Dalle Fosse Ardeatine a Cinecittà, dalla divisa nazista indossata per uccidere alla divisa nazista indossata per fare cinema. Borante Domizlaff e Karl Hass, due ufficiali delle SS che il 24 marzo 1944 spararono agli ordini di Herbert Kappler, riappaiono, con altri ex ufficiali tedeschi, nella produzione di alcuni dei più celebri film italiani del dopoguerra. Il primo, assolto nel 1948, resterà negli anni fedele a Kappler, aiutandolo nella fuga dall’Italia nel 1977. Il secondo, sfuggito al primo processo arruolandosi nei servizi segreti americani e italiani, sarà raggiunto dalla giustizia solo cinquant’anni dopo e condannato all’ergastolo. Nel frattempo, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tutti e due sbarcarono il lunario anche intrepretando ‘sé stessi’, in parti da militare tedesco, in film come Una vita difficile di Dino Risi, La ciociara di Vittorio De Sica, Tutti a casa di Luigi Comencini, La caduta degli dei di Luchino Visconti. E non furono soli.
Nazisti a Cinecittà nasce da una scoperta casuale che ha dato il via a una lunga ricerca tra carte di servizi segreti, cineteche, archivi privati e interviste a famigliari. Un racconto che a tratti si tinge di giallo, una finestra su una realtà paradossalmente ‘normale’ dell’Italia del dopoguerra: il ‘nazista della porta accanto’ tornava utile per raccontare il nazismo.
(dal risvolto di copertina di: Mario Tedeschini Lalli, "Nazisti a Cinecittà", pp. 320, 16,15 €. Nutrimenti )
L’ufficiale delle SS non si è mai pentito e fa il nazista nei film con Alberto Sordi
- di Steve della Casa -
Alberto Sordi è visibilmente spaventato, un soldato nazista gli sta puntando contro l'arma, lo minaccia di morte. Ma dietro il nazista spunta determinata Lea Massari, che sarà poi la sua compagna di vita, e colpisce il nazista con un ferro da stiro. Iniziano così le avventure di Silvio Magnozzi, il protagonista di Una vita difficile di Dino Risi (1961), una delle commedie più belle e significative del dopoguerra italiano. Carla Gravina nel film di Luigi Comencini Tutti a casa (1960) è una bella ragazza, visibilmente impacciata, e porta con sé i libri di scuola. Sale su un traghetto in Romagna che deve portarla dall'altra parte del Po. Assieme a le ci sono i soldati guidati da Alberto Sordi che dopo l'8 settembre sono sbandati e stanno cercando di tornare a casa, tra loro spicca Nino Castelnuovo. Ma su quella zattera c'è anche un soldato tedesco che parla un po' di italiano e legge il nome Silvia Modena su uno dei libri della ragazza. Cerca di attaccare discorso con lei e a un certo punto si ricorda del suo ruolo e le chiede se Modena sia un cognome ebreo, dato che in Italia gli ebrei hanno spesso un cognome dove si evoca una città. La ragazza nega, e anche gli altri passeggeri negano che di aver mai sentito che ci sia una città che si chiama Modena. Sembra tutto finito ma scopriremo tragicamente che purtroppo non è così. Sono due momenti di due film molto famosi, nei quali i toni di commedia si sposano al livello più alto con le note del dramma, con due grandi registi che raccontano il loro punto di vista sull'occupazione nazista dell'Italia dopo che il re e Badoglio si sono vigliaccamente messi al sicuro nella parte d'Italia già in mano agli alleati. Tutto è credibile: lo sono i toni, che rifuggono dalla retorica ma che non fanno sconti sulla crudeltà dei nazisti e dei loro alleati fascisti. Lo sono anche gli attori, sia quelli principali (Alberto Sordi, ancora una volta capace di raccontare le contraddizioni dell'italiano medio) sia quelli secondari, ivi compresi coloro che interpretano i nazisti. E nel secondo caso, la credibilità ha origini ben precise.
In entrambi i film, infatti, il milite tedesco ha un nome e un cognome. Borante Domizlaff (in Una vita difficile lo si può leggere anche nei titoli di testa). Sembra un nome d'arte, ma non è così: chi si occupava di crimini di guerra lo conosceva molto bene, e da questo punto è partito Mario Tedeschini Lalli per il suo libro Nazisti a Cinecittà, uscito per Nutrimenti. Domizlaff, infatti, era un alto ufficiale delle SS che operava nel 1944 in quel di Roma, e che è stato tra coloro che spararono alla nuca uccidendoli gli ostaggi che furono portati alle Fosse Ardeatine. Per questo reato fu processato insieme al suo comandante Kappler nel dopoguerra, e fu assolto perché il tribunale credette alla tesi secondo cui aveva solo eseguito un ordine al quale non poteva ribellarsi. Sia Risi sia Comencini avevano idee non certo assimilabili al nazismo: come era possibile che avessero accolto nel loro film un nazista assassino di persone inermi? Come potevano ignorare quel nome che era comunque uscito abbondantemente sui giornali, all'epoca del processo? Oltretutto, come dimostra Tedeschini Lalli, non si trattava neanche di una persona che aveva manifestato pentimento e riconosciuto i propri errori, visto che nel 1977, quando Kappler evase da un carcere italiani il giorno di ferragosto fu proprio Domizlaff ad aiutarlo per una parte della latitanza. Il libro è la storia appassionata e documentatissima di un'indagine durata tanti anni, con l'autore che ricostruisce legami, nomi, relazioni con esponenti dell'estrema destra italiana, con alti prelati compromessi con il nazismo, con una sorta di «internazionale nera» che aiutò esplicitamente gli assassini nazisti nel secondo dopoguerra godendo di tante complicità, soprattutto da parte dei servizi segreti americani che nel frattempo si stavano organizzando contro il nuovo nemico, quello comunista. E, soprattutto, è l'ulteriore scoperta che Domizlaff non era un caso isolato, anche Karl Hass, a sua volta ufficiale SS e assassino alle Fosse Ardeatine, collabora con registi che non possono essere certo accusati di collusioni con la destra eversiva come Luchino Visconti e Carlo Lizzani. E anche Hass ha avuto relazioni non marginali con i servizi segreti, e il suo nome è circolato anche in occasione delle bombe di Piazza Fontana che sono il punto più intenso di relazione tra servizi segreti e neofascisti. Lo stesso Lizzani in un intervento avvenuto al Festival di Venezia nel 1995, ammette di averlo avuto nel suo film Il processo di Verona, un altro film antifascista che ha quindi nel suo cast un nazista autentico. È lo stesso Tedeschini Lalli a mettere in guardia: non si tratta di un complotto, non è la prova di chissà quali trame o infiltrazioni. È solamente (solamente?) la prova che a guerra finita in Italia si è scelto di stendere un velo su tutta la vicenda dei nazisti in Italia: troppo pericoloso, troppo «eversivo».
- Steve della Casa - Pubblicato su Tuttolibri del 7/5/2022 -
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