La nuova qualità della crisi
- Perché dopo la guerra in Ucraina non ci sarà un ordine stabile post-bellico -
di Tomasz Konicz
E' questo «quello grosso», il Big One? Sarà questo il grande crollo che sconvolgerà tutto ciò che era stato stabilito, in termini di strutture e dinamiche globali, dall'avanzata del neoliberismo negli anni '80? A posteriori, la guerra in Ucraina può essere vista come la fine di un'epoca, come un punto di svolta nel processo di crisi globale, nel quale il sistema globale del tardo capitalismo in crisi è entrato in una nuova dimensione della crisi. Il fatto che il sistema mondiale capitalista si trovi in una grave crisi sistemica [*1], viene ora ormai generalmente accettato, anche dalla sinistra tedesca, dopo decenni di ignoranza e di marginalizzazione [*2] della teoria della crisi della critica del valore, ma quale sia il carattere del processo di crisi, appare loro ancora molto poco chiaro. E ciò dal momento che la crisi sistemica del tardo capitalismo, infatti, non è un evento isolato, né un semplice «grande crash», quanto piuttosto un processo storico che si dispiega a ondate, nel corso di decenni, la cui erosione arriva dalla periferia fino ai centri del sistema mondiale. Le crisi di indebitamento del Terzo Mondo, verificatesi negli anni '80, all'inizio dell'era neoliberista oggi ormai al collasso, e che si sono lasciate dietro file di guerre civili e di «Stati falliti», hanno raggiunto da tempo i centri del sistema mondiale. Ciò è evidente, ad esempio, nella crescente tendenza alla stagflazione, che ricorda il periodo di stagflazione degli anni '70, e che poi ha favorito l'irruzione del neoliberismo [*3]. Pertanto, la crisi sistemica non è un «big bang»[*4], ma piuttosto un processo storico di crescente sviluppo della contraddizione interna ed esterna del capitale che, a causa della razionalizzazione mediata attraverso la concorrenza, si libera della sua stessa sostanza: il lavoro che crea valore nella produzione di merci, e lascia dietro di sé un'umanità economicamente superflua [*5], e un mondo ecologicamente devastato [*6]. In questo contesto, tale processo storico di crisi - che ha dato origine al neoliberismo in quanto sistema per «ritardare la crisi» - è caratterizzato da delle fasi di letargo poi interrotte da focolai di crisi che si manifestano nei centri: come la bolla delle Dot-com nel 2000, la bolla immobiliare nel 2008, il focolaio di crisi legato alla pandemia nel 2020, e gli sconvolgimenti che iniziano ora a partire dalla guerra. Il ritardo della crisi, è stato pertanto acquistato pagandolo con la crescente instabilità del sistema, il quale aveva dovuto già affrontare focolai di crisi sempre più violenti nei decenni neoliberali, e accumulando così un ancora più grande potenziale di crisi.
La dialettica della crisi
I picchi di crisi, che vanno guadagnando sempre più intensità e attraverso i quali la crisi si manifesta, vengono pertanto preceduti da una lunga fase latente, in cui si accumula tutto il potenziale di crisi che deriva dall'auto-contraddizione del capitale; soprattutto sotto forma di montagne di debito sempre più crescenti, o di bolle sui mercati finanziari [*7] , che consentono ancora al sistema iperproduttivo come una sorta di vita illusoria da zombie [*8] grazie alla domanda finanziata dal credito. Ed è proprio questa costruzione di torri di debito che ora sta raggiungendo i suoi limiti interni a causa dell'attuale dinamica dell'inflazione [*9]. Il processo quantitativo, costituito dall'accumulo di debito e dalla nascita di bolle speculative, una volta superato il punto di svolta, porta a uno sconvolgimento qualitativo, che consiste nello scoppio di una crisi del debito, o nell'esplosione di una bolla del debito, che vengono poi percepiti pubblicamente come una «crisi». La medesima dialettica materialista della trasformazione dei cambiamenti quantitativi in una nuova qualità, può essere vista anche in quella che è la crisi climatica capitalista [*10]; [*11]. Qui, si tratta dell'aumento quantitativo dei gas serra nell'atmosfera che porta a un cambiamento fondamentale e qualitativo del sistema climatico, una volta che sono stati superati determinati punti di svolta. (A proposito: sono stati gli effetti dell'assuefazione che tra crisi economiche o ecologiche hanno anche favorito l'ignoranza della crisi, a partire dal fatto che le conseguenze di un'esplosione di crisi nei centri, o nelle periferie, si sedimentano ben presto in una nuova «normalità» in un opinione pubblica priva di senso della storia). La variante neoliberale del capitalismo trainato dalla finanza - che ha preso piede come reazione alla stagflazione, alla fine del grande boom del dopoguerra negli anni '70 - ha in un certo senso gestito il capitalismo «a credito» sia in termini economici che ecologici. Dagli anni '80, il peso del debito globale è cresciuto più rapidamente di quanto abbia fatto la produzione economica mondiale, provocando in tal modo delle scosse sempre più forti nei mercati finanziari, sotto forma di bolle speculative e crisi del debito. Anche dal punto di vista ecologico, la globalizzazione capitalistica neoliberista è stata accompagnata da un costante aumento delle emissioni di CO2, che finora è stato possibile ridurre solo a breve termine e a costo di crisi economiche. E sono proprio le crescenti distorsioni climatiche ed economiche a rendere oggi sempre più instabile il sistema nella sua forma neoliberale. L'edificazione della torre del debito neoliberista, che è alla base di quest'epoca, non può continuare all'infinito. Lo stesso vale per la macchina globale della combustione dei combustibili fossili [*12], portata avanti dalla globalizzazione neoliberale - che è in realtà una globalizzazione delle dinamiche del debito attraverso i circuiti del deficit. L'aumento quantitativo del potenziale di crisi, che ha prodotto una montagna di debito globale pari al 356% della produzione economica mondiale [*13], insieme a una concentrazione di CO2 pari a 419,82 ppm [*14] , sta spingendo il capitalismo fino al suo limite interno ed esterno, quantomeno a quello che è il limite dello sviluppo dell'era neoliberista del capitale. Attuare un cambiamento qualitativo verso un altro modo di elaborare la crisi capitalistica, sembra inevitabile (è impossibile superare la crisi economica ed ecologica del capitale nel quadro della formazione sociale capitalistica). Questo passaggio dialettico dalla quantità alla qualità, sta avvenendo in particolare per quel che riguarda il processo di globalizzazione, il quale sembra si stia trasformando nel suo contrario. Ed è proprio qui che emergono chiaramente i contorni di una nuova fase di crisi, che sarebbe caratterizzata da una «frammentazione dell'economia mondiale in blocchi geopolitici», dove verrebbero utilizzati anche «diversi modelli commerciali e tecnologici, sistemi di pagamento e riserve monetarie», come ha avvertito il Fondo Monetario Internazionale (FMI) in un documento dell'aprile 2022 [*15]. Già a metà marzo, il Fondo Monetario Internazionale aveva descritto la guerra come un «colpo importante per l'economia globale» che non solo avrebbe «alterato radicalmente l'ordine economico e geopolitico globale», ma avrebbe anche comportato il rischio di una maggiore instabilità in alcune regioni periferiche come l'Africa o l'America Latina, che sarebbero state colpite da una crescente insicurezza alimentare [*16].
