«Una buona causa la si può sempre esporre anche in modo divertente», così afferma al tavolino di un ristorante della stazione di Helsinki il fisico Ziffel che, scappato dalla Germania nazista, ora passa una parte delle sue difficili giornate a dialogare con un altro esule tedesco, l’operaio Kalle. Mentre l’Europa sprofonda nell’incubo della Seconda guerra mondiale, i due discorrono degli argomenti più disparati, dall’Invadenza degli uomini importanti al Triste destino delle grandi idee, dalla Peculiarità della parola «popolo» al Metter radici, dalla Paura del caos al Pensare come piacere, in un irresistibile botta e risposta sempre sorretto dal gusto per la battuta e per il paradosso. In quest’opera di limpida lucidità, composta nel 1940 durante l’esilio finlandese, Brecht mette a processo le sue stesse idee e offre un sarcastico repertorio delle contraddizioni dei sistemi politici. Ne nasce così un beffardo elogio del rifugiato che si leva come una risata di scherno contro tutti gli ottusi custodi delle frontiere. Dopo oltre quarant’anni di assenza dalle librerie, i Dialoghi di profughi tornano in una nuova edizione per la prima volta integrale, arricchita di un intero capitolo e altri passaggi inediti.
(dal risvolto di copertina di: «Dialoghi di profughi», di Bertolt Brecht. L'orma, pp.160, €17)
Il profugo Brecht cambia più paesi che scarpe per colpa del signor Comediavolosichiama
- Dopo l'incendio del Reichstag il drammaturgo lascia la Berlino di Hitler e si rifugia in Danimarca e Finlandia. Da quella esperienza di esiliato nasce l'idea delle conversazioni ironiche tra il fisico Ziffel e l'operaio Kalle -
di Luigi Forte
«Davvero, vivo in tempi bui!», suona un noto verso di Bertolt Brecht, oggi più che mai attuale di fronte all'orrore della guerra. Anche lui era un fuggitivo: aveva lasciato Berlino dopo l'incendio del Reichstag nel febbraio del 1933 per stabilirsi con la famiglia in Danimarca. E poi oltre, in Svezia e in Finlandia, «più spesso cambiando paese che scarpe», come scrisse nelle Poesie di Svendborg. In quegli anni maturò l'idea di una rappresentazione, spesso ironica e satirica, delle sue esperienze d'esiliato, soprattutto dopo la lettura del romanzo filosofico dell'amato Diderot, Jacques il fatalista e il suo padrone. Il progetto prese corpo durante il soggiorno finlandese tra l'aprile del 1940 e il maggio del 1941 con i Dialoghi di profughi, che L'Orma editore presenta nella versione di Margherita Consentino pubblicata da Einaudi nel 1961 e ora rivista da Eusebio Tabucchi, con l'aggiunta di alcuni inediti.
Come in Diderot, anche qui i protagonisti sono due: il fisico Ziffel, alto e ben piazzato, e Kalle, basso e tarchiato con mani da operaio metallurgico. Hanno attraversato molti paesi, nel caos della guerra, e s'incontrano per caso al ristorante della stazione di Helsinki. Un luogo di transito, una tappa del loro perenne esodo.
Caratteri diversi, ma con una cosa in comune: la fuga dal fascismo e il bisogno di progettare un futuro, non di rado con un tono burlesco che accomuna divertimento e riflessione. Più ovvio e diretto il discorso di Kalle, più ponderato quello di Ziffel in un dialogo in cui talvolta i due si scambiano i ruoli nelle diciotto scene che in realtà, costruiscono un lungo monologo contro i nemici di sempre. Come le virtù borghesi, il rapporto fra capitalismo e fascismo, l'idea della razza esaltata dai nazisti, che è per Ziffel «il tentativo di un piccolo borghese di diventare un nobile». Kalle cita versi brechtiani e ambedue rendono più scorrevole il racconto con una serie di divertenti storielle che traducono la prosa in gesto teatrale. Come è stato detto, si sente non di rado l'eco del cabaret monacense dove furoreggiavano Karl Valentin e Frank Wedekind.
