venerdì 14 maggio 2021

Eppure soffia

Il vento è aria in movimento. Watson inizia con la più semplice delle definizioni per poi sfociare in una vertiginosa serie di spiegazioni, fatti, mini storie e contemplazioni cosmiche: come questo evento atmosferico porta la vita nel mondo distribuendo calore ed energia, influenzando i fenomeni meteorologici, favorendo la riproduzione delle piante e la migrazione di molti animali, modificando il paesaggio e agendo sui comportamenti dell'uomo. Giunto alla quarta edizione negli Stati Uniti, Storia del vento è la prima analisi completa, esauriente e ampiamente informativa di tutti gli aspetti che caratterizzano uno dei più affascinanti elementi della natura, tanto più curioso in quanto privo di corporeità e di sostanza, ma indispensabile per la vita sul nostro pianeta. Dopo aver esaminato la geografia e la fisiologia del vento, mostrando in quanti modi disparati questo soffio invisibile abbia formato qualcosa a partire dal nulla, l'autore si sofferma sulla storia: ci sono venti, ad esempio, famosi per aver cambiato l'esito di battaglie decisive... Intriganti e originali sono anche i capitoli dedicati alla mitologia, al folclore, alle credenze religiose, così come il percorso tra le opere d'arte e le pagine che vedono il vento quasi come una forza spirituale capace di farci riflettere più attentamente sui mutamenti radicali del clima e della società. Chiudono il tutto un "Dizionario dei venti" e un'appendice con la mappa dei venti d'Italia.

(dal risvolto di copertina di: "Storia del vento", di Lyall Watson. Odoya €25)


Dal soffio al tornado, così cambia il vento
- di  Luigi Sampietro -

Un vento furioso di fine inverno che sbatte contro gli infissi di legno al quarto piano di un palazzo scampato ai bombardamenti. Inginocchiato su di una sedia davanti alla finestra, è forse questo il mio primo ricordo. Sullo sfondo, le montagne coperte di neve; e, sopra, un cielo d’un azzurro fondo - cristallizzato - che, come dice qualcuno dietro di me, non si vedeva da chissà quanto tempo. Durante la guerra i miei erano sfollati in campagna dov’ero nato, e a Milano mi avevano portato che avevo forse tre anni. Dirimpetto a noi abitava la famiglia di Paolino, che andava già alle elementari, e con loro una vecchia contadina, depositaria di conoscenze millenarie e prodiga di proverbi e carezze, che anch’io chiamavo nonna Rosa. A una cert’ora, quel giorno, ci accorgemmo che il vento era cessato. E anche gli spifferi. Sparita, nel riquadro della finestra, la cartolina a colori di quell’insolito paesaggio urbano. E, nel silenzio, la voce di nonna Rosa che dice in dialetto: «Era femmina. Quando è maschio, il vento dura tutta la notte. E poi per tre giorni di fila. Ma se va via prima di sera, vuol dire che deve tornare a casa a preparare la cena». Non avrei avuto difficoltà, anni dopo, a credere a quel che si racconta, nell’Odissea, sull’incontro di Ulisse con Eolo, il dio dei venti; sui lotofagi e Polifemo, Circe e Calipso, e sulla bocca di lampreda della mostruosa Cariddi; ma, soprattutto, al fatto che anche le cose invisibili possano avere fattezze umane e un nome proprio. E pochi giorni fa, mentre leggevo l’imperdibile Storia del vento di Lyall Watson, non doveva sorprendermi il fatto che, in appendice al libro, ci fosse un elenco di oltre 400 voci con le quali, nell’universo mondo, quel che i profani chiamano semplicemente “vento” gli indigeni e i naviganti hanno invece sempre onorato con un nome proprio, e che nel titolo originale è lo stesso Watson a definire, con sacrale rispetto, come Heaven’s Breath (Il soffio divino).

