mercoledì 1 settembre 2021

Dicerie …

L'antisemitismo moderno è costituito dalla forma che, al giorno d'oggi, assumono le «chiacchere che si sentono dire in giro sul conto degli ebrei»; i quali ebrei impersonano così le più detestate forme del capitalismo. Questo testo,  pubblicato nel 2009 su libcom.org inizia esaminando alcune espressioni contemporanee di antisemitismo, per poi passare a esplorare i modi in cui Adorno e Horkeimer (1989) e Postone (2013) hanno compreso l'antisemitismo nazista.

L'antisemitismo e la critica (moderna) del capitalismo
- di Werner Bonefeld -

I -
L'ideologo nazista Rosenberg (1938) ha formulato succintamente l'essenza moderna dell'antisemitismo, quando lo ha presentato come un attacco al comunismo, al bolscevismo e al «capitalismo ebraico [*1] », un capitalismo basato non sul lavoro produttivo e sull'industria, bensì nelle mani di parassiti, di individui che manipolano il denaro e la finanza, di speculatori e di banchieri. Naturalmente, esiste una differenza tra l'antisemitismo che ebbe il suo culmine ad Auschwitz e l'antisemitismo mondiale che prese forma e si diffuse dopo il 1945. Tuttavia, la questione di sapere se l'antisemitismo permanga a causa di Auschwitz o malgrado Auschwitz è, alla fine, una domanda oziosa. I termini «malgrado» e «a causa» suggeriscono che Auschwitz, in quanto fabbrica di morte, avrebbero distrutto l'antisemitismo. Inoltre, una simile visione induce a pensare che l'antisemitismo sarebbe un fenomeno del passato, che si limita solo a proiettare la sua ombra sul presente, ma che non avrebbe un'esistenza reale in sé. Viste così, le espressioni aperte di di antisemitismo vengono considerate ripugnanti semplicemente perché rappresenterebbero aberrazioni patologiche in un mondo altrimenti civile. In questo contesto, La critica all'antisemitismo viene minimizzata e ridotta a un semplice problema di «colpa europea»; oppure viene rigettata perché denuncerebbe una malafede; in altre parole, sarebbe un tentativo camuffato di impedire qualsiasi critica nei confronti di Israele (Keaney, 2007). Questo articolo sostiene che l'antisemitismo moderno è la forma che oggi in Europa stanno assumendo le «voci sugli ebrei», i quali personificano le forme più odiate del capitalismo. Comincerò analizzando alcune espressioni contemporanee di antisemitismo, prima di affrontare il modo in cui Adorno e Horkeimer (1989), prima, e Postone (2013), dopo, hanno compreso l'antisemitismo nazista.

