Il disprezzo per le "masse"
- di Gerd Bedszent -
Al giorno d'oggi, la maggior parte delle persone sembra essere d'accordo sul fatto che il fascismo sia un ordine politico criminale, anti-umano e fondamentalmente riprovevole. Ma l'accordo finisce qui. Se a sinistra, nella tradizione dell'analisi materialista, il fascismo viene visto come una forma particolarmente barbara di dominio borghese, i conservatori e i liberali, diversamente, hanno a lungo cercato di presentare il fascismo nelle vesti di una sorta di gemello ostile del socialismo, se non addirittura di equipararlo ad esso. E ci sono anche delle persone di sinistra le quali tendono ad appiccicare l'etichetta di "fascista" a qualsiasi movimento politico di destra, e a qualsiasi regime non particolarmente amato, senza alcuna vera analisi. Malgrado la grande quantità di ricerche sul fascismo - che non possono essere ignorate - non esiste alcuna valutazione, generalmente accettata e condivisa, di quali furono le precondizioni sociali e politiche che si dimostrarono decisive per l'instaurazione dei regimi fascisti. Non esiste nemmeno accordo su cosa esattamente si intenda per fascismo. Nel suo ultimo libro "The Apprentice's Sorcerer: Liberal Tradition and Fascism" [L'apprendista stregone: Tradizione liberale e fascismo], recentemente pubblicato in traduzione tedesca, lo storico israeliano Ishay Landa contraddice quelle che sono le attuali interpretazioni borghesi del fascismo. Secondo la sua tesi centrale, perfino il regime nazista non fu affatto un «dirottamento dell'Occidente», quanto piuttosto un tentativo di spingere all'estremo la «logica del capitalismo occidentale del XIX secolo, e di rifiutare i compromessi tra la borghesia e il socialismo». Una dettagliata disamina della crisi della produzione di massa capitalista-industriale, avvenuta all'inizio degli anni '30, e i disperati tentativi da parte della Germania e dell'Italia - "arretrate" dal punto di vista industriale - di mettersi al passo con le potenze dell'Europa occidentale; nel libro viene purtroppo purtroppo svolta solo in maniera rudimentale. L'autore non appare interessato all'analisi economica, ma piuttosto a fare un riassunto di quali sono state le radici dell'ideologia fascista nel liberalismo borghese "classico". In tal senso, realizza un pamphlet impressionante contro la tesi che i fascisti fossero degli "antiborghesi" di sinistra, o addirittura degli "egualitari" di sinistra che, contrariamente ai socialisti, mancherebbero di una critica generale del capitalismo. Come Landa sottolinea con enfasi, il fascismo, specialmente quello dei nazisti tedeschi, si presentava come «popolare» soltanto per delle ragioni tattiche. La sua natura, d'altronde, era elitaria e piena di disprezzo per le "masse". Infatti, come l'autore continua a sottolineare, nella situazione concreta del periodo tra le due guerre, il fascismo venne visto dalle élite borghesi come se fosse una sorta di rimedio universale per respingere le idee socialiste. In tutta Europa, i partiti borghesi tradizionali fecero patti con i partiti fascisti, contro il movimento operaio e contro la sinistra politica. E perfino le classi superiori di una Gran Bretagna, che è sempre stata descritta dagli storici borghesi come un democratico e liberale Stato-modello liberale, erano all'epoca profondamente influenzate da ideologie razziste, eugenetiche e social darwiniste. Molti degli slogan, e delle parole d'ordine che più tardi avrebbero acquisito notorietà grazie all'apparato di propaganda fascista, i nazisti le avevano prese in prestito dal vocabolario degli ideologi borghesi. Per gli specialisti, niente di tutto questo suona come una novità, ma per molti lettori - specialmente in Germania, dove tuttora spesso il fascismo tedesco non può nemmeno essere chiamato fascismo fino ad oggi, ma va rigorosamente usato il termine "Nazionalsocialismo" - questa è probabilmente una sorpresa. Ma qual era la differenza tra le potenze fasciste e gli stati liberal-democratici governati da una classe superiore totalmente "fascistoide"? Ovviamente, solo la forma di governo. Landa si riferisce ripetutamente al «carattere anti-egalitario, elitario, anti-sociale e pro-capitalista del fascismo». Tuttavia, nel libro, un'analisi dettagliata delle politiche economiche e sociali fasciste, può essere trovata solo sporadicamente. Questo vale anche per la trattazione delle categorie di base del capitalismo, che non sono mai state messe in discussione dai nazisti - sebbene Landa faccia giustamente notare che in ultima analisi la politica economica fascista era basata sull'interventismo statale keynesiano "classico". Il libro di Landa fornisce delle utili prove che la sottomissione dell'industria alle necessità di un'economia di guerra imposta dai nazisti in questo contesto, non era destinata ad essere permanente. Una simile economia di guerra centralizzata e burocratica, esisteva già durante la prima guerra mondiale, quando ancora non si parlava di fascismo. Per Landa, nell'ideologia dei nazisti e dei fascisti italiani, il predominio del nazionalismo può essere spiegato in qualche modo a partire dalla tardiva fondazione dello Stato nazionale. Il libro contiene la frase rivelatrice secondo cui l'ultranazionalismo dei nazisti aveva le sue radici in un «darwinismo ultra-nazionale». In altre parole, i nazisti non si preoccupavano affatto soprattutto della "nazione", quanto piuttosto del «principio del merito». La conclusione tratta da Landa, che il fascismo è stato il liberalismo portato fino ad un estremo omicida, dovrebbe essere sufficiente a provocare esplosioni di rabbia nel mainstream liberal-conservatore, soprattutto tra gli storici tedeschi.
- Gerd Bedszent - Pubblicato in Jungle Wert, 13 settembre 2021 -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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