«Nessun pensatore del secolo scorso ha avuto un’influenza così diretta, meditata e profonda sull’umanità quanto quella esercitata da Karl Marx». L’incipit di questo libro ha la cadenza perentoria del dato acquisito, eppure registra un paradosso: Marx non possedeva né «le qualità che fanno un grande capo» (come Herzen), né la «meravigliosa eloquenza» di Bakunin, né un qualsivoglia tratto che suscitasse l’«intensa, quasi religiosa, venerazione dei discepoli» (come Kossuth o Mazzini). Muovendo da questo enigma, Berlin ripercorre magistralmente gli eventi esterni della biografia di Marx e gli aspetti salienti della sua formazione intellettuale: la mediazione tra l’empirismo scientifico dei francesi e lo storicismo metafisico dei tedeschi; il peso decisivo della critica della religione; la passione divorante per la letteratura. E ci fa via via scoprire come Marx, pensatore «dogmatico e pedante», interessato più alle teorie che agli uomini, sia tuttavia riuscito a cogliere lucidamente gli effetti dell’economia e dell’ideologia sulla società, inquadrandoli in una serie di prognosi di impressionante esattezza, a partire da quella sull’influenza decisiva dei mutamenti tecnologici e del capitale finanziario. Quello di Berlin è dunque un Marx opportunamente depurato da ogni presunta ortodossia – aderente al suo celebre autoritratto: «Quel che è certo è che io non sono un marxista».
(dal risvolto di copertina di: "Karl Marx", di Isaiah Berlin. A cura di Henry Hardy. Traduzione di Paolo Battino Vittorelli. Adelphi, pagg. 400, € 28)
Comprendere marx, non confutarlo
- La biografia di Isaiah Berlin. La quinta edizione si può ritenere definitiva: ne emerge il profilo di un uomo animato da una passione divorante per un progetto intellettuale che si fonde con l’impegno politico. -
di Mario Ricciardi
Nel 1933 lo storico H.A.L. Fisher era alla ricerca di un autore per la monografia su Marx che voleva includere nella collana divulgativa della Home University Library, di cui era responsabile editoriale. Alcuni tra gli esponenti di spicco del socialismo britannico (Sidney Webb, Frank Pakenham e Harold Laski) erano già stati interpellati per sondarne la disponibilità, ma tutti avevano declinato l’offerta. A questo punto Fisher decise di rivolgersi a un giovane fellow di New College, di cui lo storico era in quel momento il Warden (noi diremmo preside). Si trattava di un giovane filosofo: Isaiah Berlin era nato infatti a Riga, il 6 giugno del 1909, da una famiglia di ebrei russi.
La città baltica era a quei tempi ancora parte dell’Impero zarista, e i Berlin appartenevano alla prospera borghesia commerciale del capoluogo lettone (Mendel, il padre di Isaiah, aveva un fiorente commercio di legname). Rifugiatisi nel Regno Unito in seguito alla rivoluzione Bolscevica, i Berlin ebbero la soddisfazione di vedere il proprio unico figlio eccellere negli studi, fino a essere ammesso all’università di Oxford, laureandosi in studi classici, per poi dedicarsi alla ricerca, e all’insegnamento.
Al momento di ricevere la proposta per il libro su Marx, Berlin non era tuttavia un esperto del pensiero del filosofo tedesco. Le sue prime pubblicazioni erano sui temi centrali del dibattito oxoniense degli anni Trenta: l’epistemologia e la filosofia del linguaggio, su cui era in corso un dibattito vivace, stimolato dall’influenza che sulla filosofia britannica avevano i lavori di Ludwig Wittgenstein e del Circolo di Vienna.