II -
La proiezione per cui l'ebreo viene percepito come un nemico esterno nascosto in una data società, sia egli comunista, finanziere, speculatore o banchiere, anche ai nostri giorni, rimane potente. Per esempio, l'ex primo ministro della Malesia, Mahathir Mohamad, ha analizzato le cause del crollo finanziario della Malesia nel 1997: «Lo dico apertamente, queste persone sono razziste. Non sono felici di vederci prosperare. Dicono che ci stiamo sviluppando troppo velocemente, progettano di renderci più poveri. Non vogliamo essere nemici di nessuno, ma alcune persone stanno cercando di farci diventare loro nemici [*2]». Cosa intende con «noi» e «loro»? Secondo il Financial Times del 23 ottobre 2003, Mahathir Mohamad denuncia il «capitalismo ebraico» poiché è ispirato da "The International Jew" [*3] , un libro che era stato commissionato da Henry Ford negli anni '20. Nella sua struttura, l'opinione secondo cui gli «speculatori» sarebbero un nemico esterno impegnato a distruggere l'armonia nazionale e l'interesse nazionale, fa parte dell'antisemitismo moderno. Denuncia la finanza e gli speculatori in quanto avidi mercanti, ed esalta le virtù di una comunità nazionale, altrimenti «sana», «operosa» e pacifica, radicata nel suo «suolo», che assicura alla patria una forza e una stabilità indistruttibile, ed è mantenuta unita dalle caratteristiche della razza e dai legami di sangue. Inoltre, si può citare il modo in cui Pat Buchanan (2002) ha difeso i presunti valori e le virtù americane. Secondo lui, questi valori sarebbero in crisi a causa degli effetti nefasti della «teoria critica», la cui responsabilità egli attribuisce a «quei piantagrane, gli ebrei comunisti». In questo modo, l'intelligenza basata sulla ragione e sul giudizio critico appaiono come una forza potentemente distruttiva, attribuita a l'intelligenza degli ebrei. Lyotard (1993, p. 159) descrive bene questa diceria sugli ebrei nei seguenti termini: per gli antisemiti, «gli ebrei [...] non hanno radici nella natura [...]. Essi pretendono di avere le loro radici in un libro». L'antisemitismo proietta l'Altro come un essere senza radici. Anziché aver radici nei presunti valori della nazione, della sua terra e delle sue tradizioni, l'Ebreo sarebbe dotato di un'intelligenza scaltra che distruggerebbe le tradizioni e la materia sociale organica. L'Ebreo sembra provenire dal nulla, «l'antisemitismo è la diceria sugli ebrei» (Adorno, 1980, p. 149). Essi vengono percepiti come la causa di alcuni fenomeni. Questo Altro, privo di ogni radice, orchestra una cospirazione internazionale immensamente potente e intangibile (cfr. Postone, 2013). Non lo si può definire concretamente; ma egli, come potenza astratta e invisibile, si nasconde in dei fenomeni contraddittori quali il comunismo e il capitalismo. Inoltre, dobbiamo procedere a decostruire la narrazione della sinistra antimperialista. Perry Anderson (2001, p. 15), uno dei suoi pensatori più critici e originali, ha scritto: «Saldamente radicato negli affari, nel governo e nei media, il sionismo americano, a partire dagli anni '60, ha messo sempre più saldamente le mani sulle leve dell'opinione pubblica e della politica ufficiale nei confronti di Israele, un'influenza questa che si è indebolita solo in rarissime occasioni.» Pertanto, per Perry Anderson, gli ebrei non hanno solo conquistato la Palestina, ma hanno anche assunto il controllo dell'America, o, per dirla con James Petras [*4] (2004, p. 210), l'attuale progetto di «costruzione dell'impero americano» è stato plasmato da «costruttori sionisti». Secondo Anderson, Israele è uno stato ebraico, le sue vittorie nazionaliste sono vittorie ebraiche, la sua economia è un'economia ebraica - e il suo Stato uno «Stato in affitto» che gli USA usano come testa di ponte imperialista in Medio Oriente. Come fa uno Stato a diventare «ebreo»? Per Marx, lo stato era la forma politica della società borghese - il fine del capitale era il profitto, e lo Stato era l'espressione politica di un tale fine. Egli vedeva lo Stato come comitato esecutivo della borghesia. Secondo Max Weber, lo Stato non poteva essere definito a partire dalle sue funzioni, e tanto meno dalle sue immaginarie caratteristiche nazionali, ma solamente dai suoi mezzi: l'uso legittimo della violenza fisica. Weber concepiva lo Stato moderno come una macchina. Per Thomas Hobbes - il grande teorico dell'autonomia statale - questa autonomia derivava da un contratto sociale che permetteva a interessi sociali contrastanti di prosperare sulla base di una reciproca protezione reciproca. Il suo Stato somigliava a quello di un dio mortale. Adam Smith definiva lo Stato come un potere favorevole al mercato - esso regola la condotta per legge in modo da armonizzare gli interessi privati; ciascuno persegue i propri obiettivi in un contesto in cui ognuno ha degli obblighi verso tutti gli altri, ma nel processo nessuno è assolutamente dipendente da qualcun altro in particolare. Affinché l'economia sia libera, i bisogni devono essere saldamente stabilito, al fine di sorvegliare il mercato. Nessuno di questi approcci definisce lo Stato in termini di presunte, o immaginate [*5], caratteristiche nazionali di un popolo che sarebbe omogeneizzato. La costruzione dell'identità nazionale è un compito politico. Infatti, l'antimperialismo va di pari passo con la liberazione nazionale, l'autonomia nazionale e l'autodeterminazione nazionale; tutte cose basate sulla semplice astrazione di una comunità senza classi, immaginata, ma resa effettiva dal potere politico e non determinata dalla natura (cfr. Anderson, 1991). Nel momento in cui si identifica un popolo invocando le sue presunte caratteristiche nazionali, ciò di solito provoca dei rimbalzi politici. «Se la "differenza" è diventata il marchio dell'anti-ragione teorica, "l'Altro" allora è diventato il marchio dell'anti-ragione pratica» (Rose, 1993, p. 5). "L'Altro" fornisce così una scusa per una vita danneggiata e, in quanto capro espiatorio, diviene l'oggetto del risentimento. Perry Anderson (2001) ha quindi ragione su un punto: il potenziale di violenza contro "l'Altro" è intrinseco al nazionalismo, qualsiasi cosa esso sia.