De-globalizzazione
Le sanzioni che accompagnano la guerra interrompono importanti flussi commerciali globali, e portano a un rapido aumento dei prezzi non solo dell'energia, ma anche degli alimenti, dal momento che Russia, Bielorussia e Ucraina sono tra i più importanti esportatori globali di cereali e fertilizzanti [*17]. Per i beni essenziali, per gli alimenti e i combustibili fossili, la globalizzazione capitalista è in effetti già crollata. Le sanzioni occidentali sui fertilizzanti russi e bielorussi potrebbero ridurre la produzione agricola in molti paesi [*18]. Ma non è solo il confronto imperialista tra Est e Ovest nella guerra in Ucraina, a contribuire all'esplosione dei prezzi: anche i Paesi non coinvolti hanno ormai da tempo fatto ricorso a delle misure protezionistiche per garantire la sicurezza alimentare e la stabilità politica interna. A causa dei massicci aumenti dei prezzi, e della minaccia di scarsità dell'offerta, l'Indonesia, ad esempio, ha emanato un divieto di esportazione dell'olio di palma, che ha ulteriormente aggravato la situazione dell'offerta, soprattutto nel Sud globale, dato che la guerra aveva già causato il crollo delle esportazioni di olio di girasole ucraino [*19]. L'India ha agito in modo simile con il suo recente divieto di esportazione del grano [*20]. Con l'improvvisa de-globalizzazione, l'inflazione e la carenza di forniture, già presenti prima della guerra a causa della pandemia, stanno ora prendendo piede. Ma anche questa grande esplosione, che scuote i flussi globali di merci e di finanza, non nasce dal nulla. Sono anni che gli sforzi per rivedere la globalizzazione sono stati virulenti, soprattutto nella figura del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale personifica come nessun altro le contraddizioni della produzione capitalistica di merci. Eletto da una parte della classe media statunitense impoverita, Trump si è proposto di far tornare «grande» un'America deindustrializzata e afflitta da un gigantesco deficit commerciale, erigendo barriere commerciali. L'obiettivo del protezionismo di Trump era la reindustrializzazione degli Stati Uniti. Le dinamiche del debito che si sono sviluppate durante la finanziarizzazione neoliberale, la quale ha preso piede dopo la fine del grande boom fordista del dopoguerra, lasciando il sistema mondiale sempre più a credito [*21], non si sono sviluppate in maniera uniforme. Le regioni con grandi deficit, come gli Stati Uniti o l'Europa meridionale, si contrappongono ai Paesi con grandi eccedenze di esportazioni. Ciò ha portato alla formazione di circuiti di deficit, che sono poi diventati sempre più importanti durante la globalizzazione, e hanno plasmato il corso degli episodi di crisi nei primi due decenni del XXI secolo (bolla immobiliare, crisi dell'euro). La globalizzazione non è quindi ovviamente la causa del processo di crisi del capitalismo, con le sue distorsioni, come le bolle dei mercati finanziari e le crisi del debito, ma è la forma del suo corso storico. Il maggior circuito di deficit - quello del Pacifico tra Stati Uniti e Cina - è stato caratterizzato dal fatto che la Repubblica Popolare, divenuta la nuova «officina del mondo», ha esportato gigantesche quantità di merci attraverso il Pacifico verso gli Stati Uniti in via di deindustrializzazione, accumulando così enormi surplus commerciali, mentre nella direzione opposta ha corso un flusso di mercato finanziario di titoli di debito statunitensi, cosicché la Cina è diventata il principale creditore estero di Washington [*22]. Un circuito di disavanzo simile, ma di minore entità, si è formato tra la RFT e la periferia meridionale dell'eurozona nel periodo che va dall'introduzione dell'euro fino alla crisi dell'euro [*23]. In questo modo, la globalizzazione non è stata caratterizzata solo dalla creazione di catene di approvvigionamento globali, ma anche da una corrispondente globalizzazione delle dinamiche del debito, realizzate attraverso i circuiti del deficit, che, come detto, negli ultimi decenni sono cresciuti più rapidamente della produzione economica globale - e di conseguenza hanno funzionato come un importante motore economico, generando una domanda finanziata dal credito. La globalizzazione che ha prodotto questi giganteschi squilibri globali, è stata una reazione sistemica, una fuga in avanti dalle crescenti contraddizioni interne del modo di produzione capitalistico, il quale sta soffocando il proprio sviluppo produttivo. Ciò che sta ora accadendo a livello globale, potrebbe essere studiato nei suoi rudimenti sulla base della crisi dell'euro: finché le montagne di debito crescono, e le bolle dei mercati finanziari scoppiano, tutti gli Stati coinvolti sembrano trarre profitto da questa crescita del credito. Ma non appena le bolle scoppiano, inizia la battaglia su chi debba sostenere i costi della crisi. In Europa, com'è noto, Berlino ha usato la crisi per trasferirne i costi all'Europa meridionale sotto forma dei famigerati dettami di austerità di Schäuble. Ora, a livello globale, è imminente il crollo dell'economia in deficit finanziata dal debito, molto più grande, che ultimamente è stata tenuta in vita principalmente dalla politica monetaria espansiva delle banche centrali. Il valore che è stato accumulato nella sfera finanziaria - capitale «fittizio» non generato dall'impiego di forza lavoro - verrà svalutato a causa della mancanza di un nuovo regime di accumulazione nella produzione di merci [*24]. L'aumento dell'inflazione, di fronte al quale la politica monetaria borghese si trova in una trappola di crisi [*25], che permette solo la strada verso l'inflazione e/o la recessione, è proprio un'espressione dell'inevitabile svalutazione imminente del valore. Per molti Stati precedentemente incatenati alla globalizzazione attraverso i circuiti del deficit e la competizione per la localizzazione degli investimenti, i costi crescenti della crisi superano i vantaggi erosi delle economie deficitarie, cosicché le tendenze centrifughe nazionali e regionali prendono il sopravvento e costringono al crollo della globalizzazione. Si tratta di una contraddizione indotta dalla crisi. Il capitalismo ne è pieno.