Berlin aveva qualche notorietà come filosofo (pare che lo stesso Wittgenstein avesse apprezzato un paper che il giovane studioso aveva presentato nel corso di un seminario cui era presente anche l’esule austriaco), ma non studiava il pensiero politico e non si occupava di politica. In una stagione in cui molti dei suoi contemporanei, delusi dal liberalismo, guardavano con simpatia crescente alle idee socialiste, e in diversi casi anche all’esperimento di edificazione di una società comunista in corso in Unione Sovietica, Berlin si teneva in disparte rispetto alle attività dei militanti, limitandosi a partecipare, senza particolare impegno, alle discussioni organizzate da circoli di orientamento liberale, sia pure con qualche vaga coloritura socialisteggiante. Forse la scelta di Fisher cadde su di lui perché, essendo di madre lingua russa, e fluente in diverse lingue europee, tra cui il tedesco, era nella posizione ideale per avere accesso alle fonti, che all’epoca erano poche, e non sempre di facile reperibilità, sulla vita e il pensiero di Marx. Accettata la proposta, Berlin si gettò a capofitto in una ricerca che lo tenne impegnato per cinque anni. Quando consegnò un manoscritto, esso risultò più ampio della lunghezza massima accettabile per la collana, e fu quindi solo in seguito a tagli molto corposi che il volume vide infine la luce, nel 1939, con il titolo: Karl Marx. His Life and Environment. Come si evince dal sottotitolo strada facendo il progetto aveva in parte cambiato natura.
Quella che in origine doveva essere un’introduzione al pensiero di Marx divenne invece un profilo biografico, che collocava le idee dell’autore del Manifesto del Partito Comunista nel contesto di una ricostruzione sia della vita dell’autore, sia degli eventi storici e delle tendenze politiche e culturali che ne avevano influenzato la formazione. Questo primo libro, di fatto l’unico, perché tutti gli altri sono raccolte di saggi o testi di lezioni e conferenze, avrà un’influenza decisiva nell’orientare il percorso di Berlin, che col passare del tempo si sarebbe rivolto in maniera sempre più netta verso la storia delle idee, e in particolare delle idee politiche, di cui è stato uno dei più autorevoli cultori nella seconda metà del Novecento. Sono le ricerche su Marx che lo spingeranno infatti ad approfondire lo studio dei grandi pensatori dell’illuminismo, e dei protagonisti della reazione romantica alle idee dei lumi. Decisiva, sotto questo profilo, la lettura di Plekhanov. Sempre allo stesso interesse si deve anche la scoperta di Herzen, quasi sconosciuto tra i filosofi britannici, di cui Berlin diventerà uno dei maggiori interpreti nei Paesi di lingua inglese.
Del libro su Marx sono uscite cinque edizioni, l’ultima rivista dall’autore è la quarta, del 1977. La quinta, curata da Henry Hardy, ha appena visto la luce in italiano per i tipi di Adelphi. Possiamo considerarla definitiva, in quanto Hardy ha fatto lo stesso accurato lavoro di revisione del testo e di controllo delle citazioni che ha portato a termine nel corso degli ultimi decenni per tutte le altre opere di Berlin. Rispetto alla prima versione, quella del 1939, il testo attuale tiene conto di lavori di Marx che non erano ancora accessibili a quei tempi (basti pensare ai Grundrisse) e affronta temi (in particolare l’alienazione) che sono diventati centrali nel dibattito soltanto in seguito alla pubblicazione dei manoscritti economico-filosofici. Berlin dedica ampio spazio a Hegel, che considera giustamente un’influenza centrale su Marx, ma è invece meno interessato agli aspetti economici del pensiero del fondatore del socialismo scientifico.
Dalle pagine del libro Marx emerge come un carattere difficile: irascibile, sprezzante, spesso aggressivo nei confronti degli avversari. Ma anche come un uomo animato da una passione divorante per un progetto intellettuale che finisce per fondersi con il suo impegno politico. Un capitolo densissimo è dedicato al materialismo storico. Ciò si deve non solo alla centralità di questa tesi nello sviluppo del pensiero di Marx, ma anche al fatto che Berlin, convinto anti-determinista, vede questa come l’insidia principale con cui i difensori della libertà individuale devono fare i conti sul piano metafisico: se le nostre azioni sono interamente determinate da condizioni oggettive, che spazio rimane per la libera scelta? Questo non è, tuttavia, il libro di un “Cold War Liberal”. Scritto in una temperie intellettuale diversa rispetto ad altri lavori di Berlin - a cominciare dalla sua lezione su “due concetti di libertà” - esso è animato primariamente dal proposito di comprendere Marx, non di confutarlo.
- Mario Ricciardi - Pubblicato sulla Domenica del 19/11/2021 -
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