Inoltre, dobbiamo tener conto del crescente aumento e della portata dell'ondata antisemita, in particolare in Medio Oriente. Questa onda anomala ha offuscato qualsiasi distinzione tra la critica allo Stato d'Israele e la critica alle relazioni sociali concrete tra gli esseri umani. La sinistra antimperialista tende a liquidare il dilagante antisemitismo islamista come se fosse un semplice epifenomeno che rifletterebbe solo la rabbia giustificata contro Israele e contro l'imperialismo americano. Essa denuncia tutti coloro che negano la realtà di una nazione palestinese, e condanna l'esistenza nazionale di Israele, in quanto sarebbe solo una «testa di ponte» degli interessi imperialisti statunitensi in Medio Oriente. L'appello alla solidarietà con i Fratelli Musulmani, fatto sulla rivista SWP6 [*6], è sintomatico: «Noi diciamo che dobbiamo lavorare con i Fratelli Musulmani su questioni specifiche [Palestina o Iraq]» (Socialismo Internazionale, 2005, p. 31). A una simile tesi, Zizek ha replicato dicendo che non si tratta di cercare di «"comprendere" l'antisemitismo arabo [...] come se fosse una reazione "naturale" alla situazione dei palestinesi», ma bisogna opporvisi «incondizionatamente» (Zizek, 2009: 191; cfr. anche Zizek, 2008). «Comprendere» l'antisemitismo islamico come un'espressione "giustificata" di rabbia contro l'imperialismo significa sostenere, implicitamente, che l'antisemitismo esprime la resistenza al capitalismo. Allo stesso modo, non si dovrebbe cercare di «comprendere» le misure dello Stato di Israele «come se fossero una reazione "naturale" connessa allo sfondo dell'Olocausto» (ivi). Una simile «comprensione» finisce per accettare la barbarie dello sterminio come forza legittimante dell'azione statale. Ogni Stato cerca di giustificare la sua politica sfruttando il passato, per stabilire la propria legittimità (cfr. Tischler, 2005). Una simile legittimazione non offre alcuna redenzione ai morti. Secondo Walter Benjamin, la redenzione comporta il recupero del passato nella lotta contemporanea per la dignità umana, una dignità che è allo stesso tempo singolare e universale, indivisibile e inestimabile. La redenzione si trova pertanto associata ai nomi dei rifiutati, degli eretici, dei ribelli e dei dissidenti, non ai buoni uffici dello Stato.
L'integralismo islamico può anche essere considerato come una reazione all’«artiglieria pesante» del capitale globale che cerca di creare un mondo a sua immagine. Contro questo progetto, il fondamentalismo propugna la ricerca dell'autenticità; cerca di preservare le strutture sociali esistenti, purificando delle condizioni e delle tradizioni ancestrali immaginate; esso ripete con forza assassina e assordante la «paradigmatica gesticolazione fascista»; e vuole «un capitalismo senza capitalismo» (Zizek, 2009, p. 131). La lotta contro «l'intossicazione occidentale» [*7] - come Khomeini chiamava le idee di liberalismo, democrazia e socialismo - indica che l'antisemitismo islamista non solo ha poche possibilità di essere placato da una risoluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi, ma piuttosto è probabile che sia stimolato da un tale evento. In sostanza, il fatto di rappresentare Israele come una «testa di ponte» imperialista della contro-insurrezione capitalista "ebraica" alimenta l'odio per Israele in quanto stato "ebraico". L'attributo "ebreo" non viene mai riferito a esseri umani concreti - che si tratti di Ariel Sharon o di Karl Marx, Albert Einstein o Emma Goldman, Rosa Luxemburg o Leon Trotsky, Michael Neumann o Esther Rosenberg. Non tiene conto delle distinzioni sociali, siano esse di classe, di genere, di etnia, ecc. Al contrario, questo attributo presuppone che appartengano tutti alla stessa nazionalità - non importa che siano anarchici, comunisti, refusenik, capitalisti, operai, conservatori, fanatici religiosi, guerrafondai, pacifisti, mendicanti o semplicemente gente ordinaria e noiosa. Invece di riconoscere le contraddizioni, distinzioni, antagonismi, lotte e conflitti, l'attributo "ebreo" proietta quelle "qualità" astratte, immaginate e sfidanti la ragione che sono alla base dell'antisemitismo, li proietta su un popolo nazionalizzato; così facendo sposta la critica delle relazioni sociali esistenti alle concezioni totalitarie che oppongono l'amico nazionale al nemico nazionale. In questa relazione, la ragione si trova a essere sospesa e si viene trasportati in una convinzione del tutto irrazionale: «Il nemico del mio nemico è mio amico.» L'alternativa alla barbarie è il socialismo, non il suo derivato. Pertanto, l'unico modo per combattere il risorgere dell'antisemitismo «non è predicare la tolleranza liberale [...], ma esprimere il soggiacente ragionamento anticapitalista, in modo diretto e non indiretto» (Zizek, 2009: 191). La tolleranza liberale cede all'intollerabile e viene assorbita da esso.

