«Bogdanov immaginò di estrarre la rivoltella e sparargli al cuore. Poi avrebbe legato l'ancora al cadavere, l'avrebbe rovesciato in mare e dietro al corpo avrebbe gettato la pistola. Le storie di Leonid Voloch sarebbero andate perdute per sempre in fondo al golfo. Il suo viaggio sul pianeta socialista sarebbe morto con lui. Un racconto filosofico. Un romanzo di scienza e di fantasia che nessuno avrebbe mai letto».
Mosca, 1927. Che le proprie storie si mescolino alla realtà fino al punto di prendere vita: non è questo il sogno segreto di ogni narratore? È ciò che accade ad Aleksandr Bogdanov, scrittore di fantascienza, ma anche rivoluzionario, scienziato e filosofo. Mentre fervono i preparativi per celebrare il decennale della Rivoluzione d'Ottobre e si avvicina la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, l'autore del celebre Stella Rossa riceve la visita di un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine del suo romanzo. È l'occasione per ripercorrere le tappe di un'esistenza vissuta sull'orlo del baratro, tra insurrezioni, esilio e guerre, inseguendo lo spettro di un vecchio compagno perduto lungo la strada. Una ricerca che scuoterà a fondo le convinzioni di una vita.
«Si dirigono all'uscita, passando tra i modelli esposti. I diversi razzi sembrano rivelare la provenienza dei loro progettisti. Quello di Max Valier, sudtirolese, è un fuso di metallo e volontà tedesca, con due ali tozze, simili a braccia, ognuna terminante in un missile aguzzo. L'astronave di Federov è una balena di latta, piena di misteriosi diverticoli e trombe estroflesse, che ci s'immagina navigare malinconica e russa verso altre galassie. Il siluro lunare di Goddard è un proiettile gigante, senza fronzoli, pragmatico e yankee. I velivoli di Esnault-Pelterie sono farfalle di eleganza francese, mentre il razzo a quattro stadi con motore a doppia reazione, dell'italiano Gussalli, è barocco a partire dal nome».
(dal risvolto di copertina di: Wu Ming, Proletkult. Einaudi)
Proletkult: il comunismo viene dallo spazio
- di Luca Cangianti -
Denni è una giovane dai capelli biondissimi, però sembra un ragazzo e dice di venire da un pianeta comunista. Anche lì hanno avuto re, feudatari e capitalisti. Ma sono cose di un passato remoto. Adesso non c’è più proprietà privata dei mezzi di produzione, il potere della scienza e della tecnica ha ridotto il lavoro a un’attività residuale di tipo organizzativo che viene svolta senza che si sviluppino processi d’identificazione. Su Nacun vale ciò che Karl Marx scrisse nell’Ideologia tedesca: “nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.” Tale somiglianza con le prefigurazioni marxiane, tuttavia, vale solo nella forma, perché su Nacun gli animali non sono trattati come cose, né utilizzati come nutrimento. Il comunismo nacuniano inoltre non è una società irenica, che “non esiste un mondo dove tutti sono gentili” e “l’unica società pacificata è quella morta”. Su quel pianeta ad esempio per risolvere il problema della scarsità di risorse alcuni vogliono invadere la terra che è in uno stadio di sviluppo sociale ancora primitivo ai loro occhi. Altri sono “interplanetaristi” e non sono d’accordo nel trattare gli umani come questi trattano i “loro” conigli.
In Proletkult, il nuovo romanzo di Wu Ming, Denni, come i protagonisti delle Lettere persiane di Montesquieu, ci aiuta a vedere il mondo con lo sguardo candidamente critico dell’alieno. L’originalità dell’operazione sta tuttavia nell’ambientare il viaggio della comunista venuta dallo spazio nell’Unione sovietica del 1927. È l’anno in cui si festeggia il decennale della rivoluzione, Lenin è morto e il suo corpo è stato imbalsamato. Molti rivoluzionari sono passati dalle barricate ai faldoni dei ministeri e sorseggiano whisky di pregio; quelli più intransigenti sono stati messi in condizione di non nuocere e il potere è finito nelle mani di quel ceto impiegatizio perfettamente descritto nel Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Queste mezze maniche piccole piccole hanno ottenuto distinzione sociale e privilegi; adesso vogliono goderseli in pace. Stalin è il loro garante, mentre gli oppositori, “Trockij, Kamenev e Zinov’ev denunciano lo strapotere del partito sui soviet, ma sono stati loro a costruire il partito. Hanno ottenuto esattamente ciò per cui hanno lavorato: una gerarchia di militanti di professione, un partito-esercito, un ceto dirigente autoritario e conservatore. Il fatto che oggi cadano vittime della loro creatura è l’ironia della Storia.” A parlare in questo modo è la trasposizione letteraria di un personaggio realmente esistito: Aleksandr Bogdanov, direttore del primo istituto russo specializzato nella trasfusione del sangue. Si tratta di un uomo solo che sente su di sé il peso del fallimento di un’epoca, ma anche la persona che in gioventù fu bolscevico della prima ora, rapinatore di convogli postali, medico di trincea, filosofo, critico di sinistra del leninismo, scrittore di fantascienza e fondatore dell’Organizzazione culturale-educativa proletaria (in breve: Proletkult). Questo movimento, con il suo mezzo milione di iscritti superava in numero quelli del partito comunista russo, incoraggiava i lavoratori a scrivere opere teatrali, romanzi e poesie, prefiggendosi di superare la mentalità borghese. Secondo Bogdanov, infatti, “se gli operai conquistano le fabbriche, ma non hanno una nuova cultura per organizzarle, finiranno per dipendere dagli ingegneri e dai tecnici che già lavoravano per i vecchi proprietari, oppure ne imiteranno l’opera, con risultati peggiori, e così la pretesa rivoluzione non produrrà un reale cambiamento, se non in peggio.”
