venerdì 21 maggio 2021

Il treno si ferma ...

Prefazione alla nuova edizione aprile 2021 de "L'Effondrement de la modernisation" di Robert Kurz
- di Anselm Jappe e Johannes Vogele -

Questo libro venne pubblicato per la prima volta nel mese di settembre del 1991, in Germania. Ebbe immediatamente una certa eco. Da quasi due anni era caduto il muro di Berlino, da quasi un anno la Germania era stata "riunita", ma l'Unione Sovietica - ancora in preda a delle convulsioni - non si era ancora dissolta formalmente. Scrivere "Collasso", ha coinciso con quel periodo così ricco di cambiamenti. Hans Magnus Henzesberger, un importante intellettuale tedesco dotato di un grande intuito, lo pubblicava presso l'editore Eichborn nella sua prestigiosa collana "Die andere Bibliothek". A far rapidamente raggiungere alla diffusione di questo libro il traguardo delle ventimila copie, fu probabilmente il rapido disincanto tedesco nei confronti delle speranze di nuovi miracoli economici; cosa che portò l'influente giornale "Frankfurter Rundschau" a definire quel libro come «la più discussa tra tutte le recenti pubblicazioni». Venne ben presto tradotto in Brasile, dove scatenò una vera e propria passione per la Critica del Valore.

Oggi, trent'anni dopo, può essere letto sotto diversi punti di vista. Vi si trova l'analisi dello stato del mondo in un momento cruciale, un'analisi che continua ancora a stupire per la sua perspicacia e audacia. Il suo soggetto principale è i crollo del «socialismo reale» nei paesi dell'Est; un avvenimento che , per gran parte dei lettori odierni, si situa prima della loro nascita o nella loro prima infanzia: una storia ormai lontana. Il collasso del blocco sovietico venne ovunque percepito - a destra, a sinistra, e perfino tra molti dei suoi ex avversari di estrema destra - come la prova della vittoria finale del modello occidentale, e quindi della democrazia e dell'economia di mercato, di solito per gioirne, talvolta per rattristarsene. Robert Kurz, al contrario, non solo offriva una spiegazione marxista dell'inevitabile fallimento del «socialismo reale» assai diversa dalle analisi che venivano comunemente proposte a sinistra, ma affermava anche, audacemente, che la fine dell'URSS non era stata altro che una tappa del crollo globale della società delle merci, di cui i paesi «socialisti» ne avevano costituito solo un segmento minore. Oggi possiamo constatare la giustezza del punto di vista di Kurz, il quale prevedeva che la fine dell'Unione Sovietica non avrebbe inaugurato affatto un periodo di prosperità globale e di pace universale, e neppure una felice «fine della storia», ma avrebbe piuttosto significato che saremmo entrati in un'era ancora più travagliata di quella precedente: il collasso globale del sistema capitalistico. Ovviamente, non tutte le previsioni di Kurz si sono avverate esattamente, e il collasso non è avvenuto così rapidamente come lo aveva previsto. Tuttavia, in retrospettiva, questi errori di valutazione dovrebbero pesare ben poco, data al correttezza della sua tesi essenziale. Il capitalismo, sia esso statale o basato sul mercato, è rimasto dappertutto intrappolato dentro una crisi irreversibile, la quale è la conseguenza dell'esaurimento strutturale di quello che è il suo meccanismo di base: la trasformazione del lavoro in valore al fine di accumulare del capitale, il tutto in un processo tautologico senza fine.

