Che cos’è la speranza
- di Terry Eagleton -
[...] Le tre virtù cosiddette teologali – fede, speranza e carità – hanno ciascuna un corollario deteriore. La fede può facilmente scivolare nella credulità, la carità nel sentimentalismo, la speranza nell’autoinganno. Difatti, è difficile pronunciare la parola «speranza» senza evocare la prospettiva del suo infrangersi, e i suoi aggettivi «tenue» e «vaga» si presentano spontanei alla mente. La stessa nozione sembra avere qualcosa di incorreggibilmente ingenuo, mentre la tetraggine suona più matura. La speranza suggerisce un’aspettazione tremula, mezzo impaurita, non più del fantasma di una robusta sicurezza. Nei tempi moderni, ha goduto di una fama quasi altrettanto cattiva della nostalgia, che è all’incirca il suo opposto. La speranza è un giunco sottile, un castello in aria, di buona compagnia e cattiva guida, una salsa buona su di un pasto magro. Se nella Terra desolata aprile è il più crudele dei mesi, è perché suscita false speranze di rinascita.
Per alcuni, la speranza è addirittura una sorta di oltraggio, adatta più ai riformatori sociali che agli eroi tragici. George Steiner ammira una forma di «tragedia assoluta», «incontaminata» da nulla di così deprecabilmente piccolo-borghese come la speranza. «Nella tragedia più alta», commenta Steiner, «il nulla divora come un buco nero», condizione che il minimo refolo di speranza non farebbe che adulterare. La grandezza della tragedia, protesta Steiner, è sminuita da futili bramosie del genere. Sta di fatto che ciò non capita con l’Orestea di Eschilo né senza dubbio con i drammi tragici di Shakespeare, che dovrebbero essere abbastanza alti per i gusti di chiunque. Ma la tragedia, sostiene Steiner, non è un fatto naturale per Shakespeare, e dunque questi insiste nel diluire la pura essenza della disperazione con numerose e volgari tracce di redenzione. La lucidità della visione del Dottor Faust di Christoper Marlowe – un dramma sfacciatamente discontinuo e irregolare – non dà invece nessuna tregua ed è dunque «profondamente non shakespeariana». L’aggettivo è inteso come complimento. La tragedia disdegna ogni speranza sociale, ed è dunque intrinsecamente avversa alla sinistra. Il pessimismo è una posizione politica. Il filosofo cattolico Peter Geach ha della speranza un’opinione altrettanto tetra, anche se per ragioni diverse. Se la speranza non ha un fondamento nel vangelo cristiano, allora – sostiene – essa non esiste affatto. Resta piuttosto difficile da credere che l’impaziente attesa di un pasto completo sia annullata e invalidata perché non si fonda sulla morte e la risurrezione di Gesù. Anche se il cristianesimo fosse la sola speranza definitiva dell’umanità, non ne consegue che ogni aspirazione inferiore all’avvento del regno di Dio sia destinata al fallimento.
Ma può accadere che anche la sinistra politica diffidi della speranza al pari della destra steineriana. Claire Colebrook, per fare un esempio, si balocca con l’idea di un «femminismo senza speranza». «Il femminismo» scrive «sembra dover abbandonare la speranza – la speranza di un fidanzato più ricco, di un seno più grande, di cosce più snelle, della sempre più irraggiungibile borsetta del giorno – per poter immaginare un futuro che ‘ci’ liberi dai cliché dei quali siamo sature e drogate fino a perdere ogni coraggio. L’utopia si può raggiungere solo attraverso un’acuta assenza di speranza». Non è, questa, una scelta politica che Colebrook appoggi incondizionatamente, e a ragione: può darsi che le donne nutrano alcune speranze false o negative, ma ne hanno varie altre di autentiche. Eppure, il sospetto che la sinistra cova nei confronti della speranza non è del tutto infondato. Le immagini dell’utopia rischiano sempre di confiscare le energie che altrimenti si potrebbero usare per la sua costruzione.
Rispetto a chi ne manca, chi ha speranza ha più probabilità di sembrare meno risoluto, nonostante in certi momenti non ci sia nulla di meno realistico e di più stravagante del pessimismo. Nell’epoca moderna, lo scoramento sembra un atteggiamento più sofisticato dell’allegria. Dopo Buchenwald o Hiroshima, la speranza sembra soltanto l’infondata fiducia che il futuro possa rappresentare un progresso rispetto al presente, qualcosa che ricorda la descrizione sarcastica che Samuel Johnson dava delle seconde nozze come trionfo della speranza sull’esperienza. Eppure, anche gli eventi più terrificanti del nostro tempo possono produrre ragioni di speranza. Se tanti sono morti nei campi nazisti, sottolinea Raymond Williams, tanti hanno dato la vita per liberare il mondo da chi li aveva costruiti.
In generale, fra le virtù teologali, la speranza è sempre stata il parente povero e ha ispirato un numero inferiore di indagini erudite rispetto alla fede e all’amore. Nonostante il titolo, Truth and Hope [Verità e speranza] di Peter Geach non ha assolutamente nulla da dire sulla speranza, e nell’altro libro The Virtues [Le virtù] la discussione sull’argomento è notevolmente più smilza dei commenti sulla fede. Vale la pena notare che le tre disposizioni sono strettamente correlate. Nel suo Enchiridion, sant’Agostino scrive che «l’amore non sussiste senza la speranza, né la speranza senza l’amore, né amore e speranza sussistono senza fede». La fede è una forma di impegno amorevole o convinzione appassionata, che per la dottrina cristiana ortodossa è resa possibile in primo luogo dall’innamoramento che Dio prova verso l’umanità. «Un credente è certamente un innamorato», scrive Kierkegaard nella Malattia mortale. La fede è questione di fiducia, che a sua volta implica una qualche specie di carità o dono di sé. La fondazione della speranza è la salda convinzione che l’altro non ti lascerà andare, la fiducia che non si sarà abbandonati. Non a caso, «un sentimento di fiducia» è, per l’Oxford English Dictionary, un significato arcaico di «speranza». La speranza è l’assegnamento che il proprio progetto prevalga, è ciò che un commentatore ha definito «l’attiva dedizione alla desiderabilità e alla realizzabilità di un certo scopo». In quanto tale, essa implica il desiderio e dunque, in un senso ampio del termine, l’amore. È la fede a rivelare ciò che si può legittimamente sperare, ed entrambe le virtù trovano la loro radice ultima nella carità. [...]
- Frammento tratto dal secondo capitolo di "Speranza (senza ottimismo)", di Terry Eagleton. Ponte alle Grazie, 2016) -
Nessun commento:
Posta un commento