Non sono in grado di entrare nel merito scientifico di un lavoro che, al di là delle cifre e di qualche algoritmo, sarebbe da considerare - per il piacere che dona e le sorprese che fornisce - come un libro delle favole (con relativa morale). Un inventario dell’azione e delle manifestazioni del vento - malefatte comprese -, nei vari continenti e nei secoli; e una riprova, a interpretazione avvenuta, che si tratta talora di prodigi sbalorditivi ma perfettamente spiegabili; e che solo madre natura, presa nel suo insieme, può dirsi un miracolo. Il fascino di questa storia sta proprio nel fatto che tutto quel che vi si racconta potrebbe incasellarsi di diritto nell’ambito delle mirabilia. Senonché qui non si tratta solo di manufatti e di opere d’ingegno, e non sono le pupille dietro agli occhiali del lettore a spalancarsi per lo stupore; bensì, piuttosto, gli occhi della mente di chi, sorpreso dai solidi ragionamenti e dalle dimostrazioni di Watson o di altri scienziati a cui fa riferimento in bibliografia, scopre insospettabili verità nascoste dentro a fenomeni talvolta assegnati d’ufficio al mondo delle leggende e del mito. Fenomeni, per fare un esempio, come gli uragani - e Hunraken era il dio maya delle tempeste - che attraversano l’Atlantico, o i tornado che spazzano le praterie degli Stati Uniti, e le cui conseguenze somigliano agli eventi descritti in certi libri del tempo che fu, quando ancora si credeva alle streghe e al diavolo, e che qualche topo di biblioteca ricorda ancora come remarkable providences. Vagoni ferroviari sollevati dai binari e abbandonati a 25 chilometri di distanza. Cavalli che volteggiano nell’aria, come in un dipinto di Chagall. Pozzi e corsi d’acqua risucchiati e prosciugati. Tappi di bottiglia che saltano. Candele incastonate come proiettili nell’intonaco del muro. E una casa, in Oklahoma, sollevata dal basamento e ricollocata sul lato opposto della strada. E pensare che tutto questo non avrebbe luogo - e non ci saremmo nemmeno noi - se l’asse della Terra non fosse inclinato invece che perpendicolare al piano dell’orbita attorno al Sole. Se, soprattutto, la superficie del pianeta fosse liscia come un’arancia e non ci fossero ostacoli, ovvero le montagne e le rocce che i venti investono e su cui rimbalzano cambiando percorso. Se, ancora, gran parte della Terra non fosse coperta dalle acque, sulle quali i venti giocano da milioni di anni con correnti e controcorrenti, e gli uomini, prima scivolando sopra i fiumi e poi sulle imbarcazioni a vela, hanno cominciato a spostarsi dando luogo a tutto quel che sappiamo.

Ciò che invece siamo in molti a non sapere è quel che, pagina dopo pagina, si viene scoprendo in questo libro. E non sono soltanto gli effetti dell’azione del vento ma i suoi annessi e connessi. Le mirabilia, ovvero i misteri gloriosi della geografia e della storia, che vanno dalla evoluzione di pesci e animali volanti fino alla scala di Beaufort; e dall’invenzione della canoa polinesiana con tanto di bilanciere, che dalla notte dei tempi permette agli indigeni di muoversi in equilibrio sulle onde tra le infinite isole del Pacifico (165 milioni di kmq di superficie!) fino alla scoperta, in un capitolo dedicato a Pasteur, che «la mancanza di stabilità genetica dei virus sarebbe dovuta in gran parte alla loro tendenza a fare errori quando si producono». Con tanti saluti - sia detto tra parentesi - a chi, come qualcuno di noi, credeva che a non azzeccarne mai una fossero soltanto i virologi. Ci sono poi le arti e l’artigianato. I vestiti, che sono nati in conseguenza delle stagioni, e i suoni - insieme a infrasuoni e ultrasuoni - che il vento produce sbattendo contro gli ostacoli. Soprattutto alberi e foglie e, in particolare, gli aghi delle conifere. I quali, veniamo a sapere, hanno fornito significativi suggerimenti ai musicisti in epoca romantica e, prima ancora, ad Antonio Vivaldi nelle cui Quattro stagioni è «evocato l’umore del movimento d’aria ogni volta caratteristico di un particolare periodo dell’anno». L’alternarsi di periodi di glaciazione, a cui ha fatto puntualmente seguito un grande disgelo nel corso di milioni di anni; il formarsi dei monsoni e le esplosioni dei vulcani, insieme alla nascita dell’agricoltura e dei commerci; l’agglomerarsi dei centri urbani e l’incidenza del clima sul decorso delle civiltà - tutte queste cose, e altro ancora, si susseguono nei dieci capitoli del libro, che è di per sé una storia del mondo.
Botanica, zoologia, medicina, antropologia, mineralogia, meteorologia, biologia, chimica, fisica, economia, sociologia, e chi più ne ha più ne metta, confluiscono nella penna di Watson e danno luogo a un racconto in cui lo stupore infantile che lo scienziato trasmette al proprio lettore è riassunto in una sua famosa affermazione: «Se gli elefanti non esistessero, non si potrebbero inventare. Sono creature tanto inverosimili da sfidare tanto la credibilità quanto il buon senso». Buona lettura.

- Luigi Sampietro - Pubblicato su Domenica dell'11/4/2021 -

Nessun commento: