Questo testo è stato scritto, in francese, da quattro membri del collettivo redazionale della rivista francese Jaggernaut che si propone di diffondere nel mondo francofono la “critica del valore”: una critica radicale della società capitalista e delle sue basi – il lavoro, la merce, il valore, il denaro. Questa critica si appoggia a una parte della teoria di Karl Marx, ma senza rivendicarsi direttamente di nessuno dei marxismi storici. Fu elaborata inizialmente, a partire dal 1987, dalle riviste tedesche Krisis e poi Exit!, il cui autore più conosciuto era Robert Kurz. La composizione di De virus illustribus è iniziata poco dopo l’inizio del confinamento generalizzato nei paesi europei nel marzo 2020 e si è conclusa all’inizio di luglio. Il libro è stato pubblicato a fine agosto dalle edizioni Crise et critique, gestite dalla redazione di Jaggernaut e nello stesso momento in Brasile presso l'editore Elefante con il titolo Capitalismo em quarantena. Il libro, che avrebbe dovuto essere pubblicato in Italia all'inizio di questa primavera, con ogni probabilità verrà editato in autunno da Ombre Corte. Ne pubblico la traduzione di uno dei due capitoli che ne avevo fatto in accordo con la casa editrice.
Capitolo III di "De virus illustribus",
di Sandrine Aumercier, Clément Homs, Anselm Jappe, Gabriel Zacarias
- Il grande lockdown del capitalismo. il trionfo dello Stato sull'economia? -
La causa della crisi immediata è eccezionale: ad aver provocato il blocco generalizzato del mercato mondiale, non è stata la viralità biologica, e neppure i meccanismi classici delle crisi economiche. La produzione non si è fermata perché, nel ricercare profitti sempre più elevati, si era creata un'eccessiva capacità produttiva, ma piuttosto perché gli Stati, reagendo alla pandemia, hanno chiuso gran parte della produzione «non essenziale». E qui, proprio a causa di allarmanti conoscenze scientifiche, abbiamo delle decisioni che sono esterne al mercato, provenienti dalla sfera statale-politica dei paesi capitalisti – da quelli che sono quasi 110 Stati o territori capitalisti e che decidono di bloccare a livello normativo, politicamente, settori interi delle società capitalistiche, e in particolare la sfera dell'economia aziendale. A partire dal 23 marzo, lo Stato italiano decide quindi, per decreto, di estendere le misure di lockdown, mettendo fuori gioco soprattutto le cosiddette industrie di produzione «non essenziali». «Abbiamo rallentato l'apparato produttivo del paese, ma non lo abbiamo fermato», ha dichiarato il presidente del Consiglio italiano. Una «continuità economica» è stata decisa solamente per i settori della produzione e della distribuzione di merci cosiddette «essenziali». Si tratta delle medesime decisioni che erano state prese due mesi prima dallo Stato cinese, e poi, via via a cascata, dalla maggior parte degli Stati. Una cosa del genere non ha precedenti in tutta la storia del capitalismo. Mai, prima d'ora una crisi economica di tale ampiezza è stata il risultato di decisioni politico-statali, attuate attraverso una serie di blocchi, di decreti e di «leggi di emergenza per combattere il Covid-19». Tutto ciò conferisce a questa crisi economica innanzi tutto un carattere politico-statale.
Le decisioni, da parte di questi Stati, sono state prese ovunque in una situazione di collaborazione tra lo scienziato e il politico. La competenza scientifica – soprattutto gli epidemiologi e i loro modelli (e in particolare il team di Neil Fergusson, professore del British Imperial College) – è stata al centro del processo decisionale degli Stati che erano a favore del lockdown. Stati che hanno istituito assai rapidamente dei «comitati scientifici» e dei «gruppi di esperti», il «Consiglio scientifico europeo», una «task force», ecc., quando non si sono affidati alle raccomandazioni del «capitalista collettivo sanitario ideale» che è l'OMS [*1]. Il 22 gennaio questa istituzione confermerà l'esistenza della trasmissione inter-umana del virus, dichiarerà l'emergenza sanitaria otto giorni dopo e l'11 marzo dichiarerà che l'epidemia è diventata una pandemia. La preoccupazione degli epidemiologi deriva dalla grande incertezza circa la natura, l'infettività e la capacità di penetrazione di questo virus.
