Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk: «Questa è l'età dei neocinici»
- Trump, Putin, Orbán. Sulla scia di Diogene, Socrate, Dostoevskij. Lo sguardo sui sovranisti di oggi: «Si rifanno tutti a un’antropologia cinica e depressa»
di Stefano Vastano
Se provassimo a prenderli sul serio, a quale scuola filosofica apparterebbero Trump e Salvini, Putin o Marine Le Pen? «Tutti i sovranisti si rifanno ad una antropologia cinica e depressa», risponde Peter Sloterdijk. Non è un caso se uno dei più prestigiosi filosofi tedeschi torni alle antiche tradizioni del cinismo per inquadrare «l’incoerenza performativa» in cui si cacciano oggi i sovranisti con le loro spietate balle quotidiane.
Già nel 1983 infatti, nel suo famoso saggio “Critica della ragion cinica”, Sloterdijk ricostruiva, da Diogene di Sinope alle crisi della Repubblica di Weimar, le varie derive del cinismo nella cultura e politica occidentale. E in questa intervista esclusiva per “L’Espresso”, Sloterdijk ridisegna, in tutte le sue aporie, la fenomenologia del sovranista trionfante, «che altro non è se non il cinismo, ma nella sua forma più inconsistente giunto al potere», sintetizza il filosofo. Il cui ultimo saggio, appena pubblicato da Cortina Editore, si intitola non a caso: “Dopo Dio”. Ripartiamo da Diogene di Sinope, il filosofo più sfrontato della storia.
Qual era il messaggio del padre di tutti i cinici?
«Il messaggio di Diogene risale al nucleo più antico del pensiero greco e cioè a una filosofia della Natura, da una oscura divinità - la Moira, poi secolarizzata in “physis” - precedente all’Olimpo delle divinità!».
È questa Natura che spinse Diogene a vagare nudo e solo come un cane per le strade di Atene?
«Con il suo comportamento Diogene riportava alla luce la contrapposizione fra Natura e Nomos, le leggi e convenzioni umane che altro non sono, ai suoi occhi, che appendici arbitrarie dell’ “ordine naturale” e di una vita ad esso ispirata».
Con la sua esistenza nomade e animalesca Diogene ridicolizza le norme sociali?
« Sì, lui è una sorta di Charlot, un meteco o migrante dall’Asia minore che non si piega alle norme della polis e della democrazia ateniese. Diogene è il primo individualista radicale della storia che nell’Atene platonica rivendica l’Anarchia della vita semplice. La maggioranza non ha ragione, ecco il suo urlo».
Anche Socrate urlerà lo stesso principio contro le tradizioni ateniesi, pagando persino con la vita...
«Già, ma in Diogene, contrariamente all’arte maieutica socratica e contro l’astrazione platonica, è l’eccesso performativo, la pantomima che conta e non il dialogo filosofico. Nella sua ultima lezione, Michael Foucault analizzò la “parrhesia”, la sfrontata arte di affrontare - con virile franchezza - l’autorità dell’avversario, anche il più potente. Non è un caso se l’incontro tra Diogene ed Alessandro, in cui il filosofo prega l’imperatore di togliersi dal sole, è uno degli aneddoti più famosi dell’antichità».
Anche la filosofia dei Lumi, come il Logos platonico, si basa sul presupposto per cui ogni sapere è potere. L’attualità del cinismo sta nel smascherare come pia illusione questa fede illuministica?
«Il cinismo rispunta ogni volta in cui la politica della città entra in crisi e i valori comuni si sfaldano. In questo senso il primo cinico dell’era moderna è il “Nipote di Rameau”, lo spudorato adulatore che Denis Diderot mette in scena nel suo dialogo satirico. Un buffone verace almeno quanto il Mefistofele di Goethe, altra dissacrante figura nella galleria del moderno cinismo».
Nulla in confronto al radicale cinismo del Grande Inquisitore, la figura che Dostoevskij racconta nei Karamazov e che scaccia persino Cristo dalla città...
«Il cinismo dell’Inquisitore di Dostoevskij è così viscerale perché smentisce non solo l’equazione illuminista “Sapere è Potere”, ma nega la premessa di ogni società liberale e dell’antropologia occidentale. L’Inquisitore infatti sostiene l’oscura e profondamente russa tesi secondo cui l’uomo è troppo cattivo per essere libero. Per questo l’uomo non abbisogna di un Cristo, ma della mano forte di una ascetica élite che garantisca quella costante repressione senza cui presumibilmente la società non può sopravvivere. Inutile specificare quanto questa politologia negativa sia la base su cui oggi si regge il sistema di un Putin».