III -
Ne "La questione ebraica" di Marx (1964) e negli scritti della Scuola di Francoforte, la categoria "ebreo" è una metafora sociale che concentra il risentimento anticapitalista dal punto di vista del capitalismo - un capitalismo anticapitalista. Contrariamente all'affermazione categorica di Perry Anderson, Marx e la Scuola di Francoforte hanno affrontato la «questione ebraica» dal punto di vista di una critica del feticismo dei rapporti di produzione borghesi. A partire dalla domanda critica di Marx, «Perché questo contenuto» [le relazioni sociali umane] «assume questa forma?» [la forma del Capitale] (cfr. Marx, 1993, p. 92), la Scuola di Francoforte si chiede perché la critica borghese del capitalismo prenda la forma dell'antisemitismo. Del resto, l'utilizzo affermativo della categoria "ebreo" serve a razionalizzare l'antisemitismo presentandolo come una manifestazione di odio verso il capitalismo; e, a partire dalla sua razionalizzazione, questo approccio si fa complice della «diceria sugli ebrei». Una tale complicità partecipa della paradigmatica manipolazione fascista relativa a un anticapitalismo che cerca un capitalismo senza capitalismo.
Ulrike Meinhof, ha  evocato succintamente la razionalizzazione dell'antisemitismo come odio per il capitalismo, quando ha detto: «Auschwitz ha fatto sì che sei milioni di ebrei venissero uccisi e gettati nel letamaio dell'Europa, per quello che erano: ebrei pieni di denaro. Il capitale finanziario e le banche, il cuore del sistema imperialista e capitalista, aveva scatenato l'odio degli uomini contro il denaro e contro lo sfruttamento, e contro gli ebrei [...]. L'antisemitismo è in realtà l'odio per il capitalismo» (citato in Watson, 1976, p. 23). Le tesi che seguono, elaborano questo tema.

