Quelli che sono più vaccinati degli altri
- In condizioni di pandemia, il nazionalismo vaccinale è il proseguimento della concorrenza di localizzazione con altri mezzi -
di Tomasz Konicz
Una pandemia può fornire buon materiale illustrativo sui rapporti di dominio nel tardo capitalismo. Nel giro di 24 ore, Angela Merkel è stata convinta a ritirare la sua decisione di introdurre, nel fine settimana di Pasqua, due «giorni di riposo» aggiuntivi. Ai funzionari del capitale facenti parte della Federazione delle Industrie Tedesche, delle federazioni dei metalmeccanici, dell'industria automobilistica e della famigerata "Associazione delle imprese familiari" è bastato un solo giorno di campagna stampa per abbattere quel progetto, facendo uso della minaccia di una crescente "disperazione" nelle file dei "datori di lavoro", oltre ai danni irreparabili, e ai costi astronomici; oltre ai soliti riferimenti alla competitività internazionale, l'Istituto Tedesco di Economia ha sbandierato la cifra di 4,45 miliardi di euro di vendite che si sarebbero perse a causa della chiusura.
Dopo che la Merkel ha ceduto, ed essersi scusata pubblicamente, l'Associazione Tedesca dell'Industria Automobilistica [Verband der Automobilindustrie (VDA)] è stata magnanima: «Ammettere un errore dimostra grandezza», ha detto la presidente dell'associazione Hildegard Müller, la quale prima aveva lamentato che «economia di rete internazionale», e «chiusure improvvise di impianti» non potevano essere «praticabili». Il presidente dell'Associazione delle Imprese Familiari, invece, ha adottato un approccio più informale nella sua critica alla Merkel: «Il messaggio che apparentemente proviene dal governo è: i soldi basta stamparli».
L'ideologia della localizzazione, che riesce a proporsi nei media come una riflessione contro le misure anti-pandemiche efficaci, ha in realtà un fondo di verità, nella misura in cui i funzionari del capitale finiscono solo per eseguire dei vincoli materiali contraddittori riguardo il processo di valorizzazione del capitale. Da un lato, il capitale funziona, secondo quella che è la sua propria dinamica, come una totalità sociale. L'intera società capitalista, comprese tutte le sue nicchie, non rappresenta altro che la fase transitoria concreta della reale valorizzazione astratta, quella nella quale il denaro si trasforma in altro denaro attraverso il lavoro salariato speso nella produzione di merci. In questo modo, le società tardo-capitaliste si trovano a essere anche del tutto dipendenti da questo processo di accumulazione: concretamente, sotto forma di salari e di tasse. Così, un Lockdown sortisce l'effetto di uno sciopero generale che paralizza il processo di valorizzazione del capitale, e alla lunga può essere mantenuto solo per qualche tempo solo grazie al debito pubblico - vale a dire, di fatto, solo a partire dalla speranza di tassare la futura valorizzazione del capitale -; un debito, questo, che è esploso a partire dall'inizio della pandemia.
Tuttavia, questa dipendenza della società del lavoro capitalista, dal lavoro salariato, si esprime attraverso il mercato e la concorrenza. I luoghi che vengono colpiti più duramente dalla pandemia, rispetto alla media, vengono lasciati indietro per quanto riguarda la competizione globale; la quale è una competizione feroce a causa della crisi mondiale del capitale che si manifesta nelle crescenti montagne di debito. Chi vuole essere la prossima Grecia? Il piagnisteo tedesco a proposito della lentezza della campagna di vaccinazione - il non riuscire a capire perché non siamo arrivati a essere il campione mondiale di vaccinazione - è radicato proprio in questa paura della Retrocessione. Inoltre, il mantenimento della produzione industriale nella Repubblica Federale Tedesca aiuta a mitigare in maniera efficace il corso della crisi nel centro economico tedesco dell'UE. Le esportazioni sostengono lo slancio economico in questo paese, mentre il consumo interno ristagna.
Di conseguenza, le élite politiche della RFT oscillano tra la massima libertà economica possibile, per non rimanere indietro nella concorrenza di localizzazione, e lo sforzo di limitare i contatti di lavoro attraverso ampie restrizioni delle libertà private dei salariati. In questo modo, l'allentamento e l'inasprimento delle restrizioni si alternano senza che ci sia un sostanziale contenimento della pandemia. In effetti, si fanno sacrifici per la Germania in quanto sede di affari: la gente muore per il virus, le misure pandemiche inadeguate non trovano fine, ma l'economia deve prosperare.
Una tale costellazione forma, per così dire, la base economica del nazionalismo dei vaccini, il quale va inteso come lo sforzo degli Stati nazionali per ottenere vantaggi decisivi nella competizione globale di localizzazione, accumulando vaccini e accelerando le campagne di vaccinazione. Tutto questo può essere calcolato in termini concreti: la rivista d'affari americana "Forbes" ha recentemente citato uno studio che stima i costi della lenta campagna di vaccinazione nell'UE in quasi 100 miliardi di euro solo per l'anno in corso, questo calcolo comprende sia i costi diretti di contenimento che le perdite di crescita.
Alla fine del 2020, la concorrenza per i vaccini come fattore di localizzazione ha portato i paesi industrializzati nei centri del sistema globale - dove però vive solo il 13,7% della popolazione mondiale - a comprare più della metà di tutte le potenziali forniture di vaccini. In questa guerra di offerte per vaccini promettenti, a prevalere sono stati semplicemente i paesi ricchi, con delle connessioni nazionali tra capitale e politica che giocano anch'esse un ruolo, come illustra il caso del fornitore di vaccini britannico-svedese AstraZeneca. C'è stata indignazione a Bruxelles e Berlino quando l'azienda ha annunciato la mancanza di forniture in Europa, mentre la campagna di vaccinazione nel Regno Unito era in corso in tempo. La questione era se delle «dosi pre-prodotte per l'UE fossero andate lì», ha lamentato di recente la Deutsche Welle, che si chiedeva se ci fosse «un trattamento preferenziale per il Regno Unito», da parte della «casa farmaceutica britannico-svedese».