In mancanza di alternative, per la maggior parte dovute alla mancanza di mascherine, di test diagnostici, di respiratori. ecc. (la Corea del Sud o Singapore, con la loro strategia sanitaria favorevole alla sorveglianza tecnologica, sono un'eccezione), è stato deciso di fermare e spegnere «l'economia reale». Ci si è venuti a trovare nella situazione in cui, per evitare che la crisi pandemica raggiunga nella sua totalità l'organismo sociale-capitalista, questi, attraverso gli Stati che ne sono parti costitutive, si amputa da sé solo e si mette in quarantena. Molti Stati capitalisti decidono di far cadere in coma il capitalismo mondiale, si spera temporaneamente. A metà aprile, più di quattro miliardi e mezzo di persone, ossia quasi il 57% della popolazione mondiale, vengono invitate, o costrette dalle loro autorità a rimanere a casa. La crisi economica e finanziaria diventa quindi l'effetto immediato di un simile blocco politico-statale. Mai prima d'ora, nella storia del capitalismo, una crisi economica globale del genere era stata decisa politicamente. Siamo passati ad «Alta velocità», dall'egemonia neoliberista del «primato del mercato» (già minata dalla crisi del 2008 e dal populismo produttivo neo-nazionalista), all'affermazione del «primato della politica», dove gli Stati sospendono le leggi del mercato e fermano deliberatamente la macchina dello sfruttamento. I mercati sono stati bloccati e gli Stati sono stati scongelati da quella che era stata finora la loro glaciazione neoliberista. Una cosa senza precedenti.
Ma anche in questo caso, è rimasta costante una tensione tra potere politico e competenze sanitarie. Inizialmente, molti governi hanno ignorato gli avvertimenti degli esperti, per poi rivolgersi a loro con gran clamore. A partire dal 15 aprile, Donald Trump non ha esitato a sospendere il finanziamento americano a sostegno dell'OMS (il cui contributo rappresenta a livello globale quello più cospicuo), dal momento che ha giudicato l'OMS, insieme alla Cina, responsabile della pandemia. In realtà, questa crisi ha messo in evidenza il fatto che il potere politico ha ignorato la voce della scienza per tutto il tempo richiesto dai vincoli economici, ma solo per poi convocarlo e potersi nascondere dietro di esso non appena le cose si sono messe male. Le caratteristiche del virus Sars-Cov-2 erano ancora assai poco conosciute e gli eventuali trattamenti in circolazione erano controversi, così come lo erano il genere di misure più efficaci. Il potere politico poteva perciò, se necessario, attribuire agli esperti la responsabilità della propria impreparazione e l'incoerenza della sua reazione.
Il padronato, a volte ha perfino chiuso delle fabbriche che non erano coperte dalle regolari misure di contenimento, oppure ha addirittura anticipato la chiusura dei negozi. In Cina, a partire dalla fine del mese di gennaio, alcune aziende come Apple, Ikea, Starbucks o McDonald's hanno quindi chiuso di propria iniziativa gran parte dei loro negozi, ristoranti e caffè [*2]. In Francia, così come in gran parte d'Europa, sono stati chiusi tutti i cantieri, contrariamente a quelle che erano le decisioni del Ministero dell'Economia. In una lettera del 17 marzo, Castaner, il ministro degli Interni, ha nuovamente ingiunto ai prefetti di esercitare delle pressioni affinché venissero riaperti tutti i cantieri, ma i datori di lavoro si sono rifiutati [*3]. Un fenomeno ricorrente è stato il verificarsi di un tira e molla tra i diversi attori in competizione in seno alla sfera politico-statale, dove abbiamo visto scontrarsi, soprattutto nei casi paradigmatici di Stati Uniti, Messico e Brasile, dei governatori locali, o dei sindaci che volevano imporre il lockdown, mentre le presidenze di Trump, di Andrés Manuel Lòpez Obrador e Bolsonaro vi si opponevano, chiamando addirittura i propri sostenitori alla disobbedienza civile e alla «ribellione» [*4]. Ed è successo anche che in alcune situazioni, come il Brasile, quando lo Stato, esitante tra ragione sanitaria e quella economia, si è dimostrato recalcitrante verso il lockdown, si sono visti perfino i cartelli della droga di Rio de Janeiro esercitare per lungo tempo la propria influenza sulle favelas della città, facendo sì che venisse applicata la loro politica di confinamento al fine di frenare il diffondersi del Covid-19. Secondo i media brasiliani, nelle bidonville sono stati trasmessi messaggi minacciosi da parte dei gangster in cui veniva detto che, a partire dalle 20.00, avrebbero «insegnato alla gente a rispettare» il coprifuoco. Uno di questi messaggi avvertiva: «Attenzione! A tutti gli abitanti di Rio das Pedras, Muzema et Tijuquinha! Coprifuoco a partire dalle 20.00... Chiunque sarà visto per strada dopo quest'ora imparerà a rispettarlo la prossima volta». E un altro messaggio diceva: «Se il governo non ha gli strumenti per porvi rimedio, a farlo ci penserà la criminalità organizzata» [*5].