La Cina come nuova Egemone?
È proprio questo esaurimento della costruzione della torre del debito neoliberista degli ultimi decenni, a far sì che i mostri dello Stato tardo-capitalista cerchino sempre più spesso rifugio nell'espansione esterna, contro le crescenti contraddizioni interne. La Turchia, flagellata da un'elevata inflazione a due cifre, e spinta da Erdogan verso nuove campagne imperialiste di conquista, è, per così dire, solo il modello della crisi manifesta dell'imperialismo che si sta diffondendo in molti luoghi. Questa fuga neo-imperiale verso la guerra legata alla crisi, è evidente anche nel caso della Russia, che ha dovuto sedare diverse rivolte e disordini nel suo «cortile» post-sovietico nei mesi precedenti l'invasione dell'Ucraina [*26]. Ma questa relazione causale tra crisi e guerra, si manifesta anche nelle azioni espansive dell'Occidente verso lo spazio post-sovietico che, con il suo rifiuto di accettare garanzie di neutralità per l'Ucraina, ha chiaramente provocato la guerra di aggressione della Russia nel «cortile» geopolitico del Cremlino. Per gli Stati Uniti, la lotta contro l'Eurasia, così come è delineata nell'alleanza Cina-Russia, costituisce una lotta per l'egemonia e per il dollaro visto nella sua funzione di valuta di riserva mondiale [*27]. Gli Stati Uniti, a causa del loro estremo deficit commerciale, hanno in un certo senso funzionato da buco nero dell'economia mondiale, assorbendo gran parte del surplus di produzione dell'industria iperproduttiva del tardo capitalismo. Con la rapida accelerazione dell'inflazione, alimentata non solo dalla politica monetaria espansiva delle banche centrali, ma anche dallo strangolamento delle risorse e dal boom della crisi climatica [*28] , la capacità di Washington di prendere liberamente a prestito la valuta di riserva globale - che è misura del valore di tutte le materie prime - si trova ora a rischio. Allo stesso tempo, la Cina, che insieme alla Russia sta cercando di formare un blocco di potere eurasiatico, con l'imminente fine dell'economia deficitaria degli Stati Uniti sta per perdere un importante incentivo a tollerare l'egemonia statunitense: le eccedenze estreme delle esportazioni cinesi, che hanno contribuito in maniera significativa all'industrializzazione capitalistica in ritardo della Repubblica Popolare negli anni '90 e all'inizio del XXI secolo, dallo scoppio della crisi immobiliare del 2008 non svolgono più alcun ruolo centrale come motore economico; e probabilmente perderanno peso rapidamente anche in futuro, rispetto agli Stati Uniti. Tuttavia, è un errore interpretare l'attuale sconvolgimento globale come se fosse una transizione verso un nuovo sistema egemonico in cui la Cina «succederebbe» in qualche modo agli Stati Uniti. L'Impero di Mezzo sembra essere in procinto di sostituire gli Stati Uniti come potenza capitalistica egemonica globale; ma allo stesso tempo questo cambiamento radicale non è più possibile nel quadro del modo di produzione capitalistico, e questo a causa dell'aggravarsi della crisi socio-ecologica. La storia dell'espansione globale del sistema mondiale capitalista, iniziata nel XVI secolo, avviene per cicli egemonici, come quelli descritti da Giovanni Arrighi nella sua affascinante opera "Adam Smith a Pechino" [*29]: una potenza emergente guadagna una posizione dominante all'interno del sistema, e dopo un certo periodo di dominio questa potenza egemone entra in un declino imperiale, e così viene infine sostituita da un nuovo egemone. Secondo Arrighi, ogni ciclo egemonico ha due fasi: la prima si verifica in una fase di ascesa imperiale, caratterizzata da una «espansione materiale», cioè, dal dominio dell'industria produttrice di merci della nuova potenza egemone. Dopo lo scoppio di una «crisi di avvertimento» economica - innescata da processi di sovra-accumulazione - si installa la fase di discesa imperiale, la quale si accompagna all'espansione finanziaria e al dominio dell'industria finanziaria, la quale consente ancora all'egemone discendente un apogeo economico e imperiale finale.
Questa sequenza può essere chiaramente confermata, empiricamente, sia nel caso della Gran Bretagna che degli Stati Uniti. L'Impero inglese, che nel Settecento era diventato l'«officina del mondo», nel contesto dell'industrializzazione, durante la seconda metà dell'Ottocento divenne il centro finanziario mondiale, prima di essere poi sostituito, nella prima metà del Novecento, dall'ascesa economica degli Stati Uniti, che a loro volta sperimentarono la loro «crisi di avvertimento» durante la fase di crisi della stagflazione negli anni Settanta. A ciò ha fatto seguito la deindustrializzazione e la finanziarizzazione degli Stati Uniti, che ha portato al dominio economico del settore finanziario.
Arrighi sostiene inoltre che il passaggio tra due cicli egemonici è accompagnato dall'indebitamento della potenza egemone discendente nei confronti di quella ascendente, come illustrato nel libro dall'esempio della crescente dipendenza economica della Gran Bretagna dagli Stati Uniti durante la Prima guerra mondiale. Durante il periodo della guerra mondiale, la Gran Bretagna accumulò un enorme deficit commerciale con gli Stati Uniti, «che avevano fornito miliardi di dollari in munizioni e cibo agli Alleati, ma in cambio ricevettero pochi beni». Per inciso, nel suo ruolo, la Gran Bretagna aveva agito in modo simile nel suo ruolo di «banchiere» della coalizione antinapoleonica, un centinaio di anni prima. Ed è proprio questo rapporto di dipendenza tra gli Stati Uniti in declino e la Cina in ascesa a essere stato descritto sulla base del circuito del deficit del Pacifico, dove le eccedenze delle esportazioni cinesi hanno contribuito all'industrializzazione orientata all'esportazione della Cina, e all'accumulo di deficit negli Stati Uniti.