IV -
L'antisemitismo non ha "bisogno" degli ebrei. La categoria "ebreo" ha dei poteri che le vengono attribuiti ma che non possono essere definiti in modo concreto. Questa astrazione non esclude nessuno, chiunque può essere considerato un ebreo. Il concetto di "ebreo" non conosce alcuna individualità, non designa un uomo o una donna, o un lavoratore o un mendicante; si riferisce a una non-persona, a un'astrazione. «L'ebreo è un uomo che gli altri uomini considerano ebreo» (Sartre, 1946, p. 88). Affinché l'antisemitismo si scateni, l'esistenza di "ebrei" non è un accessorio, non è richiesta. « [...] L'antisemitismo ormai non è altro che un programma intercambiabile, la cui base è la riduzione universale di tutte le energie specifiche a una sola forma astratta di lavoro, dal campo di battaglia allo studio cinematografico.» (Horkheimer e Adorno, 1974, p. 303). In questo modo, l'antisemitismo appartiene a un mondo sociale in cui il senso e il significato vengono sacrificati alle norme e alle regole di una realtà politica ed economica che postula uniformità, ripetizione ritualizzata e soggettività senza 0oggetto in quanto forme dell'esistenza umana. Il tempo è denaro, diceva Benjamin Franklin. E così potremmo aggiungere: il denaro è tempo. «L'economia del tempo: alla fin fine, tutta l'economia si riduce a questo» (Marx, 1973, p. 173). Se, dunque, tutto può essere ridotto al tempo, un tempo astratto, divisibile in unità uguali, omogenee e costanti che si spostano senza sosta da un'unità all'altra, e che, dissociate dalle attività umane concrete, vengono misurate qualunque sia l'attività, indipendentemente dal loro contenuto; ecco che allora «Il tempo è tutto,  e l'uomo non è niente; egli è tutt'al più l'involucro del tempo.» (Marx, 1948).
Il tempo è un fatto fondamentale. Tutto il resto è una perdita di tempo. E il tempo è interessato solo a due cose: «Quanto?» e «Quanto tempo ci è voluto?». Il tempo degli obiettivi umani è diverso dal tempo del lavoro astratto. Perfino l'esistenza stessa di questa differenza designa come la felicità, al di là della vita stessa, alla fine non è altro che una mera personificazione del tempo di lavoro, e alimenta quel cieco risentimento e la rabbia che l'antisemitismo concentra e sfrutta ma che non produce da sé solo. «Il pensiero della felicità senza potere è insopportabile perché allora sarebbe quella la vera felicità» (ivi., p. 172).
L'antisemitismo stabilisce una differenza tra la "società" e la "comunità nazionale". La "società" viene identificata come "ebrea", mentre la comunità è percepita come un contro-mondo. Secondo questa visione, la natura costituisce la comunità e sarebbe minacciata da forze sociali astratte "malvagie". Gli antisemiti attribuiscono agli Ebrei  delle caratteristiche come la mobilità, l'intangibilità, l'assenza di radici e la cospirazione contro i valori - mitici e mitizzati - della comunità immaginaria delle persone oneste e laboriose. Dei poteri maligni (riflessione intellettuale, regole e leggi astratte, le forze disintegratrici del comunismo e del capitale finanziario) minacciano il presunto "benessere" di questa comunità. Il comunismo e il capitale finanziario vengono entrambi considerati come dei poteri di sradicamento e dei dispositivi della ragione. La ragione viene respinta a causa del suo desiderio contagioso di volere andare alla radice delle cose. Ma questa radice può essere solamente l'uomo visto nelle sue relazioni sociali. La ragione è l'arma della critica. Essa mette in discussione le condizioni nelle quali l'uomo viene degradato e trasformato in una mera risorsa economica. L'antisemita detesta l'indipendenza di pensiero e la capacità di riflettere liberamente, senza timore. detesta l'idea che «l'uomo costituisce per l'uomo» [Mensch, essere umano] «l'essere supremo» (Marx, 1998). Anziché questo, cerca la liberazione attraverso la furiosa affermazione della sua propria follia. L'immagine che gli antisemiti si danno dell'ebreo, visto come personificazione del male, è infatti il proprio autoritratto. «La follia sostituisce il sogno che l'umanità possa organizzare umanamente il proprio mondo, un sogno di un mondo fatto dall'uomo che essa rifiuta ostinatamente» (Adorno, 1986, p. 124). L'antisemitismo manifesta un desiderio perverso di uguaglianza. Cerca un'uguaglianza che deriva dall'appartenenza a una comunità nazionale, una comunità di "Volksgenossen" [*8]. Questa uguaglianza viene definita a partire dalla mitica "proprietà" della terra e del suolo basata sui legami di sangue. Il feticismo del sangue e della terra è a sua volta radicato nel feticismo del capitale, dove il concreto, sotto forma di valore d'uso, si realizza solo attraverso attraverso l'astratto, sotto forma di valore di scambio. L'antisemitismo interpreta il sangue, la terra e le macchine come dei contro-principi concreti dell'astratto. L'astratto viene personificato nella categoria dell'«Ebreo» (si veda Postone, 2013). Per gli apologeti del liberalismo di mercato, il riferimento alla mano invisibile funziona da rifugio esplicativo. Esso spiega ogni cosa facendo riferimento all'Invisibile. «La carestia è il modo in cui Dio punisce coloro che hanno troppa poca fede nel capitalismo» (Rockefeller Sr., citato in Marable, 1991, p. 149). Per gli antisemiti, tuttavia, il potere dell'invisibile può essere spiegato - l'Ebreo ne costituisce la sua personificazione e la sua esistenza biologica. Così trasformano l'insoddisfazione per le condizioni esistenti in una ribellione conformista contro la personificazione proiettata del capitalismo. La concezione nazionalista dell'uguaglianza definisce la "società" come l'Altro - come un parassita il cui scopo è opprimere, minare e pervertire la «comunità naturale» facendo affidamento sulla forza "disintegrante" dei valori astratti e immateriali della civiltà borghese. La categoria di "ebreo" viene vista come la personificazione del pensiero astratto e dell'uguaglianza astratta, compresa la sua incarnazione, il denaro. Il Volksgenosse è perciò qualcuno che resiste ai valori astratti "ebraici" difendendo una sorta di uguaglianza naturale. L'«uguaglianza» degli ebrei risulta da una costruzione a cui appartengono tutti coloro che si discostano e allontanano dalla concetto di Volksgenosse, cioè dalla mitica materia concreta. Il mito dell'ebreo si confronta così con il mito del possesso originario della terra, che eleva l'«uguaglianza regressiva» (Adorno, 1980) del nazionalismo fino a farlo diventare un'azione liberatrice. Il Volkgenosse si considera come un figlio della natura, e quindi come un essere naturale. Il suo destino naturale è quello di contribuire a liberare la comunità nazionale da supposti valori astratti e privi di qualsiasi radice, ed esigere la loro naturalizzazione, perché tutto venga restituito alla «natura». In breve, la Volksgenosse si ritiene radicata nel sangue e nella tradizione ancestrale; difende la propria fede nell'immoralità della follia facendo affidamento sull'approvazione collettiva della rabbia. Canalizza questa rabbia contro la presunta vittoria della civiltà sulla natura, una vittoria percepita come una condanna al sudore, alla fatica e allo sforzo fisico, mentre l'Altro è percepito come un banchiere e uno speculatore. Questo è ciò cui il Volksgenosse aspira per sé stesso: specula sulla morte e mette in banca i denti d'oro che gli sono stati estratti.
Per i Volksgenossen, l'Ebreo «è infatti il capro espiatorio non solo per le manovre e le macchinazioni individuali, ma in un senso più generale, nella misura in cui  gli si rimprovera l'ingiustizia economica commessa dall'intera classe» (Horkheimer e Adorno, 1974, p. 257). L'antisemitismo si appella a una vendetta "giusta" da parte della comunità nazionale "vittima" dei poteri della società «senza radici» [*9]. La "comunità" viene percepita sia come vittima che come «forte». La sua forza deriva dalla concezione biologica della comunità nazionale: è il sangue che fonda il possesso, la tradizione e la comunità ancestrale. Questa biologizzazione della comunità legittima l'omicidio biologizzando l'azione: la biologia viene concepita come un destino.
L'organizzazione efficiente e la fredda e serena esecuzione dell'atto si riflettono nel suo disprezzo dell'individualità: i cadaveri si assomigliano tutti quando si è soddisfatti del risultato ottenuto; niente distingue un numero da un altro se non la differenza quantitativa - la misura del successo. La semplice esistenza di una distinzione è una provocazione. Viene sospeso il giudizio. Tutti vengono numerati e valutati ai fini del loro utilizzo. «L'aspetto morboso dell'antisemitismo non risiede nel comportamento proiettivo in quanto tale, ma nella mancanza di riflessione su di esso» (ibid., p. 189). Auschwitz rappresenta quindi l'«ostinazione» non solo del principio dell'«astrazione», ma anche dell' «astrattizzazione». Viene resa astratta anche la biologizzazione dell'astratto in quanto «Ebreo»: tutto ciò che può essere usato viene utilizzato, come i denti, i capelli, la pelle; la forza lavoro; e, per finire, si rende astratto, e quindi invisibile, l'astratto. La mano invisibile del mercato, identificata come potere astratto-biologico dell'«Ebreo», lo trasforma in fumo che satura l'aria.