Oltre alle decisioni statali, un altro fattore endogeno al funzionamento della sfera dell'economia imprenditoriale ha fermato il processo di valorizzazione. A partire dalla fine degli anni '70, il capitalismo che si stava finanziarizzando e globalizzando, si è ristrutturato sotto una forma territoriale e organizzativa molto complessa chiamata «lean production» ["produzione snella"]. Si tratta di un'organizzazione della produzione gestita per mezzo dei cost-killers della spietata riduzione dei costi di produzione. Si basa sui tre elementi del just in time (derivante dal toyotismo), sull'organizzazione del lavoro di gruppo e di uno specifico metodo di mobilitazione-controllo dei dipendenti che si basa sulla valutazione individuale. Questa produzione snella è stata associata a diverse strategie territoriali delle aziende, in particolare quella della frammentazione tecnica e geografica delle catene di produzione, per mezzo di una cascata di fornitori e di attrezzature che concorrono alla produzione di una merce manufatta. «Secondo il recente sondaggio di Kyu, il 70% dei gruppi intervistati non conosce i propri fornitori di secondo livello […] "Anche i gruppi più maturi hanno una scarsa visione della propria catena di approvvigionamento. Così come, ad esempio, nell'industria automobilistica, un pezzo non necessariamente strategico può rivelarsi critico per il prodotto finito. Un fenomeno questo, che si amplificherà al momento della ripresa [...]"» (Les Échos, 4 aprile). Con il Covid-19, quello che era il punto di forza delle catene di produzione globalizzate diventa il loro principale punto debole. La disorganizzazione della logistica della catena di approvvigionamento che collega i diversi fornitori, i fornitori dei fornitori e le fabbriche interessate alla committenza, a un certo punto è diventata una delle cause principali di un arresto forzato dell'economia.