A allora cosa c'è qui di sbagliato? Stavolta, cosa c'è di sbagliato che rende impossibile un nuovo ciclo egemonico cinese? Perché il XX secolo «americano» non può essere sostituito dal XXI secolo «cinese»? In primo luogo, la Cina ha ovviamente già superato la «crisi di avvertimento» che, nel 2008, ha segnato il passaggio a un modello di crescita guidato dai mercati finanziari. Con lo scoppio delle bolle immobiliari negli Stati Uniti e in Europa, le eccedenze estreme delle esportazioni cinesi sono diminuite (con l'eccezione degli Stati Uniti), mentre i giganteschi pacchetti di stimolo, che Pechino ha lanciato in quel periodo per sostenere l'economia, hanno portato a una trasformazione delle dinamiche economiche cinesi: le esportazioni hanno perso peso, l'industria delle costruzioni finanziata dal credito e il settore immobiliare hanno da allora in poi costituito i motori centrali della crescita economica. Ad esempio, secondo le statistiche ufficiali, dal 2011 al 2013 la Cina ha consumato circa 6,6 giga-tonnellate di cemento, il che significa che la Repubblica Popolare, destinata a un boom permanente, ha prodotto in tre anni più cementi di quanto gli Stati Uniti abbiano fatto nell'intero XX secolo. Alla fine di marzo 2015, il Washington Post [*30] si è entusiasmato per il fatto che in tal modo l'intera Hawaii potrebbe essere ricoperta di cemento, e trasformata in un enorme parcheggio. Secondo il WP, gli Stati Uniti hanno consumato 4,5 giga-tonnellate di cemento nel secolo scorso, e le cifre ufficiali di Pechino avrebbero bisogno di un esame più approfondito, cosa che non è affatto scontata. Le cifre sono «sorprendentemente logiche» se si considera che gran parte delle infrastrutture cinesi sono state costruite solo nel XXI secolo, e che l'urbanizzazione nel Paese più popoloso del mondo sta progredendo rapidamente. Nel 1978, solo un quinto di tutti i cinesi viveva in città; nel 2020, la percentuale era salita al 60%. Quindi anche la crescita della Cina avviene a credito, anche la «Repubblica Popolare» è fortemente indebitata, proprio come i centri occidentali in declino del sistema mondiale (per di più: l'ascesa della Cina a «officina del mondo» si è basata anche sui processi di indebitamento dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti, avvenuti a causa delle eccedenze delle esportazioni cinesi nel quadro dei circuiti di deficit di cui sopra) [*31]. E questo circuito di deficit cinese produce degli eccessi speculativi ancora maggiori rispetto agli Stati Uniti o all'Europa occidentale, come hanno reso evidente le distorsioni del mercato immobiliare cinese assurdamente gonfiato nel 2021 [*32]. Questa mancanza di un nuovo regime di accumulazione nella produzione di materie prime - in cui si manifesta il limite interno del capitale - costituisce la principale differenza tra la Cina e gli Stati Uniti: Washington ha potuto approfittare di due decenni di espansione del capitale sotto il fordismo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, all'inizio della sua egemonia. La Cina, invece, a causa del crollo delle sue torri del debito, avvenuto in un sistema mondiale tardo-capitalista sovra-indebitato, è come se fosse già in declino prima ancora di raggiungere l'egemonia. Un altro momento che rende impossibile, in termini ecologici, l'egemonia cinese nel sistema mondiale tardo-capitalista è stato descritto da Arrighi nel suo lavoro, quando parla della tendenza storica alla progressione all'interno dei cicli egemonici: nella storia del sistema mondiale capitalista, il territorio, la popolazione e il peso economico delle potenze egemoniche aumentano. Dai pochi milioni di sudditi della Gran Bretagna, alle centinaia di milioni di cittadini americani degli Stati Uniti egemoni continentali, fino all'ultimo incremento possibile di quello Stato con oltre un miliardo di abitanti che è la Cina. Questo, però, fa saltare i limiti ecologici del sistema capitalistico mondiale [*33], dal momento che la Cina è già il maggior emettitore di gas serra e la crisi climatica sta già avendo conseguenze catastrofiche che stanno devastando soprattutto la Repubblica Popolare [*34].
Oceania contro Eurasia?
Il crollo dell'economia del deficit globale e l'aggravarsi della crisi climatica impediscono un nuovo «ordine mondiale» plasmato da Pechino, precludono un ciclo egemonico cinese. In fin dei conti, l'egemonia significa che la posizione dell'egemonico venga quantomeno tollerata, poiché porta vantaggi agli altri Stati del sistema egemonico. Nel caso degli Stati Uniti, è stato il lungo boom fordista del dopoguerra e, a partire dagli anni Ottanta, l'economia in deficit basata sulla valuta di riserva mondiale, il dollaro, a rendere possibile l'egemonia di Washington. L'ascesa della Cina, invece, non può più basarsi su queste basi economiche.
Il ciclo storico dell'egemonia del sistema mondiale capitalista si sovrappone così al processo della crisi socio-ecologica del capitale, che interagisce con esso e fa sì che l'ascesa e il declino dell'egemonia cinese si sovrappongano. Al posto del sistema egemonico americano, entrato in aperta dissoluzione con l'invasione dell'Iraq a partire dal 2003, sembra ormai essersi formato un blocco globale in cui Eurasia (Russia e Cina) e Oceania (gli Stati Uniti con i loro sistemi di alleanze dell'Atlantico e del Pacifico) si trovano in perenne conflitto, in una vera e propria distopia. Ma anche questo fronte, che ricorda la Guerra Fredda - e che si sta intensificando in un conflitto aperto in Ucraina - è destinato a rimanere instabile e volatile. Si potrebbe persino sostenere che Washington e Londra, in quanto forze trainanti del conflitto in Ucraina, stiano anche perseguendo l'obiettivo di saldare il sistema di alleanze occidentali, in via di erosione nel suo complesso, attraverso un fronte comune contro Mosca nelle trincee dell'Ucraina orientale. Il collasso della globalizzazione è sinonimo di crollo dell'economia globale in deficit sopra descritta, che aveva stabilizzato il sistema mondiale nell'era neoliberista. Questo è il fattore decisivo che determinerà il futuro corso della crisi. L'edificio della torre del debito, che più recentemente è stato mantenuto attraverso la stampa di moneta da parte delle banche centrali, e che ha ritardato lo scoppio manifesto della crisi nel periodo neoliberista, sta attualmente crollando senza che sia prevedibile un nuovo regime di accumulazione, con il risultato di intensificare la competizione cieca della crisi a tutti i livelli della socializzazione capitalista. Un «ordine del dopoguerra» non sembra più possibile, a causa dell'impatto crescente della crisi e del conseguente aumento della concorrenza in crisi. Questo vale anche per l'imperialismo in crisi che, pur evocando ricordi del XIX secolo, è guidato da una logica di sviluppo inversa. Mentre il primo «Grande Gioco» imperialista si è svolto durante una fase di espansione globale del capitale, nel quale sempre nuove regioni periferiche sono state integrate a ferro e fuoco nel sistema mondiale capitalista, la sua riproposizione nel XXI secolo avviene invece sullo sfondo della contrazione del processo di valorizzazione, che sta lasciando dietro di sé sempre più «terra bruciata» dal punto di vista economico ed ecologico, insieme ai corrispondenti «Stati falliti».