V -
Il nazionalsocialismo si proponeva come un movimento anticapitalista. Tuttavia, allo stesso tempo accoglieva in maniera favorevole anche il capitale industriale e le nuove tecnologie. Infatti, secondo Götz Ali e Susanne Heym (1988), la preparazione della Soluzione Finale nella Polonia occupata non dipendeva tanto dall'antisemitismo come ideologia, quanto su un calcolo neo-malthusiano delle risorse. Secondo questi autori, la sostenibilità economica della Polonia occupata dipendeva, per i nazisti, dalla riduzione del numero di abitanti, in modo da garantire che il capitale esportato verso la Polonia potesse essere utilizzato in maniera efficace. Qual è la relazione tra la proiezione ideologica anticapitalista del nazismo e il calcolo razionale di risorse economiche, che propone l'omicidio di massa come "soluzione" per raggiungere la redditività capitalistica? L'antisemitismo nazista differisce dall'antisemitismo del vecchio mondo cristiano, ma ciò non vuole affatto dire che non l'abbia sfruttato. L'antisemitismo cristiano ha costruito l'«Ebreo» come un potere sociale astratto: siede sul banco degli imputati perché è l'assassino di Gesù, ed è perseguitato perché è il figlio di un assassino. Nell'antisemitismo moderno, l'Ebreo è stato scelto a causa dell’«orrore religioso che ha sempre ispirato» (1946, p. 87). Nel mondo cristiano, la categoria di «Ebreo» era anche un costrutto socio-economico dal momento che è stato costretto a occupare la funzione economica vitale del commercio illecito di denaro. In questo modo, la maledizione economica che implicava un simile ruolo sociale ha rafforzato la maledizione religiosa. L'antisemitismo moderno usa e sfrutta queste costruzioni storiche e le trasforma: l'Ebreo viene accusato e perseguitato per aver svolto delle attività improduttive. La sua immagine con cui viene rappresentato è quella di un intellettuale e di un banchiere. «Il banchiere e l’intellettuale, denaro e spirito, gli esponenti della circolazione, sono il sogno rimosso dei mutilati dal dominio, e di cui il dominio si serve per perpetuarsi.» (Horkheimer e Adorno, 1974, p. 255). Il possesso biologicamente predefinito della terra e della tradizione viene contrapposto al possesso di concetti universali e astratti. I termini «di astratto, di razionalista, e di intellettuale assumono un significato peggiorativo. Non potrebbe essere altrimenti, poiché l'antisemita è definito a partire dal possesso concreto e irrazionale dei beni della nazione» (Sartre, 1946, p. 142). I valori astratti stessi sono stati biologizzati; l'astratto è stato identificato come «Ebreo». In tal modo, il «concreto» e l'«astratto» sono stati entrambi biologizzati: uno attraverso il possesso della terra (il concreto affonda le sue radici nella natura, nel sangue e nella tradizione), mentre l'altro per mezzo del possesso del «veleno» (l'astratto in quanto potere, viene separato da tutte le radici, per mezzo dell'intelligenza e del denaro). Il mito dell'unità nazionale si oppone al mito dell'Ebreo. La comunità ebraica avrebbe il compito di manipolare il mondo urbano del crimine, della prostituzione e della cultura materialista e volgare. La tradizione viene opposta al ragionamento, all'intelligenza e all'auto-riflessione; e le concezioni nazionalistiche della comunità, dell'economia e del lavoro vengono contrapposte alle forze astratte della finanza internazionale e del comunismo (cfr. Postone, 2013). I Volksgenossen sono quindi identici nella cecità.
«Il comportamento antisemitico si scatena in situazioni in cui gli uomini accecati e privati della soggettività vengono liberati come soggetti» (Horkheimer e Adorno, 1974, p. 253). Mentre la ragione
sopravvive nella e attraverso la critica dei rapporti sociali, la Volksgenosse ha fede solamente nel terrore efficacemente scatenato, il quale priva le presunte personificazioni del capitalismo di tutto ciò che le sue vittime posseggono: vestiti, scarpe, denti, capelli, pelle, vita. La raccolta dei denti d'oro degli Ebrei e dei capelli di coloro che verranno uccisi, e la supervisione della schiavizzazione di coloro che sono autorizzati a strisciare ancora un altro giorno, richiede solo un'organizzazione efficiente.
La denuncia del capitalismo, fatta dal nazismo, come «capitalismo ebraico», ha così permesso all'impresa capitalista di svilupparsi senza sosta, mentre apparentemente rifiutava il capitalismo. Il nazismo lo presentava come un sistema finanziario che favorisce la speculazione e l'accumulazione di ricchezza parassitaria; come un sistema separato da ogni radice, mobile e immateriali, che annienta lo spazio attraverso il tempo; un sistema che sacrifica ogni impresa concreta sull'altare del denaro, ecc. La critica del capitalismo come «capitalismo ebraico» sostiene che il capitalismo in realtà non è altro che un sistema improduttivo che genera denaro - un'economia redditiera che vive a spese di una presunta comunità nazionale fatta di individui creativi e laboriosi. Così facendo, pregiudica quella comunità, sottomettendola alle forze prive di radici, e quindi spietate, del denaro mondiale, perché, per dirla con Mahathir Mohamad, «non sono felici di vederci prosperare». Per gli antisemiti, pertanto, il mondo appare loro essere diviso tra capitale monetario e natura concreta. Essi concepiscono il concreto come materia immediatamente utilizzabile, direttamente radicata nell'industria e nell'attività produttiva. Per loro, il denaro non solo è la radice di tutti i mali, ma viene anche giudicato senza radici; non solo esiste indipendentemente dal capitale industriale, ma anche al di là e contro gli sforzi industriali della nazione: ogni impresa viene pervertita dalla distruttiva e continua ricerca di un denaro che vuole accrescersi costantemente. Così, il denaro e il capitale finanziario sono identificati con il capitalismo, mentre l'industria viene vista come l'impresa concreta e creativa portata avanti da una comunità nazionale. Tra il capitalismo, visto come accumulazione monetaria, e la comunità nazionale, vista come un'impresa industriale, a decidere è il denaro. Da questo punto di vista, l'industria e l'impresa vengono "rese" capitaliste dal denaro: il denaro penetra ogni espressione dell'industria; perverte e disintegra perciò la comunità in nome dei valori astratti del capitale finanziario. Questa forza distruttrice rivendica e perverte: l'individuo in quanto imprenditore; la creatività in termini di un orientamento paternalistico della produzione di valore d'uso; il radicamento in termini di Volk; la comunità in quanto comunità naturale. Al posto di un ordine naturale basato sulla gerarchia e sulla posizione della comunità, la forza artificiale e senza radici del denaro pretende di far girare il mondo, sradicando l'ordine naturale dei Volksgenossen. Così facendo, il Volksgenossen non solo può accogliere il capitalismo, ma può anche dichiarare che il lavoro forzato rende liberi: Arbeit macht frei. «Il lavoro non disonora, hanno detto, per potersi impadronire più razionalmente di quello degli altri. Essi stessi si sono annoverati fra i produttori, mentre sono rimasti gli arraffatoti di sempre» (Horkheimer e Adorno, 1974, p. 256). Viene separato ciò che è fondamentalmente connesso, cioè la produzione e il denaro; si stabilisce una differenza tra il denaro, da un lato, e l'industria e l'impresa, dall'altro; il risultato che otteniamo, è una critica feticista del capitale, che, attaccando quella che è una personificazione proiettata del capitale, cerca di espandersi attraverso il terrore.
La biologizzazione dell'attività creativa permette allo sfruttamento del lavoro di funzionare senza ostacoli in nome di valori concreti mitizzati, eliminando le forze ingannatrici e perverse dell'astratto  - l'«Ebreo», il quale viene condannato come incarnazione del capitalismo. In questo modo, l'ideologia del sangue e del suolo, da un lato, e le macchine e l'espansione industriale sfrenata, dall'altro, sono proiettate come immagini di una nazione sana e pronta a liberarsi della perversione dell'industria, una perversione orchestrata dal "vampiro" astratto, universale, senza radici, mobile, intangibile e internazionale del «capitalismo ebraico». La celebrazione della Volksgenosse intesa come personificazione del concreto, del sangue, del suolo, della tradizione e dell'industria, consente di uccidere senza paura gli ebrei. Tuttavia, essa manifesta «l'ostinazione della vita alla quale ci si deve conformare e rassegnare». (ivi, p. 171): l'ozioso lavoro che consiste nell'uccidere altri esseri umani viene effettivamente portato a termine. Questi Volksgenossen attuarono tutti lo stesso gesto e in tal modo divennero così veramente uguali gli uni agli altri: la loro occupazione non fece che confermare ciò che già sapevano, cioè che avevano perso la loro individualità di soggetti.
Tutto viene quindi trasformato in pura natura. L'Astratto non è stato solo personalizzato e biologizzato, ma anche «astrattizzato». Auschwitz era una fabbrica per «distruggere le personificazioni dell'astratto». La sua organizzazione era quella di un processo industriale diabolico, che aveva lo scopo di "liberare" il concreto dall'astratto. Il primo passo per realizzare questo obiettivo fu quello di disumanizzare gli Ebrei, cioè strappare loro la "maschera" dell'umanità, la maschera della specificità qualitativa, per mostrarli «come sono realmente»: delle ombre, delle cifre, delle astrazioni. Il secondo passo fu quello di sterminare queste astrazioni, e trasformarle in fumo, cercando di recuperare da quegli ultimi resti il «valore d'uso» concreto e materiale: «i vestiti, l'oro, i capelli, il sapone» (Postone, 2013, p. 120).