Allo stesso tempo, questo libro costituisce anche un'importante documentazione circa la storia della Critica del Valore: esso costituisce simultaneamente sia il suo certificato di nascita che un buon riassunto di quelle che sono le sue tesi centrali. La rivista "Marxistische Kritik" era stata fondata nel 1987 a Norimberga, in Germania, da una piccola cerchia di persone senza alcun legame accademico o istituzionale, provenienti da differenti sensibilità della sinistra radicale marxista. All'inizio, venne mantenuto un carattere piuttosto riservato, anche dopo che il nome venne cambiato in "Krisis"; cosa che tuttavia non impedì che venisse realizzato un fondamentale lavoro teorico , che incluse anche una rottura con la doxa marxista sulla questione del "lavoro" e della "lotta di classe", sempre in nome di un ritorno all'opera di Marx stesso. Venne messa in atto una riformulazione della critica marxiana dell'economia, nel senso di una critica categoriale, una critica delle categorie di base, negative e distruttrici, delle società capitalistiche - lavoro, valore, denaro, merce - insieme a una nuova critica del feticismo. Fu in questo contesto che Robert Kurz, l'autore più prolifico del gruppo, cominciò a redigere un intero libro sul cambiamento epocale in atto, più accessibile di quanto fossero gli articoli che venivano pubblicati su "Krisis". Questo libro, è stato "Der Kollaps der Modernisierung".
Su queste basi di una riformulazione della critica marxiana dell'economia politica, il libro offre una contro-storia di cosa sia stata l'instaurazione del capitalismo nelle periferie, soprattutto nel XX secolo. In particolare, l'analisi che Kurz fa della rivoluzione dell'Ottobre 1917 e del blocco sovietico è assai diversa da tutte quelle prodotte dalla sinistra radicale nel corso della sua esistenza. Come afferma Kurz, in un'intervista del 2006 dal titolo «Il Kollasso 15 anni dopo» [*1], non era mai stato messo in discussione il presunto carattere socialista e post-capitalista dell'Unione Sovietica. Quei rari teorici che hanno parlato di «capitalismo di Stato» non sono mai andati oltre il concetto sociologistico e riduttivo di «burocratizzazione». Identificando in maniera superficiale il capitalismo con le sole classi dominanti, tematizzano solamente la critica del «plusvalore», in senso sociologico, vedendolo come la sua «appropriazione» da parte della «classe capitalista»; e in Unione Sovietica da parte dello «Stato-partito». Ma non è mai stato così. Più fondamentalmente, dal momento che la forma valore funziona come in un loop, e si avvolge in maniera feticistica attorno a questa sostanza del capitale che è l'astrazione-lavoro. E non è stata denunciata neppure l'instaurazione di questo suo mondo nelle società del blocco sovietico, avvenuta sotto la forma di una «accumulazione primitiva», ma se ne è vista piuttosto unicamente la sua «iniqua distribuzione» che da quel momento in poi si è svolta a vantaggio - non della classe borghese ma  - della nuova classe burocratica. A differenza di un Trotsky, cui mancava una vera e propria concezione de capitalismo, la burocrazia costituiva - agli occhi di Kurz - una conseguenza, e non la causa, della repressione statale che mirava a generalizzare il lavoro astratto nelle società ad esso refrattarie.
In maniera ancora più fondamentale, secondo Kurz, la differenza tra l'economia pianificata e l'economia di mercato era soltanto relativa, mentre invece la loro base comune, vale a dire il «lavoro astratto», pesava molto di più. Un lavoro astratto che non ha come obiettivo quello di produrre valore d'uso, ma solamente plusvalore, insieme alla moltiplicazione del denaro, in quanto «fine tautologico», al di là di qualsiasi bisogno reale. Il capitalismo si è formato a partire dal XVI secolo (periodo di «accumulazione primitiva») attraversando quelle che sono state fasi in cui si è alternato un interventismo statale, spesso brutale, ad un'auto-regolazione da parte del mercato. Una volta stabiliti i primi capitalismi nazionali, per i nuovi arrivati diventava sempre più difficile entrare nel mercato mondiale. La rivoluzione russa del 1917, a prescindere dalla volontà dei suoi leader, non aveva e non poteva avere, secondo Kurz, il «comunismo» come orizzonte, ma piuttosto una «modernizzazione di recupero», vale a dire una versione accelerata dell'installazione delle forme sociali basate sul capitalismo, ossia riorganizzando le vecchie strutture sociali premoderne in modo da imporre la socializzazione degli individui attraverso il valore; non è stato affatto un caso che Lenin abbia visto nell'economia tedesca della prima guerra mondiale, e più specificamente nel servizio postale tedesco, un modello da seguire. Le categorie di base della produzione capitalistica - quali il valore, il denaro, i salari, i prezzi - non vennero mai abolite in Unione Sovietica: si poté piuttosto assistere ad una ripetizione accelerata, e pertanto ancora più brutale, dell'«accumulazione primitiva» e delle rivoluzioni borghesi occidentali. Quando, a partire dagli anni '60 e '70, la coscienza occidentale venne colta dall'orrore per il «totalitarismo», essa stava scoprendo soltanto una realtà che era un'immagine concentrata del suo stesso passato. Non  si trattava di fare una rivoluzione per superare il capitalismo, come proclamava l'ideologia, ma, al contrario, di trasformare una società contadina premoderna in una società capitalista. Milioni di persone vennero integrate in maniera repressiva nel sistema del lavoro astratto. Dopo la Russia e i suoi satelliti europei, ci furono numerosi paesi del Sud e dell'Est del mondo, rimasti indietro in quella che era stata l'ascesa globale del capitalismo, che durante il periodo delle indipendenze tentarono nello stesso modo di realizzare la loro «modernizzazione di recupero».

