crisi del sindacalismo che difficilmente organizza una «rabbia popolare» negli spazi geografici, sociali e di lavoro in cui è poco presente. Invece, quella che vediamo è piuttosto la miseria dei coraggiosi lavoratori che attualmente lottano, fra i quali si ritrova piuttosto una critica tronca del capitalismo (con i suoi capri espiatori sociali e razziali, con la sua finanza rapace, ecc.). Ciò detto, i residenti rurali hanno saputo organizzarsi al di fuori o con il semplice sostegno della sfera sindacale: molti dei blocchi stradali rurali servono eventualmente a centralizzare  delle lotte sociale che si svolgono per lunghi mesi nella più profonda invisibilità malgrado l'indifferenza delle istituzioni.
La settimana di mobilitazione, dal 17 al 24 novembre, potrebbe portare ad un nuovo movimento sociale? La presenza dei sindacalisti e della sinistra rispetto ad alcuni blocchi stradali avvenuti nelle regioni rurali profonde è cresciuta sempre più, ed alcune zone vicine alle città rialzano la testa malgrado la presenza simultanea di militanti fascisti capaci di aggressioni anticomuniste e di violenze contro i militanti antifascisti accorsi a dare manforte. A volte, si sentono perfino delle rivendicazioni con un contenuto di classe. I blocchi di cui parliamo avvengono contemporaneamente a dei movimenti di sciopero più convenzionali, soprattutto come quelli della Fédération Nationale des Industries Chimiques della CGT (che comprende le raffinerie), le SUD Industries, la Peugeot di Sochaux, e Solidaire che chiama tutti i sindacati a incontrarsi in caso di emergenza, ecc..
La «rabbia popolare» che alza la voce è un funambolo che cammina sul filo. Tutto quanto dipenderà dall'abnegazione di alcuni manifestanti risoluti a persistere nella loro essenza, vale a dire, una negazione della politica come pratica collettiva, sindacale od autonoma, e preferirle un'orizzontalità confusa che sfocia su un terreno comune più populista e nazionalista, tipo il Movimento 5 Stelle (nonostante quelle che sono delle differenze reali), e non di emancipazione. Se a prevalere è quest'ottica, il fatto di puntare a questi spazi conferirà ad essi una rispettabilità che devia ogni critica. Quindi, il «movimento» si cercherà dei leader, rivolgendosi a qualsiasi parte dello spettro politico parlamentare. Viceversa, se l'insieme delle frange del «movimento sociale» (soprattutto quelle sindacali) tenderanno a mobilitare e ad inquadrare questo movimento dei gilet gialli su basi sane (in particolare, antirazziste, come attualmente stanno tentando di fare alcune Unioni Locali e Federazioni), e sarà molto probabile che ci sarà un interesse strategico da parte di alcuni spazi a strutturare la contestazione su basi classiste (proletarie).
Si dovrà andare oltre gli obiettivi anti-fiscali, che sono lontani dal nostro campo sociale, e concentrarsi in un primo tempo sugli attuali attacchi della borghesia contro i lavoratori. Questo significa, lo sciopero generale come primo mezzo di lotta. Esattamente ciò che Alain Griset, presidente dell'Unione delle Imprese Locali (U2P), teme: «la cosa peggiore che potrebbe accadere sarebbe quella di organizzare un blocco dell'economia ed aggravare la situazione generale», facendo appello a «mettere fine ad ogni azione di blocco, che porterebbe a mettere in pericolo le nostre aziende». Se il numero di manifestanti in paramenti gialli diminuisce, ciò confermerà semplicemente la loro natura principalmente reazionaria, E se aumenta, allora questo avverrà a partire da un'estensione dei blocchi stradali lungo dei punti strategici e ai confini delle zone industriali, e di un ripiegamento da parte dei più reazionari che coincidono con le professioni manageriali che abitano le zone periurbane.
Dopo tutto questo, la mobilitazione dei gilet gialli ci avrà insegnato un bel po' di cose in materia di urbanismo e di organizzazione spaziale (torneremo in futuro su questo, con una seconda parte specifica). Il diritto alla città tende a diventare il diritto alla mobilità. A quanto pare, sembra che si debba tornare a quello che diceva il fondatore del concetto, Henri Lefebvre: si tratta di un diritto alla centralità che fa sì che dobbiamo smettere di concentrarci sul cuore delle metropoli, a scapito degli altri spazi. La rivendicazione del diritto alla mobilità, così com'è, rimane ovviamente intrappolato nella rete della riproduzione contratta con il capitale, e possiamo dire di sapere solo una cosa: nell'attuale fase politica, emergono solo due prospettive. Quella del fascismo, o quella del comunismo.

- Agitations - Pubblicato il 25 novembre 2018 -

fonte: Agitations

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