Conclusione -
Adam Smith aveva ragione quando affermava che il capitalismo crea la ricchezza delle nazioni, notando come «il proprietario del capitale è veramente un cittadino del mondo, e non si trova necessariamente legato ad alcun paese in particolare. Piuttosto, sarebbe disposto ad abbandonare quello in cui si trova esposto a delle indagini vessatorie, le quali avrebbero lo scopo di sottoporlo a onerose imposte, e sposterebbe il suo capitale in qualsiasi altro luogo dove poter condurre i suoi affari e godersi la propria fortuna a suo piacimento» (Smith, 1991, p. 453).
David Ricardo è dello stesso avviso, e aggiunge: «se in un paese non viene permesso al capitale di raccogliere tutti quei profitti che possono essere che possono essere prodotti da delle forze meccaniche perfezionate, allora tale capitale viene spinto fuori da quel paese, e questa diserzione del capitale sarà assai più fatale al lavoratore che a una più ampia diffusione delle macchine» (Ricardo , 1971, p. 351). Viene pertanto formulata anche la necessità delle relazioni sociali capitalisti al fine di produrre una «popolazione in esubero».
Secondo Hegel, l'accumulo di ricchezza infonde insicurezza in tutti coloro che dipendono dalla vendita della loro forza lavoro al fine di assicurare la propria riproduzione sociale, allorché le loro condizioni si deteriorano. Egli conclude dicendo che, nonostante l'accumulo di ricchezza, la società borghese avrebbe molte difficoltà a placare le masse dipendenti, e vede nella forma dello Stato il mezzo per riconciliare gli antagonismi sociali, contenendo le masse dipendenti.
Karl Marx sviluppò queste idee, e dimostrò che «l'uguaglianza dei diritti» era, in linea di principio, una legge borghese.  « il potere che ogni individuo esercita sulla attività degli altri o sulle ricchezze sociali, egli lo possiede in quanto proprietario di valori di scambio, di denaro. Il suo potere sociale, così come il suo nesso con la società, egli lo porta con sé in tasca» (Marx, 1973, pp. 156-57). Contro la forma borghese dell'uguaglianza formale, Marx sosteneva che il comunismo era basato sull'uguaglianza dei bisogni umani individuali. Per Theodor Adorno e Max Horkheimer (1974, p. 252), l'antisemitismo esprimeva un rifiuto barbarico, insensato, del capitalismo, che lo rendeva utile al capitalismo, «alle cricche che vogliono dominare». «I dominatori potranno sopravvivere solo finché i dominati trasformeranno gli oggetti delle loro aspirazioni in oggetti del loro odio» (ivi, p. 292). Di fronte a delle condizioni di vita date, l'antisemitismo canalizza il malcontento in un cieco risentimento contro il nemico esterno che viene proiettato all'interno. Questo rifiuto del capitalismo «è quindi altrettanto totalitario, per il fatto che esso cerca di mettere la rivolta della natura oppressa contro questa dominazione, direttamente al servizio di tale dominazione. Questo meccanismo ha bisogno degli ebrei» (ivi, pp. 272-273). In altre parole, «Poco importa se gli ebrei in quanto tali - la loro immagine, vista come l'immagine del popolo sconfitto - rappresentano le caratteristiche a cui il dominio, divenuto totalitario, non può che essere ostile: le caratteristiche della felicità senza potere, di un salario senza lavoro, di una patria senza frontiere, di una religione senza mito. Queste caratteristiche vengono rifiutate dalla dominazione, perché i dominati aspirano segretamente ad esse» (ivi, p. 292). L'antisemitismo spinge la folla a disumanizzare, mutilare e uccidere l'Altro proiettato, sopprimendo la possibilità, e persino l'idea di felicità e distinzione, incitando a partecipare al massacro.
La critica antimperialista di Israele vista come «testa di ponte» dell'imperialismo statunitense in Medio Oriente, e del sionismo moderno come ideologia, sistema organizzativo e pratica politica strategica del capitalismo statunitense, pone l'accento su dei motivi anticapitalisti soggiacenti a quello che è un falso conflitto e incoraggia l'amicizia con dei falsi amici. Nel contesto della lotta di un nazionalismo contro un altro, la lotta di classe viene soppressa, e viene dimenticata la liquidazione della società di classe. Inizialmente, la critica dell'ideologia ha cercato di rivelare la necessaria perversione della pratica sociale umana nella sua apparenza: in quanto relazioni tra le cose e oggettivazione del soggetto umano come portatore di cose mitizzate, sia che si tratti di capitale, valore, prezzo, denaro o nazione. La ragione era la sua intenzione critica, e la rivoluzione un desiderio pratico. Il fatto di non avere alcun principio da invocare, o interesse a dedicarsi a calcoli politici e opportunismo, ora riesce ad apparire come una Weltanschauung (una visione del mondo). La solida difesa di Al Qaeda fatta da Alex Callinicos [*10] e il suo rifiuto di descrivere il movimento come fascista [*11] esprime bene tutto questo.
Egli respinge questa analisi e la presenta come se fosse un'«affermazione straordinaria» in quanto, a suo avviso, «Il concetto musulmano di Ummah - la comunità dei fedeli - è per l'appunto un concetto transnazionale, al quale la rete di al-Qaeda si è strettamente attenuta (indipendentemente dalle differenze tra le sue interpretazioni della dottrina musulmana e quelle di altre correnti) e che integra militanti di diverse origini nazionali» (Callinicos, 2003, p. 140). Secondo questo autore, i modi che deviano dall'anticapitalismo non mettono in discussione l'apparenza delle cose, ma la interpreta in modo diverso e cerca di configurare in modo diverso le condizioni umane negative. Che si tratti di un mondo delle cose, o di un altro, in entrambi i casi, quando l'atto è compiuto, la crudeltà del silenzio nella casa del del boia è assordante.