Su quale sia stato il ruolo degli Stati nella crisi del coronavirus, si sono contrapposte due interpretazioni: se da una parte appare evidente che gli Stati abbiano approfittato del virus per imporre dei controlli senza precedenti, ci sono stati alcuni, come Agamben e una parte dell'ambito radicale, che hanno sostenuto che gli Stati avrebbero esagerato la portata del pericolo (o, nella versione complottista, l'hanno addirittura creato, e perfino lo stesso Agamben evoca l'idea dell'«invenzione di un'epidemia» [*6]) per fare passare le loro misure liberticide. Ma ci sono stati altri, nelle file anti-neoliberiste, che al contrario hanno accusato i governi di avere a lungo minimizzato il pericolo, soprattutto per delle ragioni economiche; è vero che sia la Cina come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna come la Germania, l'Iran come la Russia sono stati piuttosto lenti ad ammettere la gravità della situazione. Il complottismo è stato anche il prisma di un'altra comprensione di quello che è stato il ruolo dello Stato. Dei funzionari del governo cinese, così come hanno fatto su Internet molti strateghi del mouse, hanno accusato gli Stati Uniti di avere «lanciato» il virus per indebolire la Cina; ma gli Stati Uniti, in termini economici, hanno pagato un prezzo ancora più alto di quello pagato dai cinesi. E visto che le teorie complottiste possono sempre venire facilmente invertite, una versione alternativa postula che la Cina «comunista» abbia lanciato il virus per colpire l'Occidente capitalista. Alcuni sostengono anche che la Cina, che ha dimostrato la sua capacità di gestire la crisi, sia emersa vittoriosa da questa situazione, perfino addirittura «leader mondiale», e potrebbe dare delle lezioni al resto del mondo; mentre ci sono altri che pensano, al contrario, che la Cina ha rivelato e messo allo scoperto le sue debolezze [*7]. Ci sono stati poi alcuni che hanno parlato di una sorta di divorzio tra ragione politica (che spinge a confinare tutti quanti in uno stato di alta sorveglianza) e ragione economica (che spingerebbe a non intervenire per niente). Tuttavia, sembra però che ogni analisi svolta in termini di «strategia» degli attori, anche quando non è cospirativa, non colga l'essenziale: tutti quanti, fino ai vertici, appaiono essere turbati e sgomenti. Ancora una volta, vediamo che il capitalismo non è governato da degli stronzi figli di puttana super-potenti e onniscienti che tirano tutti i fili, ma da un «soggetto automatico» – attraverso la mediazione dell'azione di individui e classi che ne sono, rispettivamente, le «maschere di carattere» e le «personificazioni delle categorie economiche» (Marx) – che è incapace di «pensare» a lungo termine, e che in una situazione di crisi tende piuttosto a precipitare nell'anomia.
Di fronte agli allarmi scientifici in campo epidemiologico, in assenza di un vaccino, agli Stati capitalisti sono state offerte tre strategie. Qualora, nell'immediato, gli Stati non avessero avuto i mezzi per attuare la prima strategia di individuare le catene di contaminazione, isolando selettivamente gli individui portatori (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, in parte la Germania) [*8], in tal caso la cosa migliore da fare consisteva nel rompere le invisibili catene di contagio attraverso il confinamento indifferenziato della maggioranza della popolazione, e quindi mettere agli arresti la quasi totalità delle sfere funzionali delle società capitalistiche (economia, politica, scolarità, ecc.), ad esclusione della sfera della sanità, di una parte dell'apparato statale e quei settori elevati al rango di «servizi essenziali» – l'agroalimentare, la logistica, la distribuzione alimentare, la raccolta dei rifiuti e l'Energia. Si tratta del trittico: distanziamento sociale, confinamento, chiusura parziale o totale delle frontiere terrestri, marittime e aeree. «Non è stata la soluzione giusta, ma la meno sbagliata», riassumerà a posteriori Jean-François Delfraissy, l'infettivologo che presiederà il Consiglio scientifico incaricato di orientare le decisioni pubbliche in Francia [*9]. A partire dall'inizio del mese di Aprile, abbiamo visto ottanta Stati obbligati ad attuare questa strategia di perdizione.