In breve: dal momento che il capitale non può più continuare la sua vita da zombie finanziata dal credito, gli ultimi mostri dello Stato capitalista si stanno accasciando l'uno sull'altro, il che rende instabili anche tutte le attuali alleanze, poiché la pressione competitiva legata alla crisi sta aumentando anche tra l'UE e gli USA, tra Pechino e Mosca. C'è una certa inevitabilità in tutto questo, poiché la lotta per il riconoscimento mondiale nella crisi mondiale del capitale equivale di fatto a una lotta contro il declino sociale ed economico, una lotta sul Titanic del sistema mondiale del tardo capitalismo che è in aperta decadenza. L'isolamento di chi è economicamente superfluo e la sicurezza delle risorse costituiscono i momenti centrali di questa crisi dell'imperialismo, mentre le potenze e le regioni mondiali inferiori barcollano verso il collasso statale. Ciò diventa chiaro nell'esempio della guerra per l'Ucraina, dove entrambe le parti stanno di fatto cercando di strumentalizzare le tendenze alla disintegrazione dello Stato per i propri interessi. Mosca sta lavorando per istituire «repubbliche popolari» nelle regioni russofone occupate dell'Ucraina - sull'esempio di Donetsk e Luhansk - al fine di incorporarle nella Federazione Russa. L'estrema destra ucraina, che attualmente costituisce la fanatica punta di diamante dell'esercito ucraino, vede invece la guerra come un'opportunità per accelerare la disintegrazione dello Stato russo in modo da poter realizzare, alla sua ombra, le proprie ambizioni imperiali [*35].
Quella che si sta sviluppando qui è una logica talebana , in cui - come nel caso degli aiuti militari occidentali ai combattenti della guerra santa in Afghanistan negli anni '80 - si sta meglio armando un movimento estremista che nel corso della crisi destabilizzerà la regione, e porterà a pieno sviluppo quelle tendenze anomale già esistenti nel marcio apparato statale ucraino (corrotto quanto quello russo). Anche i nazisti in Ucraina, che oggi stanno rapidamente guadagnando influenza [*36], seguono in maniera superficiale quello che è il loro modello storico; simile all'imperialismo in crisi descritto sopra. Avendo ingaggiato la lotta per il solito impero nazionale nella forma dello Stato, sono di fatto oggetto dell'anomala barbarie che si sviluppa oggettivamente durante la crisi, cioè il rapido avanzare della decadenza dello Stato.
Un altro momento della nuova fase di crisi - nella quale interagiscono i limiti esterni e interni del capitale - diventa chiaramente visibile proprio durante la guerra in Ucraina: a seguito della guerra, la rapida diffusione della mancanza di risorse e di cibo ancora vendibile, diventerà un fenomeno permanente [*37]. Di fronte all'aggravarsi della crisi climatica e al collasso della globalizzazione, il sistema agricolo globale del tardo capitalismo - che ha trasformato le risorse naturali e i mezzi di sussistenza dell'umanità in supporti del valore, e li brucia ai fini di una valorizzazione sfrenata [*38] - non è in grado di mantenere l'approvvigionamento alimentare per ampie parti dell'umanità alla periferia del sistema mondiale; anche se ciò sarebbe ancora possibile in un sistema post-capitalista di conservazione delle risorse, nonostante l'aggravarsi della crisi climatica. Con il crollo sempre più evidente dell'economia del deficit globale - compresi i circuiti del deficit descritti in precedenza - e con la svalutazione del valore ormai imminente anche nei centri, nell'eurozona e nell'area del dollaro, che molto probabilmente sarà annunciata da una stagflazione, anche le catene di approvvigionamento globali di materie prime, risorse e prodotti alimentari di base rischiano di crollare; o almeno di essere gravemente danneggiate. La crisi di scarsità caratteristica della nuova qualità della crisi, che si sta già diffondendo nella periferia [*39] , è pertanto il prodotto delle crescenti contraddizioni insite nella coazione alla crescita del capitale - e anche in questo caso la «carenza di offerta» di cui si lamenta l'industria tedesca, ad esempio, è stata solo la manifestazione, nel corso della pandemia, di questa nuova qualità della crisi di un sistema mondiale in aperta disintegrazione.
Di conseguenza, il carattere del «Grande Gioco» neo-imperialista sull'Ucraina è di conseguenza cambiato dal 2014: quando l'Occidente è intervenuto [*40] per impedire la formazione dell'«Unione Eurasiatica» propagandata da Putin. Con la lotta per le regioni meridionali e sudorientali dell'Ucraina, che il Cremlino vuole incorporare nel suo impero marcio, ora si sta ora svolgendo quella che è anche una guerra per le risorse dall'aspetto arcaico. Sono queste aree ad avere i rendimenti agricoli più elevati [*41]. Mosca, che non è riuscita a modernizzare l'economia russa, sta quindi espandendo la sua strategia di «impero dell'energia», che mira a un controllo estensivo della «catena del valore» delle fonti energetiche, in modo da includere altre risorse «scarse»: i prodotti alimentari di base. La Russia non vuole essere solo una stazione di rifornimento con armi nucleari, ma anche un granaio, e questo proprio in previsione della crisi climatica.
L'invasione russa dell'Ucraina lascia quindi intravvedere come sarà il prossimo periodo di crisi, in cui un sistema mondiale capitalista in disgregazione non permetterà più un'egemonia fissa o la formazione di blocchi, e questo a causa dei crescenti impatti economici ed ecologici, mentre è invece probabile che aumentino gli scontri bellici aperti per le risorse essenziali, anche tra le grandi potenze, le quali nel frattempo si stanno sempre più chiudendo alla periferia. In un certo senso, tutto diventerà petrolio - soprattutto perché il processo di crisi non si ferma alla reificazione del discorso borghese sulla crisi - e i singoli momenti di questa dinamica, che nella percezione pubblica sono ordinatamente separati l'uno dall'altro e discussi come «crisi economica», «crisi climatica», «instabilità politica» o «scarsità di approvvigionamento», interagiranno sempre più tra loro. Il punto di fuga di questa nuova qualità della crisi - a livello geopolitico e «neo-imperiale» - è, in ultima analisi, uno scambio di vessilli nucleari, che diventa sempre più probabile con la crescente intensità della crisi ecologica ed economica, attraverso «impatti di crisi» sempre nuovi e sempre più violenti.