La sintonia tra il regime autocratico di un ex spione del Kgb come Putin e le alte sfere della chiesa ortodossa sono la realizzazione, nella Russia del 21° secolo, della Leggenda di Dostoevskij?
«Esatto, e la leggenda su cui Putin fonda oggi il suo potere non ripete che l’altra ipercinica massima secondo cui è il mondo stesso che altro non chiede che di essere ingannato».
Il filo che unisce l’Inquisitore ad ogni demagogo di turno è il fatto che autocrati come Putin sanno benissimo di mentire ai sudditi, ma nel loro cinismo continuano beatamente a farlo?
«Quando un oligarca come Putin declama le massime della sua negativa politologia sa benissimo che sta mentendo. D’altra parte i due assiomi dell’Inganno come base della politica e della Malvagità umana come negazione d’ogni libertà possono esser le tesi anche di un dissidente disperato. Cos’è il cinismo o il populismo di oggi se non la massima depressione al potere? Una radicale depressione politica che l’astuto populista nasconde dietro un sistema di bugie e una serie di maschere».
Benché onnipotenti i demagoghi hanno bisogno di nascondersi dietro sempre nuove bugie e maschere: perché?
«Perché nessun populista, per quanto sadico e istrione, può davvero credere nelle sue convinzioni o sentirsi in pace con se stesso. Oltre che sulla depressione ogni suo atto e parola si fonda su uno iato o incoerenza inerente alla sua stessa posizione. Donald Trump ad esempio è un mefistofelico Maestro del neo-cinismo contemporaneo. Ma anche la sua politica, altamente depressiva, si basa sul fatto che Trump deve mentire quotidianamente, e non dar retta neanche per un minuto alle verità che sistematicamente nega. Un presidente Usa che incarna alla massima potenza il dramma dell’assoluta incoerenza del cinismo giunto al potere».
Ma un potere che come questo si fonda su Fake News, cioè menzogne spacciate per “fatti“, non è il paradosso assoluto?
«Il collante che dà coerenza ad ogni società è il fluido della fiducia. Da un punto di vista operativo le società sono connesse dalla circolazione del denaro e sulla fiducia che una vita in comune esista. Sia il denaro che i valori però conoscono forme di corruzione: Stato e banche possono accumulare debiti o dare crediti che creano inflazione e quindi una demoralizzazione collettiva dei cittadini. Le ondate di inflazione in Germania hanno creato nei tedeschi quel loro carattere depresso o così moraleggiante quando è in ballo il denaro».
Che c’entra l’inflazione con il populismo al potere?
« Una cosa è la corruzione via inflazione del denaro, un’altra la corruzione dei valori etici dei cittadini nelle fasi ciniche della storia. In queste fasi corrosive come quelle che oggi stiamo vivendo sono soprattutto i più deboli a guardare con totale sfiducia alla “casta”. Da sistemi di fiducia le società si trasformano in “menzogne organizzate” su due fronti: il cosiddetto popolo dei populisti da un lato, e l’élite dall’altro. È in questo bagno acido della sfiducia che nasce e cresce la sfrontatezza del populista».
L’epoca d’oro in cui in Europa esplosero svalutazioni del denaro e sfiducia massima nelle élite è la Repubblica di Weimar, la Germania tra il 1918 e l’avvento del nazismo nel ’33...
«La Repubblica di Weimar è nata dalla catastrofe della Grande guerra. Dalle guerre, come la storia americana insegna, sono nate democrazie solo se erano guerre di liberazione. Ma il problema di Weimar fu che la sua costituzione non vide il dramma dei piccoli partiti nazionalisti che minavano le sue fondamenta liberali. Sono questi partitelli di protesta che fomentano la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni che finisce per portare al potere i populisti».
Sfiducia a parte, qual è il fattore del successo di tutti i populisti di ultra destra oggi in Europa?
«Il sincretismo. Se c’è un elemento che accomuna l’odierna Alternative für Deutschland alla Nspd di Hitler è il mix che mischia elementi di sinistra e di destra, veleni razzisti ed aspetti progressivi, una cruda Real-Politik con una sfrenata Irreal-Politik. Il populismo è sempre anti-elitismo, e la democrazia per definizione sempre in crisi. In una fase di crisi acuta, basta una figura un po’ carismatica ma ipercinica per sbarcare con questo mix sincretico al potere».