In Proletkult Wu Ming usa frasi brevi e un linguaggio cinematografico molto diverso dal fanta-argot dell’Armata dei sonnambuli, ma l’orizzonte euristico è lo stesso: la rivoluzione e il suo opposto correlato, la reazione. “Ne è valsa la pena?” ci si interrogava con rabbia nell’opera del 2014; “il mondo poi l’abbiamo cambiato davvero e in meglio”? – ci si continua a chiedere malinconicamente nel romanzo appena dato alle stampe – “il sacrificio è valso la pena”?
Denni si dice figlia di una nacuniana e di un terrestre che non ha mai conosciuto. È alla ricerca del padre perché lui sarebbe stato su Nacun e potrebbe dire a coloro che vogliono invadere la terra se gli abitanti di questo pianeta abbiano abbandonato l’arretratezza dei vecchi rapporti sociali, se insomma grazie alla rivoluzione abbiano intrapreso “la via giusta”. Forse così l’invasione e le sue orribili conseguenze potrebbero essere sventate, o forse è solo il frutto dell’immaginazione di una ragazza traumatizzata. L’incontro con Denni obbliga Bogdanov a fare i conti con la sua storia e con i fantasmi di una rivoluzione che ha generato una nuova forma d’oppressione. In questo viaggio avvincente, sulle tracce di un uomo che non si trova e di ricordi struggenti, il romanzo ripercorre le vicende teoriche e umane di coloro che osarono assaltare il cielo. Terminata la lettura alcuni alzeranno lo sguardo alle stelle con terrore, altri con speranza.
- Luca Cangianti - Pubblicato il 2/11/2018 - su Carmilla on line -
Quando E.T. sbarcò nell’Urss di Iosif Stalin
- di Wlodek Goldkorn -
Cominciamo dalla foto canonica: due signori giocano a scacchi, seduti l’uno di fronte all’altro.
L’uomo a sinistra, elegante con la bombetta sulla testa è Vladimir Uljanov, detto Lenin, capo dei bolscevichi. Il suo avversario è Aleksandr Malinovskij, detto Bogdanov; medico, filosofo, scrittore, pioniere della fantascienza; sognatore di un comunismo interplanetario, o se preferiamo cosmico. Sullo sfondo, si vedono alcune persone, tra cui la moglie di Bogdanov e seduto su una balaustra, Maxim Gorkij. La foto è stata scattata a Capri, nel 1908, dove Gorkij appunto aveva preso in affitto una villa, Villa Spinola, in cui ospitava i rivoluzionari suoi amici e dove Bogdanov aveva fondato una scuola quadri del Partito.
C’è un’altra foto dello stesso periodo e nello stesso luogo, ma che raramente viene riprodotta; forse perché in quell’immagine Lenin è a capo scoperto con la bocca spalancata, non si sa se urla o sbadiglia o forse ride, comunque il futuro leader del comunismo mondiale ha qualcosa di sguaiato, mentre Bogdanov è composto, elegante.
Bogdanov era l’avversario di Lenin non solo in tenzoni scacchistiche negli ozi di Capri, ma anche e prima di tutto nel Partito bolscevico; di più, fu l’uomo da condannare in quanto deviante e deviazionista, a causa delle sue idee filosofiche. Lenin gli dedicò uno dei suoi più celebri (e pedanti) pamphlet, dall’impossibile titolo Materialismo ed empiriocriticismo, di cui per fortuna si era persa la memoria, ma che fu a lungo caposaldo dell’ortodossia comunista.