La terza «strategia» è quella del neoliberismo epidemiologico, quello del «lasciar fare che il virus attraversi i corpi», lasciare libere le catene di contagio in modo che il replicarsi intra-cellulare degli agenti infettivi consenta un'«immunità collettiva». Si pensi ai Paesi Bassi, alla strategia britannica precedente alla svolta del 16 marzo, alla Svezia, ecc. Un reportage del Sunday Times racconta come Dominic Cummings, il sicario di Boris Johnson, a febbraio abbia esposto in questi termini la strategia del governo britannico nel corso di una riunione privata: «Immunità collettiva significa proteggere l'economia, e se questo vorrà dire che alcuni pensionati moriranno, tanto peggio» [*10]. Il cinismo di numerosi governanti per i quali la morte di una parte della popolazione – composta soprattutto da persone «inutili» che consumano le pensioni anziché lavorare – è preferibile all'interruzione delle attività economiche, corrisponde perfettamente alla logica del valore e alla sua posizione di sfera primaria della riproduzione-feticcio delle società moderne, ma alla fine non è stato applicato. Dovunque, anche i governanti più recalcitranti, dopo qualche tergiversazione hanno dovuto cedere sia di fronte al panico della popolazione, sia alle raccomandazioni degli epidemiologi, sia a gran parte dell'apparato statale (in Brasile, sindaci e governatori stano attuando il lockdown, in opposizione a Bolsonaro). Tuttavia, il dibattito per decidere quanto dovrebbe costare una vita umana continua... Ci sono alcuni Stati che dopo un mese hanno finalmente abbandonato questa strategia, a favore di quella del confinamento, mentre, all'inverso, gli Stati che inizialmente hanno scelto il lockdown, dopo hanno voluto deconfinare il più rapidamente possibile a causa della crisi economica (Wuhan a partire dal 7 aprile, l'Iran a partire dall'11 aprile, gli Stati Uniti dall'inizio di maggio, Israele e l'Europa a partire dalla metà di maggio, l'India dall'inizio di giugno, ecc.). Éric Le Boucher, editocrate di Enjeux Les Echos, perciò blaterava: «Si deve tornare alla strategia dell'immunità collettiva ed accettare le morti che ne conseguono [...] . La preservazione della vita è un principio sacro, ma il ritorno al lavoro [...] rappresenta anche un valore umano» [*11]. In ogni caso, si può dire che questa terza strategia, che rimane attestata sul «primato del mercato» e lo Stato neoliberista, come un semplice guardiano notturno, è quella dei partigiani della linea dura dell'economia di mercato che, al di là della pandemia, sono sempre pronti a liquidare il «livello della civiltà capitalizzata» delle masse umane che non sono più redditizie da sfruttare a causa del livello di produttività, né finanziabili in quanto semplici consumatori. Questa strategia dell'«immunità collettiva» fa parte dell'espressione della crisi del soggetto moderno, e delle ideologie di esclusione in ultima analisi sempre sacrificali. Qui si potrebbe fare un détournement di quella formula che sarebbe stata pronunciata, nel 13° secolo durante la crociata di Simon de Montfort contro gli albigesi, durante il sacco di Béziers, nel 1209, mentre bruciava la chiesa della Madeleine, nel corso del quale i catari, quegli infettati «dal veleno della perversione eretica», sarebbero stati «confinati» in mezzo ai «veri cristiani»: «Contaminateli tutti, il capitale saprà riconoscere i suoi!». È questa la strategia social-darwinista del «primato del mercato», la cui denuncia a sinistra non include ancora la relazione polare Stato-Mercato in seno al capitalismo.
Ma questa strategia si percepisce anche in quella sinistra discussione nota come «della scelta etica» per stabilire quale criterio debba presiedere la decisione che porti a salvare un malato piuttosto che un altro, a causa della mancanza di sufficienti posti letto per la terapia intensiva (che com'è noto sono stati tagliati grazie alla politica neoliberista di riduzione dei costi ospedalieri). Mentre viene generalmente accettato il fatto che, in una situazione di penuria di dispositivi di cura, sia la condizione del paziente, vale a dire le possibilità di sopravvivenza, a prevalere, l'epidemia di Covid-19 ci ha fatto assistere alla comparsa di un criterio di età, com'è avvenuto in Italia, dove i medici hanno dovuto scegliere «tra un paziente di 40 anni e uno di 60, che rischiavano entrambi di morire» [*12]. È stata segnalata la medesima situazione in Francia, negli Stati Uniti e in Spagna [*13]. Se un tal genere di «dilemma morale» così tanto apprezzato dall'ontologia liberale viene vissuto come se fosse una catastrofe – niente affatto «etica» – per il personale sanitario, ciò non fa altro che porre crudamente in evidenza, per forza di cose, il preconcetto che sottende la gestione capitalistica degli esseri considerati come inutili e improduttivi. In quanto tale, la giustificazione di una simile etica da parte di Emmanuel Hirsch su Le Figaro del 17 marzo 2020 è agghiacciante, nel momento in cui fa appello, in un grande slancio di legittimazione, a delle «procedure incontestabili, rispettose della dignità delle persone, a un'esigenza di giustizia opposta a qualsiasi forma di arbitrio, e quindi a un elevato senso di bene comune». Va notato il fatto che si tratta del solito modo in cui l'etica liberale trasforma quelle che sono delle scelte disumane in decisioni giuste, degne e indiscutibili.
