Questo articolo è apparso sul numero di gennaio-febbraio de La Riposte, la rivista dei marxisti francesi. Getta una luce sul presunto progressismo di John Maynard Keynes, icona di tanti circoli intellettuali di sinistra.
Nel 2009, il volume di scambi commerciali nel mondo è crollato del 12%. Si tratta di un arretramento senza precedenti dal 1945 che è proseguito nel 2011. La Francia entra in recessione. L’economia europea ristagna o si contrae, a seconda dei paesi. La crisi di sovrapproduzione ha spinto molti paesi già iper indebitati sul limite del fallimento. Per “rassicurare i mercati”, i governi infliggono alla massa della popolazione europea una caduta del loro livello di vita. I lettori abituali de La Riposte conoscono la nostra posizione.
Il capitalismo è un sistema che ha esaurito il suo potenziale storico, sta distruggendo le conquiste sociali del passato. Per uscire dalla crisi e dalla regressione sociale, bisognerà uscire dal capitalismo. Noi consideriamo che le idee del marxismo rivoluzionario – che tanta gente a destra come a sinistra aveva relegato al museo delle curiosità antiche – non hanno perso nulla della loro pertinenza. La lotta contro il capitalismo va di pari passo con la necessità di riarmare il movimento operaio francese – in particolare il PCF – con le idee, i principi e il programma del marxismo.
Non tutti condividono questo punto di vista. Inevitabilmente, le organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio sono attraversate da diverse correnti di pensiero. Presso i riformisti, che considerano che una rottura con il capitalismo è desiderabile ma impossibile (oppure possibile ma non desiderabile), il nome di John Maynard Keynes è spesso evocato. Per esempio, Walid Hasni, economista del coordinamento sindacale CGT alla Renault, insiste sulla necessità di un ritorno a Keynes. Hasni è anche l’autore di una bozza di programma keynesiano scritta per il governo tunisino dopo la caduta di Ben Ali. L’estratto che segue dà un’idea dell’orientamento economico e politico del compagno Hasni: -“Per portare a compimento la sua transizione democratica, la Tunisia ha bisogno di politiche di rilancio keynesiane. Di seguito proveremo a fornire un abbozzo di spiegazione dell’approccio keynesiano nel modo più semplice, senza – lo speriamo – tradire il pensiero del maestro. In un secondo momento, sottoporremo alcune proposte di politica economica che s’ispirano dalla teoria di Keynes. Keynes è probabilmente il più grande economista del XX secolo. […] L’essenza stessa degli scritti di Keynes è quella di mostrare che se lasciata a se stessa, l’economia capitalista non permette una allocazione ottimale delle risorse e non sopravvivrà, da qui deriva la necessità vitale dell’intervento dello stato.”
Chi era dunque Keynes? Nato nel 1883 fece i suoi studi a Eton e al King’s College a Cambridge, istituzioni riservate all’élite borghese e aristocratica dell’epoca. Esperto speculatore in borsa e sui mercati di cambio, comincia la sua carriera in una commissione governativa che gestiva gli interessi dell’imperialismo britannico in India. Occupò un posto importante nel partito liberale – il principale partito della classe capitalista, all’epoca – a fianco di Lloyd George. Quest’ultimo diresse, come primo ministro (fra il 1916 e il 1922), il massacro imperialista della prima guerra mondiale. Organizzò inoltre l’intervento militare contro la repubblica sovietica. Keynes appoggiava questo intervento. Fece ancora parlare di lui scrivendo molti articoli in cui si opponeva al ritorno della moneta britannica al regime aureo.
Keynes sarebbe il primo a stupirsi di vedere il suo nome associato al movimento sindacale o alla sinistra. Odiava il socialismo e i sindacati. Per lui, il comunismo era “un insulto alla nostra intelligenza". Un comunista, diceva, è “qualcuno che propaganda il male facendo credere che produrrà del bene”. Come abbiamo visto appoggiò il tentativo di soffocare nel sangue la rivoluzione russa. Nel 1922 dichiarava che “il bolscevismo è un delirio generato dall’idealismo beota e dall’errore intellettuale generati dalle sofferenze e dal temperamento di slavi ed ebrei.” Considerava Marx come un “pensatore di second’ordine” e il suo Capitale come “uno studio economico obsoleto, che so di essere non solo errato scientificamente ma anche totalmente sprovvisto d’interesse o di una qualche utilità per il mondo moderno.”