L'UE sembra di certo pensarla in questo modo; motivo per cui il capo della Commissione, Ursula von der Leyen, ha potuto annunciare a fine marzo che Bruxelles non avrebbe permesso ad AstraZeneca di fornire vaccini al Regno Unito fino a nuovo ordine. Questo è di fatto un embargo. Tuttavia, Berlino sta agendo anche nello spirito del nazionalismo vaccinale, senza che questo però venga realmente notato in Germania. All'inizio dell'anno, la sola Germania si è assicurata circa 30 milioni di dosi di vaccino da Biontech, una mossa che ha suscitato critiche, in particolare da parte dell'Italia colpita dalla pandemia.
Originariamente, l'UE avrebbe dovuto organizzare una campagna di vaccinazione coordinata a livello europeo, in cui i vaccini sarebbero stati acquistati a livello centrale e distribuiti secondo le necessità. La RFT, come potenza europea egemone, si è ritirata dall'accordo all'inizio del 2021. Quanto velocemente i vecchi riflessi nazionali abbiano preso il sopravvento nell'UE in tempi di crisi, è stato reso chiaro anche dalle dispute europee sulle forniture aggiuntive di vaccini contro il coronavirus per quelle regioni particolarmente colpite, che sono state sospese all'inizio di aprile dopo che l'Austria, tra gli altri, ha bloccato un accordo. In queste dispute intorno ai vaccini ambiti, che si intensificano anche nei centri del sistema mondiale, per il momento la periferia è stata semplicemente lasciata indietro, come è stato dimostrato dal destino di Covax, la piattaforma di vaccinazione fondata nell'aprile 2020 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che in realtà avrebbe dovuto garantire «la parità vaccinale globale tra nazioni povere e ricche» (Deutschlandfunk). La Covid-19 Vaccines Global Access (Covax) aveva lo scopo di permettere una risposta razionale e globale alla pandemia. Un progetto destinato a fallire a causa della realtà tardo capitalista. La distribuzione del vaccino avrebbe dovuto essere regolata a livello globale attraverso Covax, con i gruppi a rischio nelle regioni più colpite che sarebbero stati i primi ad essere vaccinati. L'OMS ha anche lanciato il programma C-TAP (Covid-19 Technology Access Pool), che doveva organizzare la rimozione della protezione dei brevetti nel contesto della risposta alla pandemia. Era una sorta di approccio open source, dove tutti i progressi della ricerca dovevano andare direttamente a finire in un pool di conoscenze, in modo che tutta la capacità di produzione globale di vaccini potesse essere utilizzata il più rapidamente possibile.
Niente di tutto ciò ha funzionato, a causa del fatto che il nazionalismo dei vaccini ha significato effettivamente una continua concorrenza locale in tempi di pandemia. Gli Stati del Centro hanno firmato contratti lucrativi con gruppi dell'industria farmaceutica, cosicché gran parte dell'offerta globale di vaccini è ora controllata da pochi paesi industrializzati, mentre l'OMS gestisce gli avanzi. Alla fine di marzo, solo 31 milioni di dosi di vaccino erano state consegnate a 50 paesi nell'ambito del programma Covax. L'obiettivo provvisorio di vaccinare un quinto della popolazione in 140 paesi periferici entro la fine dell'anno - cosa che richiederebbe centinaia di milioni di dosi - alla luce degli impegni di fornitura infranti sembra ormai illusorio. In molti paesi impoveriti e nelle regioni del mercato mondiale in declino, prima del 2023 una fornitura adeguata di vaccini è improbabile.
Nel frattempo, i problemi di approvvigionamento e la lentezza delle campagne vaccinali, anche nelle grandi nazioni industrializzate, sono dovuti al fallimento del C-TAP. Gli Stati del Centro hanno impedito il rilascio dei relativi brevetti in modo da consentire così alle loro compagnie farmaceutiche di fare profitti extra durante la pandemia, come stipulato in contratti segreti. Questo blocco dei brevetti diventa completamente assurdo se si considera che gran parte dei costi di sviluppo dei vaccini sono stati sostenuti dal contribuente: secondo le stime, la cifra si aggira intorno ai 93 miliardi di euro. Le aziende farmaceutiche incasseranno facilmente, anche se gli impianti di produzione dei vaccini sono fermi e le campagne di vaccinazione - soprattutto in periferia - sono più lente.
Pertanto, questa contro la pandemia, non è una lotta omogenea. E più a lungo infurierà la pandemia, più è probabile che appaiano nuove varianti resistenti al vaccino, che potrebbero annullare gran parte degli sforzi precedenti. A cosa servirebbe, per esempio, che gli Stati Uniti raggiungessero l'immunità di gruppo se i cittadini americani «si troveranno a essere esposti a varianti di Covid 19 potenzialmente resistenti al vaccino» in periferia? - si sono chiesti i media americani di fronte al fallimento della campagna di vaccinazione nel Sud del mondo. Organizzare la lotta contro una pandemia nel contesto delle categorie ristrette dell'interesse nazionale potrebbe rivelarsi terribilmente costoso.
- Tomasz Konicz – Pubblicato originariamente su Konkret 5/2021 -
fonte: EXIT!
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