domenica 4 novembre 2018

Collinosità

nash

Un sole bianco sorge sopra aride montagne color del sangue, proiettando raggi lattiginosi che illuminano di luce crepuscolare un lugubre paesaggio, popolato da monconi di alberi scheletrici, infìssi in un terreno sconvolto e nudo, simile a una palude ribollente di un viscido liquido verdastro. Non si vede un animale, non si vede un essere umano, non si scorge alcuna traccia di opera dell’uomo. Tutto è deserto e vuoto. Soltanto i tronchi si stagliano, sparpagliati, contorti, rigidi, evocando spettrali sagome vagamente umane, come svuotate di umanità da una venefica consunzione interiore o da un incendio devastatore, che ha annientato ogni forma di vita.
Stiamo costruendo un nuovo mondo: è il titolo del paesaggio ora descritto, che il pittore inglese Paul Nash dipinse nel 1918 mentre combatteva sul fronte occidentale. Il suo quadro avrebbe potuto essere l’immagine di copertina di uno dei primi libri realistici sulla Grande Guerra, scritto nel 1915 dal romanziere francese Henri Barbusse, anch’egli combattente sul fronte occidentale. Nella sua descrizione la distruzione della natura accompagna ovunque la carneficina di vite umane. «Ci sono degli alberi. Un filare di tronchi di salici scortecciati, alcuni larghi come facce, altri incavati e spalancati, come feretri in piedi. La scena in mezzo alla quale ci dibattiamo è lacerata e sconvolta, con collinosità, avvallamenti, enfiagioni fosche - come se tutte le nuvole della tempesta fossero ruzzolate quaggiù. Al di sopra di questa natura martirizzata e nera, lo sfacelo dei tronchi si profila su di un cielo bruno, striato, qua e là lattiginoso e oscuramente scintillante: un cielo d’onice.»

(dal prologo a: Emilio Gentile, "L’APOCALISSE DELLA MODERNITÀ. La Grande Guerra per l’uomo nuovo", Mondadori)

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