giovedì 13 maggio 2021

dixi, et salvavi animam meam

Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Questi modelli di percezione, e queste interpretazioni della sinistra - i cui portatori sono inoltre schierati positivamente dalla parte della socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione - nei confronti della situazione mondiale appaiono come impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah  vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario.
Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma piuttosto come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" addirittura impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa così un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce sempre più regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.

« (...) Lo Stato d'Israele ha assunto un duplice carattere. Da un lato, in quanto Stato, può soltanto riprodurre la relazione di capitale - come fa qualsiasi altro Stato - e sviluppare le relative contraddizioni all'interno ed all'esterno; dall'altro lato, come "ebreo fra gli Stati", esso rappresenta la contraddizione immanente alla sindrome antisemita della modernità, nonostante che gli stessi ebrei, nella loro esistenza statale, pretendano di essere solo normali fra i normali, nel senso della soggettività capitalista. Questa costituzione statale, con il suo carattere duplice, ha guadagnato pieno vigore solo attraverso l'Olocausto. (...) Dall'altro lato, il conflitto permanente è legato ad un indurimento della situazione interna di Israele, nella quale i fanatici nazionalisti e gli ultra-ortodossi vanno guadagnando forza. (...) Se, quindi, per alcuni ebrei la vita in Israele appare più insicura che negli Stati Uniti o in Europa occidentale, tale situazione evidenzia lo statuto sempre più precario di questo Stato, ma fondamentalmente non ne smentisce il suo carattere duplice, che consiste proprio nel fatto che la ragione della sua costituzione è in contraddizione con la sua forma capitalista (non consistendo, quindi, soltanto nella precarietà della sua funzione di luogo di rifugio). Del resto, anche in Europa occidentale ed in altri luoghi, la situazione può mutare rapidamente se i gravi attacchi della crisi risveglieranno l'ideologia assassina dell'antisemitismo; già si sono verificati attacchi a sinagoghe e ad abitazioni di residenti ebrei (ad esempio, in Francia).

Il carattere duplice dello Stato d'Israele non può, tuttavia, essere messo in discussione per ragioni pragmatiche di insicurezza empirica; esso deriva dall'opposizione alla violenza materiale dell'ideologia antisemita di crisi del capitalismo mondiale in generale e, in tal misura, permane in quanto permane questa relazione mondiale. Se questa relazione sociale si dissolve in maniera catastrofica, e l'universalità astratta degli Stati si trasforma dappertutto in Stati falliti, anche Israele non può restare indenne. E' possibile che nella crisi mondiale Israele venga distrutta, sia a partire dall'esterno che a partire dal di dentro; il che significherebbe, tuttavia, che il suo carattere duplice non può resistere al processo di crisi, ma questo in nessun modo significherebbe che non sia esistito in sé.

(...) "L'odio inconscio per gli ebrei" come base, si lega con il momento dello stereotipo antisemita interno alla critica sociale tronca e diffusa di un "anticapitalismo" che non identifica più lo Stato degli ebrei semplicemente con una parte del capitalismo mondiale, ma regredisce definitivamente sulla posizione che lo considera come rappresentante della relazione di capitale in generale, ed elabora questa proiezione nello scontro locale diretto. Per questa posizione, che non è più confusa, l'ostilità contro Israele si è solidificata come centro attuale di ogni impulso alla sofferenza sociale. Dopo la guerra di Gaza, non solo non si vede più il carattere duplice di Israele, ma anche l'antisemitismo storico è stato elevato all'altezza del 21° secolo, in maniera inequivocabile, da parte di persone che si considerano di sinistra. E la pretesa "solidarietà critica" con Israele, che non vuole percepire questo brusco cambiamento, diventa una risorsa di tale formazione antisemita, dal momento che fa dell'aggettivo "critica" la sostanza della sua valutazione, in coro con una condanna emotivamente moralista, che da tempo fiancheggia una causa del tutto diversa.

(...) Altrettanto unidimensionale e negatrice del duplice carattere dello Stato di Israele, appare essere la pseudo-mediatrice "terza posizione" relativa alle contraddizioni esterne di Israele. La sua auto-affermazione - inclusiva degli interventi militari, la cui mediazione con l'antisemitismo globale sparisce - viene astrattamente equiparata al postulato di Hamas e di Hezbollah di spazzar via dalle carte geografiche lo Stato ebraico, e di armarsi a tal fine per il "combattimento asimmetrico". La distorsione del contenuto del contesto storico, qui si lega al metodo relativistico: entrambe le parti dovrebbero essere in qualche modo ugualmente condannate, in quanto identiche nel loro carattere di prodotti della crisi del capitale mondiale, oppure, all'altro lato, dovrebbero avere in qualche modo il loro "diritto" sul piano del conflitto locale. Il relativismo postmoderno presenta qui in modo particolarmente drastico il suo carattere assurdo, in quanto questa valutazione dice soltanto che Israele deve esistere un po' meno e che Hamas deve esigere un po' meno l'annientamento di Israele. Come se si potesse esigere che il capitalismo fosse un po' meno capitalista, oppure che l'antisemitismo dovrebbe essere un po' meno antisemita, e che i felini dovrebbero essere un po' meno divoratori di carne.»

(tratto da Robert Kurz: "Gli assassini dei bambini di Gaza. Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili" - Pubblicato su https://francosenia.blogspot.com/2015/11/la-guerra-per-procura-e-lodio-inconscio.html e segg.)

Come dire, tutti gli Stati - di cui noi tutti siamo in qualche modo cittadini capitalistici - sono, dappertutto e continuamente, causa di quelle stesse sofferenze che vediamo oggi imposte a Gaza, in Siria, in Turchia, in Libia (per procura italiana ed europea) e altrove. Per questo motivo - e non solo per questo, ovviamente - occorre che gli Stati vengano aboliti, in quanto la sofferenza di cui sono portatori è propria ed attiene a tutti gli Stati; se non allo Stato in quanto tale. Solo che se consideriamo la Storia e, nel contesto della Storia nel momento in cui ci troviamo, ecco che il duplice carattere assunto dallo Stato di Israele - così come viene descritto da Robert Kurz nel suo testo a proposito de "Gli assassini dei bambini di Gaza" – allora ci rendiamo conto che l'abolizione dello Stato di Israele potrà avvenire solamente DOPO che saranno stati aboliti - prima - TUTTI quegli altri Stati. Per abolire lo Stato degli Ebrei, vi toccherà aspettare ancora  un giorno in più. Bisognerà aspettare il giorno dopo l'abolizione dell'ultimo Stato. Un giorno solo, che volete che sia!!

« dixi, et salvavi animam meam » (Marx)

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