Nonostante abbia avuto una vita relativamente breve (1903 - 1950), George Orwell ha scritto molto, e lo ha fatto investendo una vasta gamma di argomenti, dalla guerra alla carestia, dagli elefanti al cricket, perfino sui libri e sulle librerie. Il suo "Orwell on Truth" [in italiano, edito dalla Mondadori con il titolo "Verità/Menzogna] è un libro ibrido, una sorta di taccuino realizzato a posteriori, con brani sul tema della verità tratti da tutta la sua opera, compilato da David Milner.
«Ognuno crede alle atrocità del nemico e dubita di quelle commesse dalla propria parte, senza nemmeno prendersi la briga di esaminare le prove», scrive Orwell nel 1943, in un saggio dal titolo "Looking back on the Spanish War", per poi aggiungere: «la gente crede o dubita delle atrocità solo sulla base delle proprie predilezioni politiche».
La lezione principale che ci proviene da questo saggio, e che risuona in tutte le voci di "On Truth" (così come nei principali romanzi di Orwell, quali "La fattoria degli animali" del 1945, o "1984" del 1949), consiste nel fatto che la verità finisce per essere sempre un processo di costruzione storica, un percorso che si costituisce su più livelli e attraverso vari strati, e che non si offre già bell'e pronto - quasi fosse per «combustione spontanea» - davanti agli occhi dell'osservatore.
Dal momento che essa è frutto di dibattito e di scambio di idee, ecco che nelle tirannie e nei regimi totalitari la verità è la prima ad essere attaccata. E il modo migliore per attaccarla è impedirne la sua circolazione: «La letteratura in prosa, così come la conosciamo, è il prodotto del razionalismo - di secoli di protestantesimo - dell'individuo autonomo», scrive Orwell nel 1946, e prosegue col dire che: «la distruzione della libertà di pensiero paralizza il giornalista, il sociologo, lo storico, il romanziere, il critico e il poeta; in quest'ordine». La verità è come un ecosistema, che viene condiviso nel contesto di una comunità, il cui benessere riguarda tutti.
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