Sulla scena domina il gusto per la battuta esplosiva, mentre si stravolgono nell'assurdo i luoghi comuni e si smascherano le bugie della propaganda degli oppressori. E costante è la provocazione: «nessuno può essere spremuto quanto i poveri - suggerisce Ziffel - da loro vengono distorte persino le virtù» e poi, sciolto da qualsiasi laccio moralistico, esclama: «Io sono per un Paese dove abbia senso essere lussuriosi». Mentre Kalle lancia una delle sue impareggiabili boutade: «Non abbiamo bisogno dell'appetito: abbiamo la fame». Ziffel legge poi al compagno passi delle sue memorie: sulla propria educazione, gli anni di studio, la famiglia. E qui riaffiora l'insofferenza del giovane Brecht che ben si rispecchia anche nell'estraneità del suo personaggio agli entusiasmi collettivi perché indegno - sottolinea con vigore - «di essere guidato da capi energici» e dal signor Comediavolosichiama, cioè il dittatore Hitler.
Del resto Ziffer critica altresì la libertà elvetica, il patriottismo francese, praticato come un vizio, e la democrazia scandinava: anche dietro di loro il capitalismo può partorire terribili mostri. Bisogna dunque affidarsi al comunismo sotto il quale è proibito farsi sfruttare, come propone Kalle? Ziffel ha i suoi dubbi e sogna un paese dove regnino condizioni tali che virtù così faticose come l'amor di patria, la bontà, il disinteresse, siano ormai inutili. Forse, q questo punto, l'esilio non finirà mai. Del resto è la migliore scuola di dialettica, perché i profughi non fanno altro che studiare i cambiamenti. O forse una soluzione c'è:fondare la ditta di disinfestazione dalle cimici proposta da Kalle per ripulire il mondo e brindare al socialismo, ma con quattro idee ben chiare: il più grande coraggio, la più profonda sete di libertà, il massimo disinteresse e il più grande egoismo. Il futuro è ancora lontano e la strada dei profughi senza fine.
- Luigi Forte - Pubblicato su Tuttolibri del 30/4/2022 -
L'inedito: «Dialoghetto della "Fede"»
- di Bertolt Brecht -
Ziffel: «Mi ha subito disgustato quanto fosse importante la parola "fede". Esigevano la mia fede, e io non possa dare quel che non possiedo. Da me possono pretendere tasse, alcuni servizi, un certo comportamento, ad esempio chiedermi di sollevare il piede in loro presenza, ma non di avere fede. Non credo neppure a Newton, che pure era un uomo di straordinaria intelligenza, e dovrei aver fede nel Comediavolosichiama? Ho sudato sangue per imparare a non credere a niente, neppure al fatto che la somma degli angoli di un triangolo sia 180 gradi, né che un corpo lanciato in aria cadrà a terra, né tantomeno che lei sia davvero seduto là dove io la vedo: come ho detto, sradicare la mia naturale propensione alla credenza mi è costato caro, anche in termini finanziari, e ora dovrei credere a questa gentaglia? Il cammino che porta dal boscimano all'uomo civilizzato è lungo quanto quello che separa l'uomo civilizzato dal boscimano, e bisogna percorrerlo».
Kalle: «Capisco bene quello che prova, e spero che anche i suoi colleghi abbiano le sue stesse difficoltà con la fede; sa, non è proprio il loro campo. Prenda ad esempio la religione. Ci sono persone le quali non credono che la somma degli angoli di un triangolo sia sempre di tot gradi, ma poi sono sicure dell'esistenza dei fantasmi».
Ziffel: «Non scherzi con i santi! Magari non tutti i fisici saranno dei geni come Planck, ma uno che creda ai fantasmi non l'ho ancora incontrato».
Kalle: «Forse non ai fantasmi, ma a Dio sì. E il suo signor Planck fa proprio al caso mio. Dicono sia religioso, l'ho letto sul giornale. All'inizio non credevamo che credesse, ma poi ci siamo dovuti rassegnare a crederci. A causa sua ho litigato con un operaio metallurgico, un libero pensatore, e mi sono ritrovato a difendere la Società Kaiser Wilhelm di cui Planck è presidente per poi dover ammettere che magari quell'istituto non riesce a comunicare con un aborigeno in materia di atomi, ma sulle questioni religiose invece si intendono a meraviglia».
Ziffel: «Vuole forse dire che in ogni PlancK si nasconde un boscimano?»
Kalle: «Lasciamo stare i boscimani! L'idea che siano tanto arretrati e irrazionali è anch'essa una credenza, propagandata dai giornali del colonialismo imperialista. Non mi meraviglierei se Planck credesse a cose in cui nessun boscimano si sognerebbe mai di credere, ad esempio in campo sociale».
Ziffel: «È un ambito di cui non capisco niente».
Kalle:«Quanto meno ci capisce, tanto più ci potrà credere».
(traduzione di Marco Federici Solari)
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