Formazione e disintegrazione dello Stato autoritario
Dal momento che la de-globalizzazione si accompagna al crollo dell'economia globale in deficit - cosa che porterà alla svalutazione della montagna del debito neoliberista - ecco che le più gravi dislocazioni economiche e sociali, che hanno devastato ampie parti della periferia sotto forma di crisi del debito e di crolli economici nell'era neoliberista, ora questa volta sembrano probabili anche nei centri. Se le élite funzionali del capitalismo non hanno altri metodi a disposizione per rallentare la crisi, allora il processo di crisi, che dagli anni '80 procede per gradi dalla periferia al centro, raggiungerà il suo logico punto di arrivo. Non sono solo gli Stati Uniti - che gemono sotto un assurdo carico di debito pubblico e privato - a trovarsi di fronte al baratro economico mentre aspettano la necessaria inversione di rotta della politica monetaria; ma sono proprio le economie di esportazione, come quella della RFT, che dipendono fortemente dall'economia globale in deficit attraverso le loro eccedenze di esportazione, e che di fatto rappresentano un'esportazione di debito, ad essere ora particolarmente colpite dalla de-globalizzazione. In questo modo, a prima vista, una tendenza già apparsa nella fase finale dell'era neoliberista sembra ora avviarsi a diventare un momento centrale del nuovo periodo di crisi: lo Stato come attore economico, che negli ultimi anni sembrava aver stabilizzato il sistema con pacchetti di stimolo e con un'eccessiva stampa di moneta nel contesto dell'ultima grande bolla di liquidità [*42], è ora probabile che diventi la variabile economica dominante nel breve termine, a causa della nuova qualità del processo di crisi; anche se questi movimenti riflessi del capitalismo di Stato non hanno più alcuna prospettiva di successo. In generale, lo Stato capitalista, che già nella sua forma iniziale assolutista agiva come se fosse il più importante motore dell'avvio del processo di valorizzazione nel quadro della «economia delle armi da fuoco» europea (Robert Kurz), agisce ora come attore economico centrale in tempi di guerra e di crisi. Lo Stato non è un'alternativa al mercato, come spesso appare nella critica tronfia del capitalismo, ma è una correzione necessaria alla cieca dinamica del mercato, che tende a essere autodistruttiva. Non appena le contraddizioni insite nella valorizzazione del capitale scuotono il sistema nelle sue fondamenta attraverso crisi o guerre, lo Stato - che è sempre uno Stato capitalista - deve intervenire per cercare di stabilizzare il sistema. Più recentemente, ad esempio, lo ha fatto nel periodo di crisi e di guerra degli anni Trenta. Anche oggi, di fronte alla crisi climatica e alla guerra, nell'opinione pubblica si levano voci che invocano una transizione aperta all'idea di rinuncia [*43], al capitalismo di Stato e all'economia di guerra [*44]. Lo Stato non deve solo sostenere l'«economia» attraverso programmi di stimolo economico, la costruzione di nuove infrastrutture «verdi» e la stampa di denaro, come nella fase finale del neoliberismo; ma anche la costosa ricerca di base, il sovvenzionamento dei consumi o della produzione e l'organizzazione della distribuzione dei beni nelle fasi di crisi sembrano concepibili sotto la guida dello Stato. Le decisioni strategiche dello Stato in materia di sviluppo industriale fanno già parte della politica borghese, ad esempio nella RFT sotto forma di promozione di "campioni industriali" che devono conquistare i mercati mondiali con il sostegno dello Stato (anche in questo caso, l'Occidente segue in realtà solo la Cina e la Russia) [*45]. In risposta alle prossime fasi di crisi, sono prevedibili anche le nazionalizzazioni, in particolare quelle nel settore delle infrastrutture in rovina e a rischio di crisi del tardo capitalismo.
Tuttavia, questo ruolo necessario dello Stato, in quanto «amministratore della crisi», viene minato dal già citato esaurimento della globalizzazione dell'economia del deficit dell'era neoliberale, che, di fronte a montagne vertiginose di debito, mercati finanziari surriscaldati e inflazione in rapida ascesa, sta conducendo la politica in un vicolo cieco, in una trappola della crisi: da un lato, la politica di crisi capitalista dovrebbe effettivamente abbassare i tassi d'interesse, stampare moneta e sostenere l'economia attraverso programmi di stimolo economico in modo da ridurre al minimo le conseguenze economiche della guerra in Ucraina; ma allo stesso tempo sarebbe però necessario anche aumentare i tassi d'interesse, e seguire così una coerente linea di austerità al fine di ottenere almeno un certo controllo sull'inflazione.
Questa trappola della crisi [*46], che sta diventando sempre più evidente, e che segna la fine del ritardo neoliberista finanziato dal credito rispetto all'avanzamento manifesto della crisi nei centri, nel momento in cui si chiuderà provocherà le più gravi distorsioni economiche e sociali - soprattutto nei centri, e soprattutto nelle loro classi medie. Con l'aumento dell'impoverimento, la graduale brutalizzazione delle società borghesi metropolitane, in atto da decenni, si trasformerà in aperta barbarie, spinta dall'intensificarsi della concorrenza dovuta alla crisi che investe oramai tutti i livelli, e che sta portando all'anomia. L'arretramento socio-politico dello Stato indotto dalla crisi, lo ridurrà al suo ruolo originario di strumento di repressione. Il nuovo impulso di crisi implicherà pertanto una corrispondente reazione dello Stato. Le aspirazioni autoritarie dello Stato, già presenti nel neoliberismo sotto forma di smantellamento della democrazia e di espansione dello Stato di sorveglianza, diventeranno apertamente evidenti. Il presidente americano di destra Trump è stato solo un preludio in questo senso. E anche nella Repubblica Federale è probabile che il potenziale fascista in fermentazione latente si manifesti pienamente solo quando l'effetto civilizzante delle elevate eccedenze commerciali con l'estero, che costringono le élite funzionali tedesche a tenere conto dell'opinione estera, scomparirà nel corso della crisi. La guerra in Ucraina, in particolare, rende evidente questa interazione tra esplosione della crisi, brutalizzazione e riflesso autoritario dello Stato. Lukashenko, una volta descritto come «l'ultimo dittatore d'Europa», sembra essere diventato il precursore di tutte le tendenze autoritarie che si stanno attualmente diffondendo nell'UE, ad esempio in Ungheria o in Polonia, nella NATO, soprattutto sotto forma di regime islamofascista in Turchia, o nella stessa Ucraina, che sta già seguendo le orme della Russia con arresti di membri dell'opposizione e divieti di partito [*47] È un errore fondamentale interpretare la guerra in Ucraina come se fosse una lotta tra democrazia e dittatura, un errore che potrebbe essere corretto semplicemente osservando le condizioni di Varsavia, Budapest o Ankara. Di conseguenza, è più probabile che la nuova fase di crisi sarà caratterizzata dalla lotta orwelliana dei regimi autoritari o fascisti per le risorse, piuttosto che da una nuova edizione della «guerra fredda».