Chissà se i Wu Ming, collettivo di scrittori di sinistra e radicali, hanno guardato quelle foto mentre facevano resuscitare, come può accadere solo in un romanzo di fantascienza, Aleksandr Bogdanov. Infatti, il medico scrittore torna in vita nel romanzo Proletkult, in uscita con Einaudi Stile libero; e risulta simpatico, generoso, onesto (un medico umanista alla Cechov). Bogdanov, nel libro, è pure un uomo che, contro il trionfante e cupo realismo di una Rivoluzione compiuta e in mano a Stalin, difende la memoria sconfitta dell’utopia e anche la dignità della sconfitta. Ma procediamo con ordine.
Il romanzo è ambientato a Mosca, nell’autunno 1927.
Siamo alla viglia del decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.
L’opposizione, capeggiata da Lev Trotzkij, è oggetto di persecuzioni; gli intellettuali che avevano organizzato la Rivoluzione, sono tristi e impauriti. Uno di questi è Anatolij Lunacarskij, critico letterario importante e bolscevico non proprio ortodosso (anche lui criticato assieme a Bogdanov da Lenin) e fondatore di Proletkult, la parola che dà il nome al libro.
Proletkult era un’associazione culturale che avrebbe dovuto introdurre e favorire una cultura genuinamente proletaria e di massa. Dopo varie vicissitudini venne sciolta da Stalin nel 1932.
Ecco, in questa Mosca grigia e tetra Bogdanov incontra una ragazza, diafana, un po’ androgina, ignara degli usi e costumi sovietici. Lui, da medico, si occupa della trasfusione del sangue; nella sua clinica scambia i fluidi dei corpi di diverse persone; questa pratica serve a far progredire la scienza, ma è anche uno strumento per rendere tutti gli umani fratelli e sorelle, consanguinei, appunto. Infine, il medico è anche l’autore di un romanzo, Stella Rossa, dove si parla di un astro su cui vige il comunismo. Le vicende delle clinica e del romanzo, sono vere. I Wu Ming hanno solo inventato la ragazza, che, si scopre leggendo, viene proprio dal pianeta raccontato da Bogdanov.
La giovane è alla ricerca di suo padre, convinta che stia a Mosca. Il medico scrittore, le dà una mano; e così gli autori ci raccontano la capitale sovietica nel 1927, in un momento storico in cui Stalin si sbarazza (per ora politicamente, li farà uccidere qualche anno dopo, assieme a milioni di cittadini) dei suoi oppositori. Ma oltre a questo, per Bogdanov, un uomo ai margini della grande Storia, l’incontro con la ragazza è una specie di dispositivo che mette in moto la sua memoria. Così, lo scienziato ricorda la rapina a mano armata, compiuta da Stalin in Georgia, nel 1907, con un bottino di milioni di rubli che entrarono nelle casse dei bolscevichi. Ma torna nella mente di Bogdanov anche la vita in comune e in esilio dei rivoluzionari; e le partite a scacchi a Capri. Nel romanzo, Bogdanov va a trovare alcuni dei suoi compagni ora funzionari di ministeri e del partito a Mosca; sono rassegnati; cercano di adattarsi a una vita senza altro scopo che sopravvivere. E per la cronaca, il vero Bogdanov morì nel 1928, nella sua clinica, a causa di una trasfusione, ma c’è chi dice che si sia trattato di un suicidio.
È stata una bella idea, quella dei Wu Ming, di mettere insieme il bolscevismo e la fantascienza, conditi da un pizzico di nostalgia che potremmo definire trotzkista.
Quel terremoto nella storia dell’Europa che fu la Rivoluzione, è stato anche il risultato di uno straordinario fermento culturale verificatosi in una Russia ancora rurale, in parte comunitaria e comunque zarista alle prese con la modernità capitalista, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. In quella Russia nascevano varie utopie; comprese quelle del comunismo su scala cosmica; operava lo scienziato e ingegnere Konstantin Ciolkovskij, che oltre 120 anni fa, progettava razzi e ascensori cosmici. Figli di Ciolkovskij sono gli scrittori e registi che hanno, in questi ultimi decenni, indagato le utopie avveniristiche (e spesso distopie), dai fratelli Strugackij a Tarkovskij e German, ma era suo figlio ideale pure Gagarin, il primo cosmonauta al mondo.
Ecco, un merito di Proletkult, è che leggendolo ci accorgiamo quanto in questi tempi dell’eterno presente, abbiamo bisogno di una narrazione che ci restituisca un’idea dell’avvenire, ma anche quanto quell’avvenire, a sua volta, è un’utopia presa a prestito dal passato.
- Wlodek Goldkorn - Pubblicato su Repubblica del 25/10/2018 -
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