martedì 4 maggio 2021

La capitana e il generale

Quella fu la notte in cui i leader smisero di avere la parola. La notte fra il 10 e l'11 maggio del 1968. Quartiere latino a Parigi, la notte delle barricate. I manifestanti, quel giorno hanno deciso di non cercare di forzare i ponti sulla Senna, occupati dalla polizia. E giusto o sbagliato, hanno ritenuto fosse meglio barricarsi nel quartiere latino. E ora è notte, e dopo una giornata di barricate ce ne sono solo cinque o sei. A difenderle sono rimasti solo  gli anarchici, i situazionisti, i blouson-noir; quelli che hanno deciso di rimanere fino alla fine.

Sono quasi tutti giovani e giovanissimi, ma qua e là si riesce a vedere anche qualche testa incanutita. Quelli che invece mancano, sono i trentenni, e i quarantenni. Ed è così un po' dappertutto, in quegli anni mancano quelli che erano troppo giovani per la Resistenza e che ora sono troppo vecchi per vivere la strada di questa fine degli anni sessanta. Ora, in questa notte in cui dappertutto al profumo dei tigli si è mescolato l'odore acre e soffocante dei candelotti lacrimogeni; e gli operai della Renault di Billancourt non sono arrivati. Non sono venuti a dar man forte agli studenti. La cosiddetta "cintura rossa" di Parigi è rimasta consegnata. Nelle loro case, in fabbrica, nelle sedi, agli ordini dei sindacati e del PCF. Così va la vita!

Tra quelli non rimasti a casa, ci sono invece Mika e Cipriano; 66 anni lei, una settantina lui. Si conoscono bene, Mika e Cipriano; anche se con ogni probabilità quella notte non sapranno riuscire a incontrarsi.
Gli studenti, i ragazzi, li guardano con curiosità. Ascoltano i consigli di quella donna che spiega come, per divellere il selciato sia meglio usare dei guanti: in maniera che così poi non rimanga traccia alcuna sulle mani, nel caso si dovesse essere presi.

Quel giorno è uscita di casa portandosene con sé una scorta, di quei guanti bianchi. E così ora può distribuirli alle ragazze che se ne mostrano entusiaste. E sempre quella stessa notte, molto più tardi, al suo rientro, ne conserva nella borsa ancora un paio di quei guanti sporchi della terra dei sanpietrini. Souvenir.
Mika sa che nessuno le chiederà di aprirla, la sua borsa; anzi, gli agenti sono così gentili mentre, preoccupati, si offrono di accompagnarla a casa: è pericoloso, dicono, guardando quella signora dall'aspetto così fragile.

Ovviamente, non sospettano nemmeno lontanamente - e come potrebbero - di avere a che fare con Micaela Feldman Etchebehere, Mika, l'unica donna che abbia mai comandato una colonna di miliziani durante la guerra civile spagnola. E a quel tempo, la capitana ci avrebbe lasciato la pelle, in Spagna, se non fosse stato per Cipriano Mera che, facendo uso della sua autorità di generale di corpo d'armata, riuscì a tirarla fuori da quella "ceka" comunista. Già, perché quell'uomo che ora si aggira per il quartiere latino, a cavalcioni della sua bicicletta, è stato un generale. Anche lui si ferma e si spende a spiegare, a dare consigli: sa bene, da rivoluzionario e da muratore, come si costruisce una barricata. I ragazzi lo guardano, prima divertiti, poi stupiti, infine ammirati. Si è fermato a parlare con loro, sotto la bandiera nera, insieme a quei ragazzi. Ci sarà tempo per progettare un altro attentato per ammazzare quel bastardo di Francisco Franco. Ha tempo, Cipriano Mera. E gli piace, questo tempo.


già pubblicato sul blog il 15/2/2013

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