Tuttavia, questa tendenza alla gestione autoritaria, e in definitiva apertamente fascista delle crisi, è un fenomeno di superficie, legato solo esteriormente al fascismo del XX secolo. La mobilitazione totale e totalitaria durante la Seconda guerra mondiale ha reso possibile il boom fordista del dopoguerra, dal momento che non c'è stata alcuna smobilitazione dopo la fine della guerra quando la produzione di massa di carri armati è passata direttamente all'auto-mobilitazione delle società capitalistiche del dopoguerra; ma un regime di accumulazione simile, in cui il lavoro salariato di massa verrebbe utilizzato nella produzione di merci, questa volta non è in vista. C'è solo l'abisso del sovra-indebitamento totale nella catastrofe climatica incipiente, che dà una forma diversa di sviluppo alla funzione oggettiva del fascismo come forma di crisi terroristica del dominio capitalista. L'elemento del fascismo, che è sempre esistito come dominio dei delinquenti, cioè delle comunità di saccheggio in competizione tra loro, come ha affermato in maniera chiaroveggente la teoria critica, diventa dominante nell'attuale crisi sistemica. La formazione autoritaria dello Stato, che diventa sempre più preda dei truffatori, va quindi di pari passo con la sua erosione interna, che già comincia a svilupparsi nella Repubblica Federale Tedesca: soprattutto per quanto riguarda le crescenti attività dell'estrema destra [*48] nell'apparato statale [*49]. Questo processo è progredito molto di più in Ucraina, dove, dopo la caduta del governo e lo scoppio della guerra civile, il dominio degli oligarchi si è trasformato in una formazione aperta di milizie di estrema destra [*50] , la quale è stata in grado di sfidare apertamente lo Stato ucraino nel periodo precedente la guerra [*51]. Inoltre, la disastrosa invasione russa ha rivelato fino a che punto le tendenze all'erosione dello Stato siano progredite anche all'interno dell'oligarchia statale russa, dal momento che anche l'esercito, essenziale per la proiezione del potere del Cremlino, ne è stato pienamente influenzato. La spaccatura all'interno della destra tedesca, che non può posizionarsi chiaramente dietro il nazismo ucraino o il prefascismo russo nella guerra d'Ucraina, indica proprio la pervasività di queste anomale tendenze autoritarie in questo conflitto [*52]. Un ottimo esempio della fragilità del dominio autoritario nel capitalismo e della trasformazione della dittatura in anomia, ci è offerto dalla Primavera araba, nel corso della quale dittature apparentemente monolitiche come quelle siriana e libica sono crollate liberando le forze centrifughe in esse insite. Le strutture autoritarie non sono un segno della forza interna del sistema capitalista, che preferisce ottimizzare l'autosfruttamento dei salariati nel quadro della democrazia capitalista, ma piuttosto della sua forma di crisi, che è ben lungi dall'essere efficiente nell'organizzare il processo di valorizzazione, come fa il solito discorso pubblico nei centri del sistema mondiale circa i modi per ottimizzare e aumentare la crescita, ma che richiede invece un certo grado di stabilità sociale per garantire le sue basi ideologiche.
O Amok o emancipazione
L'era dell'amministrazione apertamente autoritaria delle crisi, che ora si sta annunciando - ad esempio, con la preferenza, pubblicamente espressa, dagli oligarchi occidentali per i populisti di destra [*53] - non sarà pertanto in grado di portare a un ordine decennale postbellico, riguardo la politica interna, come quello che aveva prevalso almeno nei centri nell'era neoliberale, nonostante tutti i larvati processi di erosione e le crescenti contraddizioni. Gli impatti climatici, economici e geopolitici della crisi sono sempre più frequenti, motivo per cui è improbabile una stabilizzazione in grado di annunciare un nuovo periodo storico di gestione delle crisi, per quanto attraverso metodi autoritari e dittatoriali. Ciò, soprattutto perché, come già accennato, i diversi momenti del processo di crisi interagiscono sempre più, al punto che la crisi climatica, ad esempio, avrà un impatto economico e sociale sempre più crescente. Il tempo dei mostri - come Gramsci definiva il tempo dell'irruzione del fordismo negli anni Trenta - non sembra più in grado di finire. Si potrebbe perfino arrivare a sostenere che - con l'imperialismo di crisi e il fascismo in lotta per l'anomia, in quanto culto aperto della morte [*54] - nella fase di declino del capitale, ci sono dei momenti della sua dinamica di espansione che ricompaiono brevemente, si sovrappongono, interagiscono, e lo fanno proprio nel senso di una negazione dialettica della negazione, cosicché fenomeni apparentemente familiari a uno stadio superiore dello sviluppo contraddittorio capitalistico, seguono ora una logica di sviluppo invertita, guidata dalla contrazione del processo di valorizzazione. Sono i ricordi del sanguinoso capitalismo degli albori della fase ascendente del capitale, che il sistema globale, il quale sta entrando in agonia, scatena ancora una volta sull'umanità. Perfino il mercenario, che oggi festeggia il ritorno alle guerre neo-imperialiste di distribuzione e collasso, continua a essere un prodotto del primo capitalismo, allorché, nella guerra dei 30 anni, i primi «salariati» emersero in massa come forma embrionale del salariato, e terrorizzarono la popolazione. Senza un superamento emancipatorio del capitale, nella sua fuga feticistica verso la distruzione del mondo [*55], la crisi trova il suo punto di fuga finale nel panico, in quella che è una rottura di tutti i legami sensibili tra i membri della società, che è stata scatenata dalla crescente concorrenza di crisi; come appare regolarmente nell'Amok individuale [*56]. Oltre alla guerra nucleare globale, che nell'imperialismo in crisi, nella misura in cui aumenta l'intensità della crisi diventa una minaccia sempre più grande, è la crisi climatica quella che con ogni probabilità agirà come il più grande produttore di panico: nello specifico, a partire dall'inabitabilità sempre più evidente di ampie parti del Sud globale [*57], in quanto pone dei limiti oggettivi a tutte le forme di gestione della crisi, anche a quelle più brutali e apertamente terroristiche. Sarà questo a segnare il passaggio al puro e semplice collasso della civiltà.
A partire da questa pulsione sistemica che spinge all'autodistruzione, e che nel frattempo è ora arrivata e essere sotto gli occhi di tutti, cresce anche la necessità di una sopravvivenza per mezzo del superamento emancipatorio del capitale, cosa che costituisce, per così dire, l'ultimo obbligo oggettivo mediante il quale il regime capitalistico dell'obbligo oggettivo deve essere consegnato alla storia. La lotta per la trasformazione del sistema dovrà perciò diventare l'elemento centrale della prassi di sinistra, anziché perdersi nel tifo irreggimentato dalla Nato o da Putin, come sta facendo gran parte della sinistra tedesca di fronte alla guerra in Ucraina [*58].
