Megan Garber, giornalista del theatlantic.com, ha pubblicato un interessante articolo sugli "applausi" nell'epoca degli SMS, di Twitter e dei "mi piace" su Facebook.
La storia - comincia la Garber - inizia in pieno declino dell'Impero Romano, nel 7° secolo, quando l'imperatore Eraclio organizza un incontro con un re barbaro che voleva intimidire. L'armata imperiale, a quei tempi, non faceva più impressione a nessuno, sebbene Eraclio continuasse ad arruolare sempre più uomini per rinforzare le proprie truppe. Ma il suo fine non era militare, li arruolava per essere applaudito! Tutto questo non salverà l'Impero, però Eraclio scrive una nota in cui ci parla di una delle usanze più antiche e più comuni fra gli uomini: quella di battere le mani, di applaudire.
Nel mondo antico si applaudiva per acclamare, ma serviva anche a comunicare; era in un certo qual modo, espressione di potere: una maniera con cui, gli uomini piccoli e fragili, per mezzo del tuonare delle loro mani, ricreavano il rombo ed il fracasso della natura.
"Oggigiorno, gli applausi ricadono, più o meno, nello stesso genere di usanza (...). Si applaude coscientemente. Si applaude educatamente. Si applaude, nel migliore dei casi, con entusiasmo. Si applaude, nel peggiore, con ironia. In poche parole, troviamo il modo di rappresentarci in quanto folla - per mezzo della folla."
"Ma" - prosegue la Garber - "stiamo anche reinventando l'applauso in un mondo in cui, tecnicamente, le mani non ci sono. Si applaude lo status Facebook degli altri. Si condividono i link, o si ritwitta quello con cui ci troviamo d'accordo, per amplificarne l'effetto. Si chiede l'amicizia, si segue (follow), si mette +1, si raccomanda, si menziona, perché sappiamo che l'audience è il metodo di pagamento per questi contenuti. Troviamo nuovi modi d'esprimere il nostro entusiasmo, di comunicare i nostri desideri, di codificare le nostre emozioni affinché esse possano essere trasmesse."
La tesi della Garber è che "gli applausi, sia partecipativi che osservativi, siano stati una forma antica di medialità di massa, che collegavano in maniera istantanea, visuale ed udibile, le persone le une alle altre, e queste ai loro capi. Sono stati un'analisi dell'opinione pubblica, la quale rivelava le affinità ed i desideri del popolo collegato insieme. Sono stati il "me" qualificato che cedeva il posto alla folla quantificata. Sono stati il "Big Data" prima della massificazione dei dati.
L'usanza di applaudire - come si diceva - è molto antica, e se ne trovano numerose menzioni nella Bibbia, per esempio, anche se la formalizzazione, all'interno della cultura occidentale, avviene nel contesto del teatro. Ma è nell'antica Roma che diviene un gesto politico, utilizzato dai capi per poter valutare la loro popolarità.
"Prima dei sondaggi telefonici, prima del voto in tempo reale per mezzo degli SMS, prima che il web proponga i cookies, i capi romani accumulavano dati sul popolo, a partire dagli applausi." L'applauso sarebbe dunque, in quell'epoca, una "tecnologia politica", e si sarebbe manifestata negli anfiteatri, dove l'imperatore si legittimava facendosi applaudire.
"Quelle arene sono, per Roma, l'equivalente della radio e della televisione, l'incarnazione nell'antichità di quello che è oggi la domanda-risposta su Twitter, le interviste su youtube: era quello che permetteva al potente di interagire con i suoi sudditi, in massa. Davano l'illusione, e non la realtà, di una libertà politica. E l'applauso - medium e messaggio allo stesso tempo - diventava il veicolo della prestazione. Era il modo in cui il popolo rispondeva ai suoi capi."
Con il tempo, gli applausi si faranno sempre più sofisticati, anche per mezzo dell'Opera, o delle sinfonie, che richiedevano che si applaudisse in determinati momenti, piuttosto che in altri. Ma, alla fine, gli applausi si sono standardizzati ed istituzionalizzati - sottolinea Garber - e sono diventati un'aspettativa, più che una ricompensa.
Ma adesso troviamo dei nuovi modi per reinventare l'applauso, di farlo ridiventare ciò che era stato: una forma collettiva e codificata di comunicazione. Troviamo nuovi modi per reinventare il pubblico elogio! Mettiamo i link, clicchiamo su "mi piace", condividiamo. E ne siamo consapevoli, siamo consapevoli del nuovo ruolo che ci viene dato in questo mondo nuovo. Siamo allo stesso tempo spettatori ed attori. I nostri applausi ne fanno parte, dando un senso assai reale allo spettacolo. Siamo tutti, ciascuno a modo suo, una claque. Con la differenza che, oggi, i nostri applausi sono più importanti, sono delle performance in sé. Gli elogi vengono registrati, il ritmo dell'applauso viene tracciato, i modelli vengono analizzati e poi sfruttati.
Applausi silenziosi, assai più rumorosi.
- Articolo originale: "A Brief History of Applause, the ’Big Data’ of the Ancient World" -
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