Ma per quanto l'URSS, durante lo stalinismo, riuscisse a ripetere l'ampia accumulazione estensiva del periodo iniziale del capitalismo, essa poi si rivelò del tutto incapace di passare alle fasi successive nelle quali l'accumulazione avrebbe dovuto essere intensiva; e il problema si ripeterà poi anche con i nuovi paesi indipendenti degli anni '50 e '60. La sospensione della dinamica interna del valore aveva finito di esasperare fino all'assurdo quelli che erano i lati negativi, come per esempio la totale disconnessione di creare valore relativamente ai bisogni. Fu così che l'Unione Sovietica, nel giro di pochi anni fini per trovarsi nuovamente in ritardo, e solo grazie all'autarchia forzata rimase in condizione di poter resistere ancora per qualche decennio alla concorrenza internazionale. Contrariamente a quel che si crede  (vale a dire che bastasse sostituire un modello economico «sbagliato» - il socialismo - con un modello «giusto» - l'economia di mercato - per potere ottenere ovunque le medesima prosperità dell'Occidente), Kurz sostiene che l'economia di mercato non è espandibile a piacimento: ma è, al contrario, una bestia condannata a divorare sé stessa. Qualsiasi aumento di produttività che avvenga nei centri più avanzati, compromette la produzione di valore nei paesi che non sono in grado di tenere il passo; allo stesso tempo, non è più possibile alcuna autarchia. In questa competizione, le prime a crollare sono state le economie del terzo mondo, poi quelle dell'Est, proprio nello stesso momento in cui si svolge una lotta finale tra gli stessi paesi occidentali. In questa congiuntura, Kurz ribadisce con forza la teoria marxiana della crisi. Questo perché egli la vede come se fosse lo strumento più adeguato per comprendere la realtà che essa stessa riformula. Viene così rimesso sui suoi piedi il Marx dimenticato, il Marx della crisi fondamentale che - dopo la tronca teoria del crollo di Henryk Grossmann, o quella di Rosa Luxemburg - era stato rimosso, se non addirittura demonizzato [*2]. Kurz descrive perciò in dettaglio quali sono le aporie che minano le fondamenta stesse delle due nuove «locomotive» dell'economia mondiale durante gli anni '80 e '90: la Germania e il Giappone, le quali, con il resto dell'Europa e del Nord America, hanno costituito la «Triade» capitalista. Non si tratta di una crisi congiunturale, ma dell'ultimo sussulto di un modello di produzione basato sul lavoro astratto, nel quale l'altissimo livello di produttività si trova ad essere in un'opposizione sempre più evidente con la sua subordinazione all'auto-movimento del denaro. Lo scenario dipinto da Kurz è apocalittico: una parte sempre più importante dell'umanità, in particolare quella che si trova nelle periferie collassate del Sud America, in Africa o in Medio Oriente, non viene più nemmeno sfruttata, ma si vede del tutto tagliata fuori da ogni legame con l'economia e con la civiltà. Così, dalle sue reazioni disperate nascono delle guerre civili, un neo-nazionalismo etnico, un fondamentalismo religioso (non solo islamico) e degli spaventosi ritorni alla barbarie. Pertanto, il libro di Kurz va ben oltre la sola comprensione del passato e ci può aiutare a comprendere meglio il presente: essenzialmente, negli ultimi decenni, la crisi globale della società del mercato, ha confermato le previsioni di Kurz; smorzate solamente da alcuni «momenti ritardatari» e da qualche pausa. Di questi «momenti ritardatari» - che spiegano perché il crollo non sia continuato al ritmo previsto da Kurz - il più importante è costituito dall'espansione della sfera finanziaria, la quale è andata ben oltre tutto ciò che si poteva immaginare. La colossale crescita del debito, sia pubblico che privato, non ha risolto per niente i problemi del capitalismo: è solo servito a rimandare lo scoppio delle bolle speculative, cosa che porterà al collasso dell'economia cosiddetta «reale». Kurz non si è mai stancato di sottolinearlo. Bisogna tuttavia ammettere che la capacità, dimostrata dalla società di mercato, di prolungare la sua vita sotto flebo è impressionante.