- Tomasz Konicz - Pubblicato il 24/5/2022 -
NOTE:
1 - https://oxiblog.de/die-mythen-der-krise/
2 - http://www.konicz.info/?p=4136. Em português: https://www.konicz.info/?p=4150
3 - https://www.xn—untergrund-blttle-2qb.ch/wirtschaft/theorie/stagflation-inflationsrate-6794.html. Em português: https://www.konicz.info/?p=4632
4 - https://de.wikipedia.org/wiki/Gro%C3%9Fer_Kladderadatsch
5 - https://www.heise.de/tp/features/Freihandel-und-Fluechtlinge-3336741.html
6 - https://www.mandelbaum.at/buch.php?id=962
7 - https://www.xn--untergrund-blttle-2qb.ch/wirtschaft/weltfinanzsystem-finanzmaerkte-notenbanken-6360.html
8 - https://www.xn--untergrund-blttle-2qb.ch/kultur/film/george_andrew_romero_zombie_4234.html
9 - https://www.xn—untergrund-blttle-2qb.ch/wirtschaft/theorie/stagflation-inflationsrate-6794.html.Em português: https://www.konicz.info/?p=4632
10 - https://www.mandelbaum.at/buecher/tomasz-konicz/klimakiller-kapital/
11 - https://www.xn--untergrund-blttle-2qb.ch/politik/theorie/die-klimakrise-und-die-aeusseren-grenzen-des-kapitals-6832.html
12 - https://www.lunapark21.net/das-kapital-als-weltverbrennungsmaschine/
13 - https://carnegieendowment.org/chinafinancialmarkets/86397
14 - https://www.co2.earth/daily-co2
15 - https://www.imf.org/en/News/Articles/2022/04/14/sp041422-curtain-raiser-sm2022
16 - https://www.spiegel.de/wirtschaft/iwf-ukrainekrieg-kann-weltwirtschaftsordnung-fundamental-aendern-a-af821a51-222d-42d2-9038-d29180574e3d
17 - http://www.konicz.info/?p=4876
18 - https://www.dw.com/en/high-fertilizer-costs-threaten-farmers-amid-sanctions-on-russia/a-61163444
19 - https://www.reuters.com/business/indonesia-seeks-balance-international-local-palm-oil-demand-official-2022-05-11/
20 - https://twitter.com/spectatorindex/status/1525327269707022336
21 - https://www.heise.de/tp/features/Die-Urspruenge-der-gegenwaertigen-Wirtschaftskrise-4285127.html
22 - http://www.konicz.info/?p=1409
23 - https://www.heise.de/tp/features/Der-Aufstieg-des-deutschen-Europa-3370752.html
24 - https://lowerclassmag.com/2021/04/13/oekonomie-im-zuckerrausch-weltfinanzsystem-in-einer-gigantischen-liquiditaetsblase/
25 - https://www.heise.de/tp/features/Politik-in-der-Krisenfalle-3390890.html
26 - https://www.xn—untergrund-blttle-2qb.ch/politik/europa/russland-ukraine-krise-konflikt-neoimperialismus-6830.html. Em português: http://www.konicz.info/?p=4776
27 - https://www.ft.com/content/e5735375-75df-4859-bbf0-ae22e4fe2ff6
28 - http://www.konicz.info/?p=4389. Em português: http://www.konicz.info/?p=4405
29 - https://www.versobooks.com/books/347-adam-smith-in-beijing
30 - https://www.washingtonpost.com/news/wonk/wp/2015/03/24/how-china-used-more-cement-in-3-years-than-the-u-s-did-in-the-entire-20th-century/
31 - https://www.heise.de/tp/features/Wachstum-der-Schuldenberge-3762292.html
32 - http://www.konicz.info/?p=4643
33 - https://oxiblog.de/klimakrise-und-china/. Em português: https://acomunarevista.org/2020/12/13/china-e-a-impossibilidade-de-modernizacao-para-recuperar-o-atraso/
34 - https://www.buzzfeednews.com/article/kirstenchilstrom/china-flooding-photos
35 - https://www.youtube.com/watch?v=DOBntnuYCMA&t=5s
36 - https://unherd.com/2022/03/the-truth-about-ukraines-nazi-militias/
37 - http://www.konicz.info/?p=4566. Em português: http://www.konicz.info/?p=4593
38 - https://www.streifzuege.org/2021/das-globale-agrarsystem-wahnsinn-mit-methode/
39 - https://www.tagesschau.de/ausland/asien/sri-lanka-ausnahmezustand-101.html
40 - https://www.heise.de/tp/features/Ost-oder-West-3363061.html
41 - https://ipad.fas.usda.gov/rssiws/al/crop_production_maps/Ukraine/Ukraine_wheat.jpg
42 - https://lowerclassmag.com/2021/04/13/oekonomie-im-zuckerrausch-weltfinanzsystem-in-einer-gigantischen-liquiditaetsblase/. Em português: http://www.konicz.info/?p=4287
43 - https://www.ft.com/content/d8e565b0-c769-46cc-9be3-4ed9a806d8e8
44 - https://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/ukraine-krieg-und-gas-dann-eben-kriegswirtschaft-aber-richtig-kolumne-a-532bb9fa-15e4-4b9b-8e50-d6e082a93f04
45 - https://www.zeit.de/wirtschaft/2019-05/nationale-industriestrategie-2030-peter-altmaier-industriepolitik-faq
46 https://www.heise.de/tp/features/Politik-in-der-Krisenfalle-3390890.html
47 - http://www.konicz.info/?p=4832. Em português: http://www.konicz.info/?p=4840
48 - https://www.heise.de/tp/features/Braun-von-KSK-bis-USK-4355668.html
49 - https://www.heise.de/tp/features/Inflation-der-Einzelfaelle-4259590.html
50 - https://www.streifzuege.org/2014/oligarchie-und-staatszerfall/
51 - https://consortiumnews.com/2022/03/04/how-zelensky-made-peace-with-neo-nazis/
52 - https://www.endstation-rechts.de/news/die-deutsche-rechte-und-ihr-umgang-mit-dem-krieg-der-ukraine
53 - https://winfuture.de/news,129707.html
54 - https://www.heise.de/tp/features/Der-alte-Todesdrang-der-Neuen-Rechten-4509009.html
55 - https://www.heise.de/tp/features/Die-subjektlose-Herrschaft-des-Kapitals-4406088.html
56 - https://www.heise.de/tp/features/Fluchtpunkt-Amok-3263142.html
57 - https://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/extremwetter-und-klimaforschung-klimakrise-macht-hitzewellen-in-indien-100-mal-wahrscheinlicher-a-aa4a67a0-96f2-4be0-911f-a83f33abcaec -
https://www.konicz.info/?p=4868. Em português: http://www.konicz.info/?p=4879
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