- Werner Bonefeld – 2009 - fonte: Mondialisme.org -

NOTE:

[*1] -  In tedesco, esistono due termini: Jüdisches Kapital («Capitale ebraico») e Judenkapital (Capitalismo giudaico). Jüdisches Kapital veniva spesso usato nei giornali del KPD, mentre Lo Judenkapital venne usato principalmente da gruppi nazionalisti, völkisch (nazionalisti-razzisti). Su questo tema, e più in generale sulle convergenze tra nazisti e comunisti negli anni '20, si veda l'articolo dell'autore del libro "The Nazi and Communist Movement", l'articolo di Olaf Kistenmacher «De “Judas” au “Capital juif”:forme di pensiero antisemita nel partito comunista tedesco (KPD) sotto la Repubblica di Weimar, 1918-1933", sul sito npnf.eu

[*2] - Mahathir è recidivo. Nel suo libro "The Malay Dilemma", pubblicato nel 1970, ha scritto: «Gli ebrei non solo hanno il naso adunco, ma comprendono il denaro per istinto". E anche: «Gli ebrei sono sempre stati un problema per i paesi europei. Dovevano essere confinati in dei ghetti e venire periodicamente massacrati». Nel 2003, al 10° vertice dell'Organizzazione della Conferenza Islamica, ha detto: «Oggi gli ebrei governano il mondo per procura. Fanno combattere altri popoli e morire altri popoli per loro. [...] Il loro potere e il loro apparente successo. oggi li rende arroganti». E sul Bangkok Post, il 27 ottobre 2003 ha fatto un altro commento: gli ebrei «controllano il mondo. [...] Israele è un piccolo paese. Non ci sono molti ebrei nel mondo. Ma sono così arroganti che sfidano il mondo intero. Continuano anche se le Nazioni Unite dicono loro di no. Perché lo fanno? Perché hanno molto sostegno. [...] E perché hanno molti media che presentano le cose in maniera completamente unilaterale e influenzano un sacco di gente. Si considera solo la loro versione».

[*3] - Ripubblicato di recente dagli editori cospirazionisti e di estrema destra: "Kontre Kulture" (2012), e "Hadès Edizioni" (2017).

[*4] - Cfr. Yves Coleman (2006): "Un gringo sciovinista, antisionista e antisemita" e "Dallo ZORG alla ZPC". (2007), sul sito mondialisme.org e nella rivista "Ni patrie ni frontières".

[*5] - Su questo concetto, diffuso nel mondo attivista anglosassone (cfr. Benedict Anderson, "L'immaginazione nazionale. Riflessioni sull'origine e l'essenza del nazionalismo", La découverte, 1996.), si può leggere l'articolo dettagliato e critico di Christine Chivallon, "Retour sur la 'communauté imaginée' d'Anderson. Essai de clarification théorique d'une notion restée floue", Raisons politiques 2007/3 (n° 27), sul sito cairn.info.

[*6] - Gruppo trotskista formato nel 1950 come Socialist Review Group, che poi divenne l'International Socialists nel 1962 e il SWP nel 1997. Negli anni '70 e '80 è stato probabilmente la più influente organizzazione di estrema sinistra nel Regno Unito. Ora in declino, ha conosciuto diverse scissioni ed esclusioni significative, per non parlare di diversi scandali. Dopo una svolta leninista, ora è pienamente impegnat in una politica classicamente terzomondista, islamofila, persino islamistofila, pigliatutto.

[*7] - In inglese "westoxication", in persiano "Ghabzadegi" (letteralmente, la condizione di una persona o di una società colpita violentemente dall'Occidente), questo termine è stato usato da diverse correnti politiche in Iran negli anni '60 e '70, da saggisti, scrittori e intellettuali musulmani, sciiti, marxisti, atei-razionalisti e/o di 'estrema sinistra', per denunciare l'influenza americana e occidentale e la borghesia iraniana sotto la dittatura dello scià e per sostenere un rovesciamento, anche con la violenza armata, di questo regime. Vedi l'articolo di Brad Hanson "La "Westoxication" dell'Iran: Rappresentazioni e reazioni di Behrangi, al-e Ahmad e Shariati", International Journal of Middle East Studies, Volume 15, No. 1, Febbraio 1983, su jstor.org .

[*8] - Letteralmente, «compagni del popolo». Un termine usato a partire dal 18° secolo per designare i membri di una comunità germanica legata da dei vincoli di sangue, la quale forma sia una nazione che una razza. Termine ripreso dai nazisti nel 1920 al punto 4 del programma del NSDAP: «Solo i I Volksgenossen hanno diritti civili. Per essere un Volksgenossen, bisogna essere di sangue tedesco, la confessione non ha importanza. Nessun ebreo può quindi essere un Volksgenossen.»

[*9] - Secondo l'opinione di un compagno traduttore, «Il termine tedesco è sicuramente "entwurzelt", usato dal movimento völkisch. Hitler non lo usa nel Mein Kampf. Lo si trova nello "specialista" del movimento nazista, F.K. Günther, il quale parla di un «ceppo etnico totalmente entwurzelt». Io lo tradurrei semplicemente come «tagliato fuori da ogni radice», e non come cosmopolita, che è troppo comune e che di solito viene usato in un altro senso.

[*10] - Leader britannico del SWP, vedi nota 7.

[*11] - Bonefeld ha pubblicato un altro testo molto simile a questo, di cui è probabilmente una versione successiva, poiché è il nono capitolo del libo "Critical theory and the critique of political economy : On
subversion and negative reason", pubblicato nel 2014 da Bloomsberg. Bonefeld afferma: «Se l'etichetta di fascista sia appropriato o meno non è qui la questione. Piuttosto, ad essere problematica è questa mentalità dell'etichetta in quanto tale: essa cataloga dei fatti sociali senza ulteriori riflessioni su cosa siano questi fatti.». Cfr. https://www.stoff.fr/materiau/formes-perverties-du-capitalisme-et-elements-delantisemitisme , capitolo tradotto da Léa Nicolas-Teboul

Riferimenti:

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3 commenti:

Piero Manconi ha detto...

I palestinesi che vivono nella Palestina occupata hanno affrontato la pulizia etnica e lo sfollamento forzato dai loro villaggi per più di sette decenni. Ciò è stato ottenuto attraverso la demolizione di case, la restrizione alla circolazione, il coprifuoco, le detenzioni arbitrarie, la confisca dei terreni e la negazione dell'accesso all'acqua, all'elettricità, alla sanità e all'istruzione. Allo stesso tempo, i palestinesi hanno anche resistito allo sfollamento con l'obiettivo di ricostruire le case distrutte, porre fine all'occupazione israeliana e alla fine ottenere la loro libertà. Domanda: denunciate questa situazione che si perpetua da 70 anni è antisemitism

Piero Manconi ha detto...

Per Werner Bonefeld sembrerebbe di sì. I riferimenti alla lotta di classe per la situazione palestinese sono demenziali e tentativo di fuorviare dalla realtà.

BlackBlog francosenia ha detto...

Non necessariamente.