Orbán in Ungheria, Le Pen in Francia, Foto: C. Hellier - Corbis via Getty Image, VCG Wilson - Corbis via Getty Images, Getty Images Salvini in Italia o la Afd in Germania, tutti i populisti di destra vogliono alzare ora muri in Europa per difenderci da migranti e insicurezze varie. Perché il tema della sicurezza agita tanto le nostre coscienze?
«Nella psicopatologia politica agiscono due poli opposti, quello della libertà e della sicurezza dall’altro. La libertà dei consumi, di opinione, dell’emancipazione dei costumi, e l’imperativo della immunità che tira il freno alle libertà dell’individuo e del corpo sociale. La sicurezza si fa dominante quando, in una crisi, c’è gente che ha qualcosa da perdere. I partiti popolari non sono riusciti a togliere queste paure alla gente ed è su questo tasto che i populisti ripetono, come il Grande Inquisitore, che l’uomo non è buono abbastanza per essere libero».
Non è una novità se, nel 1576, Etienne de la Boétie nel suo “Discours de la servitude volontaire” notava che tutti abbiamo paura della libertà ed altro non vogliamo che esser guidati da un Uomo forte...
«Negli ultimi 250 anni non abbiamo fatto altro che sperimentare due tesi antropologiche complementari: questa pessimista di la Boétie, ma anche, a partire da Rousseau, l’assioma ottimista secondo cui l’uomo è buono abbastanza per esser libero. Non sappiamo come finisca il test: il 20° secolo con le sue dittature è costellato da conferme delle tesi dell’Inquisitore per cui l’uomo è uno schiavo ribelle, ma che teme la rivolta. Il profilo dell’Homo sapiens disegnato da Boétie è ancora più duro, visto che per lui coloro che più soffrono la miseria sono, contrariamente a ciò che Marx crederà, il veicolo migliore della diffusione di repressione e violenze».
I populisti sono quindi oggi al potere per reprimere “l’uomo in rivolta” di Camus...
«I nipotini dell’Inquisitore oggi al potere sono gli studenti peggiori che si rivoltano contro quelli più bravi di loro, contro gli insegnanti e la scuola stessa. Sono i dilettanti, ma senza nessun diletto per la cultura né capacità, e per questo amati dai loro fans. L’entusiasmo nell’era di Internet è sempre orizzontale, non ci sono ideali superiori da raggiungere o emulare per i fan di Trump o dei demagoghi populisti».
Joschka Fischer, uno dei fondatore dei Verdi tedeschi, sognava gli Stati uniti d’Europa. Che ne è di questi slanci nell’era distopica del cinismo?
«Attraversiamo una fase melanconica per quanto concerne l’entusiasmo. La maggior parte dei Paesi europei sono in uno stato ipnotico di disinformazione mitologica, ognuno si immagina di esistere da sempre come Nazione e i populisti pompano miti in queste presunte sfere di egoismi nazionali. Tutte immagini infondate, visto che l’Europa più che altro è stata una storia di conglomerati imperiali».
Il suo ultimo saggio s’intitola: “Dopo Dio”. Che ne è del sommo Bene nell’era del cinismo trionfante?
«Goethe nel Faust fa porre a Greta la domanda: “Come stai tu a religione?” Sei affidabile, cioè sposabile? Anche oggi aspiriamo, come Greta, a venir sposati, a vivere con Dio in rapporti più stabili. Nel nostro estremo bisogno di sicurezza, su cui tanto insistono i populisti, Dio ci appare come una polizza, l’assicurazione metafisica suprema. Certo che questa figura di un Dio che si presta a transazioni finanziarie non è il massimo dal punto di vista teologico né da quello politico, ma anche nella nostra epoca Dio resta “un bisogno metafisico”, come diceva Schopenhauer».
Nietzsche si era sbagliato con il suo letale annuncio: «Dio è morto»?
«La metafora è sbagliata, può morire solo ciò che ha un organismo. La questione non è tanto se esista o no, quanto se la domanda di Dio sia importante o meno. E certo oggi la Chiesa non ha più un regno territoriale, ma la funzione “imperiale” simbolica del pontefice romano a quanto pare è ancora presente».
- Stefano Vastano - Pubblicato sull'Espresso del 15/11/2018 -
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