Potremmo fornire molte altre citazioni di questo genere. Diciamo solo che non c’era nulla di progressista o “di sinistra” nelle intenzioni di Keynes. La sua opera teorica principale è stata pubblicata solo nel 1936. Esponeva a posteriori, per così dire, le idee e raccomandazioni economiche che egli aveva diffuso nel corso degli anni ‘20 e della grande depressione degli anni ‘30. Queste raccomandazioni miravano ad aumentare i profitti dei capitalisti attraverso la protezione del mercato interno, ma anche a prevenire il pericolo di un sollevamento sociale. Nel 1926, il capitalismo britannico era stato messo in ginocchio da uno sciopero generale di massa durato 9 giorni. Il partito comunista fu fondato nel 1922. Una forte ala sinistra si stava formando nelle organizzazioni sindacali e del partito laburista. Keynes raccomandava la svalutazione della moneta per rendere le esportazioni britanniche meno care e frenare le importazioni. Questo avrebbe permesso, pensava, di ridurre la disoccupazione in Gran Bretagna e l’avrebbe inflitta ai lavoratori di altri paesi, favorendo così la stabilità del capitalismo britannico.
Raccomandava anche un programma di lavori pubblici, con l’obiettivo di creare mercati e fonti supplementari di profitto per i capitalisti. Lo Stato doveva intervenire nell’economia per allontanare il rischio di rivoluzioni e proteggere l’interesse dei capitalisti in un contesto di recessione. Keynes considerava i deficit pubblici come un “rimedio naturale” per evitare le crisi. Nel settembre 1942 su ordine del re, e come riconoscimento dei buoni e leali servigi resi alla corona, ebbe accesso alla nobiltà ereditaria e prese il suo posto alla camera dei Lords, sui banchi del partito liberale con il titolo di Barone Keynes de Tilton. Morì nel 1946.
Mentre le misure di Keynes erano concepite per limitare le conseguenze economiche e sociali delle recessioni, il suo nome è prima di tutto associato al lungo periodo di crescita dell’economia capitalista, in Europa e Stati Uniti, che si estende dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli anni ‘70. Questo paradosso richiede una spiegazione. La distruzione massiccia dell’apparato produttivo, e dei beni più in generale, durante la guerra, aveva creato le condizioni economiche per uno sviluppo senza precedenti del capitalismo. La produzione, il commercio mondiale e i profitti aumentavano considerevolmente anno dopo anno. In queste condizioni, e sotto la pressione del movimento operaio, il livello di vita delle popolazioni, particolarmente nei paesi industrializzati, aumentavano anch’essi. Come spiegava Marx, la produzione crea domanda fino ad un certo punto, cioè fino alla saturazione dei mercati. Ma prima che quest’ultima si manifesti, all’inizio degli anni ‘70 il pieno impiego e le riforme sociali stimolarono a loro volta la domanda – e dunque la produzione.
Dunque furono circostanze storiche eccezionali – e non le teorie di Keynes – che spiegano la durata di questo periodo di crescita. Ciò che è vero, invece, è che le politiche di regolazione e di intervento dello Stato, rese possibili in quel contesto, non furono senza riferimento alle idee di Keynes. Nel 1971, il presidente Richard Nixon dichiarava: - “noi siamo tutti keynesiani, adesso.” - Due anni dopo, il periodo di crescita era finito. L’inflazione raggiunse livelli molto alti (24% in Gran Bretagna, ad esempio), a causa dell’immensa quantità di capitali fittizi iniettati nell’economia. La disoccupazione di massa riappariva ovunque. Un periodo di profonda instabilità sociale, di rivoluzione e controrivoluzione si apriva su scala internazionale del quale gli avvenimenti del maggio 68 in Francia erano un avvisaglia: rovesciamento delle dittature in Grecia, in Spagna e nel Portogallo; scioperi di massa in tutta Europa…
Se alcuni teorici riformisti si richiamano a Keynes è perché s’immaginano che attraverso una politica interventista dello Stato, con l’obiettivo di stimolare la domanda, sarebbe possibile mettere fine alla crisi e assicurare una crescita regolare dell’economia capitalista. Ma il contesto attuale non è affatto quello del dopo guerra.
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