Se questo libro da una parte riassume a grandi linee la critica del valore, esso ne segna però anche una tappa intermedia. Coloro che sono stati i primi fondatori della «critica del valore», incluso Robert Kurz, descrivono volentieri la propria evoluzione teorica come un graduale abbandono, a volte difficile, dei dogmi del marxismo tradizionale. Un processo che evoca una dialettica tra continuità e rottura. La critica del valore si trova così ad essere segnata da dei continui passi in avanti nell'elaborazione, lo sviluppo e la definizione specifica del suo approccio teorico; ancora nel 2012, nel suo ultimo libro, "Denaro senza valore", Kurz continua a riferirsi ad «una rivoluzione teorica che dev'essere completata». Il Collasso della modernizzazione mantiene pertanto diversi limiti che poi, in seguito negli scritti successivi, verranno superati da Kurz. Così come, per esempio, la critica del lavoro - il quale in quanto fondamento della società del valore deve essere abolito, e non valorizzato - non è ancora compiuta. Più volte, a più riprese, Kurz si attiene ancora al Marx essoterico, perseguendo una duplice concezione aporetica del lavoro [*3]: seguendo in primo luogo quella trans-storica, che lo vede come sforzo, come «metabolismo con la natura», o necessità naturale, e in secondo luogo come «lavoro moderno» creatore del (plus)valore, visto in una prospettiva assai più restrittiva, limitata al capitalismo. Ciò lo porta talvolta a delle retroproiezioni, sulle società pre-capitaliste, dei concetti che sono propri della critica dell'economia politica. Sia che si tratti della merce - la quale sarebbe esistita sotto «forma di nicchia» - o che riguardi il «valore d'uso», il quale costituirebbe ancora l'orizzonte del «lavoro» [*4].
Nel primo capitolo, Kurz arriva persino ad affermare che «parlare di società del lavoro come di un concetto ontologico sarebbe una tautologia, visto che senza dubbio nel corso di tutta la Storia, fino ai nostri giorni, la socialità - in tutte le sue forme derivate - non è stata altro che una tale società del lavoro.» In questa concezione, il lavoro, in quanto attività produttiva che fa fronte alla necessità, nella modernità capitalistica avrebbe solo cambiato forma. Questo spinge Kurz ad usare senza alcuna remora la famosa idea di una «missione civilizzatrice» (Marx) del capitale grazie allo sviluppo delle forze produttive che, a causa del loro intreccio sempre più inestricabile a livello globale, entrerebbero alla fine in contraddizione con il principio di concorrenza che costituisce il motore del loro sviluppo. Alla fine del libro, arriva addirittura a parla di un «comunismo delle cose», che si stabilisce a prescindere dagli attori della società capitalista, e che andrebbe liberato in maniera cosciente dalle costrizioni distruttive e obsolete della valorizzazione. Negli anni successivi alla pubblicazione de Il Collasso della modernizzazione, ci sono state delle fasi in cui si è assistito allo sgombero di questo genere di macerie che erano state ereditate dal marxismo tradizionale. In un tentativo di approfondimento della critica e dei suoi concetti, Kurz e la corrente della critica del valore anno abbattuto, via via, tutte le vacche sacre del marxismo e delle altre correnti progressiste o rivoluzionarie. Nell'intervista succitata, Robert Kurz precisa:
«Inizialmente, la nuova teoria si concentrò su un ulteriore sviluppo della critica dell'economia politica. La teoria della crisi e la critica del sistema di produzione delle merci, ivi comprese le forme della politica e della nazione, ne costituivano un nuovo contenuto, ma la riflessione su tali contenuti rimaneva nel quadro di una concezione tradizionale della teoria. Il carattere astratto-universalista di qualsiasi formazione teorica del mondo moderno, in quanto momento della sua ontologia, non veniva considerato; così come non veniva considerato il concetto di soggetto e la moderna relazione di genere ad esso correlata. Seguendo il modello della filosofia hegeliana, il nuovo approccio si basava su una procedimento di "derivazione logica", dove la relazione tra essenza e apparenza doveva essere risolto come se si trattasse di un'equazione matematica. Questo modo di pensare astratto e universalista che aveva ogni teoria moderna radicata nella filosofia dell'Illuminismo, si univa a un ostinato attaccamento, del tutto sconsiderato, alla metafisica della storia dell'Illuminismo: per il futuro, il moderno sistema di produzione di merci veniva messo in discussione sulla base della teoria della crisi, ma per il passato esso continuava ad essere compreso come se si fosse trattato di un preteso "progresso" che aveva superato le presupposte oscurità, naturalità ed animalità del mondo agrario premoderno. A partire da Marx, la teoria della critica del valore ha approcciato in modo del tutto nuovo la pretesa razionalità del feticismo dell'era moderna; tuttavia, come aveva fatto lo stesso Marx, ha inscritto proprio questa nuova scoperta all'interno della filosofia ideologica della storia di questa "falsa razionalità".»

L'idea di una dialettica del progresso, venne pertanto abbandonata e sostituita dall'esigenza di una radicale tabula rasa, che era la sola in grado di emancipare l'umanità dal dominio capitalista. Nelle successive tappe, ci si è sbarazzati di una comprensione trans-storica del lavoro [*5], di una visione dialettica o negativa del progresso e dell'Illuminismo [*6] e, di conseguenza, da una prassi teorica androcentrica di derivazione e di identità. Tuttavia, questo percorso di allontanamento doveva allo stesso tempo diffidare delle sirene del postmodernismo che in quello stesso momento stava prendendo piede. Al contrario, diventava urgente criticare simultaneamente sia la vecchia concezione totalizzante hegeliana che la nuova «differenza» derridiana, il culto del progresso e quello di una nostalgia fuorviante e reazionaria, il determinismo storico e la falsa immediatezza (Adorno) ana-storica, il concetto di una totalità identica a sé stessa e le identità frammentate e flessibilizzate, che alla fine non possono essere ridotte, a loro volta, altro che a sé stesse.
E soprattutto mancava ancora la critica della dimensione patriarcale della società di mercato, che pochi anni più tardi doveva diventare molto importante, e che assumerà alla fine il nome di «critica della dissociazione valore» (Wert-Abspaltungskritik). In realtà, fino a quel preciso momento, la vecchia critica del valore non aveva mai abbandonato il terreno della critica androcentrica, «dimenticando» e oscurando l'altra faccia della riproduzione della società produttrice di merci, necessaria e resa inferiore allo stesso tempo. Finalmente si era reso necessario decidersi a vedere nel capitalismo un patriarcato produttore di merci, e non più semplicemente limitarsi a considerare il dominio patriarcale come un derivato dell'auto-movimento del valore. Considerare come essenziale quella che è la parte dissociata e femminizzata della riproduzione globale capitalistica, non poteva essere ritenuto come se fosse una gentilezza un po' paternalista messa in atto da parte della «grande teoria», ma bisognava strapparla attraverso il conflitto e la polemica, e doveva essere accompagnata dalla sua quota di collera e di rotture. È a partire dall'articolo «Il valore è il maschio», di Roswitha Scholz, pubblicato nel 1992, che si è aperta questa breccia [*7].
In compenso, in questo testo, la teoria della crisi ha già trovato la sua forma pressoché completa: è la crescente sostituzione del lavoro vivente, unica fonte del valore e del plusvalore, per mezzo della tecnologia, che fa «fondere» la sostanza del valore, proprio in Occidente. Come nota retrospettivamente Kurz, è stato solo con il Collasso della modernizzazione che i due sviluppi principali della critica del valore che erano già stati elaborati hanno potuto essere riuniti a livello sistemico: la critica di un «socialismo» fondato sul lavoro astratto e sulla produzione di merci, e la nuova teoria della crisi.
A partire, e a causa dell'età di questo testo il lettore si troverà di fronte a una doppia esigenza: da un lato, dovrà confrontarsi con dei fatti vecchi di trent'anni, che si situano, come abbiamo già detto  prima, tra la caduta del muro di Berlino e il crollo dell'Unione Sovietica. Va sottolineato come il primo venga raccontato al passato e il secondo al futuro. Questo testo dovrebbe quindi essere letto come un documento storico che testimonia una tappa del percorso di una critica sociale che ha sempre avuto come unica intenzione, quella di nuocere alla società delle merci.