[…]
NOTE:
[*1] - Organizzazione Mondiale della Sanità
[*3] - Si veda: https://www.batiactu.com/edito/État-veut-que-chantiers-continuent-professionnels-deboussoles-59132.php
[*4] - Torneremo sui casi brasiliani e nordamericani. In Messico: «il giorno in cui il sindaco di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, dello stesso partito, ha supplicato gli abitanti di restare in casa, il Presidente li ha esortati ad uscire, ad andare al ristorante, sostenendo che i messicani "resistono a tutte le calamità"», (Libération, 14 aprile 2020).
[*5] - Si veda: https://theprint.in/world/brazilian-gangsters-impose-curfew-as-president-bolsonaro-calls-coronavirus-a-little-flu/387807/?amp&fbclid=IwAR0aRbHiDAfnkHg88r8WEqtAa7zZZq0YKIvMRL1l-LCbG6VJadOszufLzp0
Tuttavia, con l'aggravarsi della crisi, il conflitto tra ragione sanitaria e ragione economica ha investito anche le favelas. Mentre nelle baraccopoli controllate dai cartelli della droga ( il « tráfico » ) veniva imposto il confinamento, nelle favelas controllate dalle « milícias » i commercianti venivano costretti a riaprire. Queste milizie, che costituiscono una forma più recente di organizzazione criminale, e che cercano di impadronirsi di una parte della periferia, sono molto più legate allo Stato, dal momento che assai spesso sono comandate da ex poliziotti. Ed intrattengono dei rapporti con il mondo politico, e sono ideologicamente allineati con Bolsonaro. Si veda: https://g1.globo.com/rj/rio-de-janeiro/noticia/2020/05/25/comercio-em-area-de-milicias-e-obrigado-a-funcionar-durante-a-quarentena-em-itaborai.ghtml
Un esempio più positivo, può essere trovato nel caso delle organizzazioni di auto-aiuto costituite dagli abitanti di alcune bidonville, come la favela di Paraisopolis, à São Paulo.
https://theintercept.com/2020/05/30/brazil-coronavirus-favela-mutual-aid/?fbclid=IwAR1AcYXoHRQcJk5pBfx85PHurcUnQlhavCG7-94ujKuf-OZS4LQ2A4ZkYB4 >.
[*6] - Si veda: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-invenzione-di-un-epidemia . Ci torneremo.
[*7] - « Social Contagion. Microbiological Class War in China », sulla rivista Chuang: http://chuangcn.org/2020/02/social-contagion/
[*8] - Lo Stato tedesco ha preso delle decisioni sanitarie basate su una miscela delle strategie 1 e 2.
[*9] - Le Monde, 10 juillet 2020.
[*11] - Éric Le Boucher, « Il faut sortir la France du confinement », Les Échos, 10 avril 2020.
[*12] - Nel Nord Italia, «si deve scegliere chi curare come se fosse una situazione di guerra», riferisce l'Obs il 9 marzo 2020.
[*13] - Si veda: lsa Mari e Florence Méréo, «Coronavirus : ''Si deve scegliere tra i pazienti'', ammettono i medici», Le Parisien, 18 marzo 2020; Jessica Glenza, «Chi prende il ventilatore? Le scelte "strazianti" degli operatori sanitari statunitensi», The Guardian, 9 aprile 2020; Manuel Rico, «Il documento che dimostra che il governo di Ayuso ha stabilito "criteri di esclusione" per non trasferire i pazienti dalle case di riposo agli ospedali», infoLibre, 26 maggio 2020, online: https://www.infolibre.es/noticias/politica/2020/05/27/el_documento_que_prueba_que_gobierno_ayuso_fijo_criterios_exclusion_para_no_trasladar_enfermos_desde_las_residencias_los_hospitales_107130_1012.html
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