- Anselm Jappe e Johannes Vogele - Pubblicato il 25 aprile 2021 - su Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme -

NOTE:

[*1] - Robert Kurz, « Der Kollaps der Modernisierung''- Intervista disponibile su: https://www.exit-online.org/link.php?tabelle=autoren&posnr=168

[*2] - Si veda: Robert Kurz, "La Substance du capital", Paris, L’Échappée, 2019.

[*3] -  Si veda: Nuno Machado, "L’aporie du concept de travail chez Marx : une analyse chronologique",  su Jaggernaut, n°3,"Abolissons le travail !", Albi, Crise & Critique, 2020. E Robert Kurz, "La Substance du capital", op. cit.

[*4] - Per quanto riguarda gli ulteriori sviluppi di Robert Kurz, si rimanda alla recensione di Anselm Jappe del libro di Kurz, "Geld ohne Wert": «Robert Kurz, voyage au cœur des ténèbres du capitalisme», su La Revue des Livres (n°9, janvier 2013): che può essere letto per intero, tradotto in italiano su: https://francosenia.blogspot.com/2013/08/denaro-senza-valore.html. Si veda anche "La Substance du capital", op. cit.

[*5] - Robert Kurz, La Substance du capital, op. cit.

[*6] - Si veda Robert Kurz, "Raison sanglante. Essais pour une critique émancipatrice de la modernité capitaliste et des Lumières bourgeoises", Albi, Crise & Critique, 2021.

[*7] - Roswitha Scholz, « La valeur, c’est le mâle. Thèses sur la socialisation par la valeur et le rapport de genre», in R. Scholz, Le Sexe du capitalisme. « Masculinité » et « féminité » comme piliers du patriarcat producteur de marchandises, Albi, Crise & Critique, 2019.

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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