Falso Fronte
- Per opporsi al putinismo è necessario un nuovo universalismo emancipatore -
di Norbert Trenkle
L'invasione dell'Ucraina si colloca in un'offensiva su larga scala da parte di un regime autoritario guidato dalla bieca convinzione di dover ridisegnare a propria immagine tutto l'intero ordine mondiale. Tale offensiva è diretta non solo contro un paese, ma contro tutto ciò che, agli occhi di Putin e dei suoi seguaci, incarna «l'Occidente degenerato». Ciò include, in particolare, la «decadenza sessuale», vale a dire l'omosessualità e la cosiddetta ideologia gender, così come la presunta dissoluzione dei «valori culturali tradizionali». Alla base di tutto questo, c'è un'ideologia apertamente fascista, come ha giustamente sottolineato il sociologo moscovita Greg Yudin.
Quando si tratta della lotta per l'emancipazione sociale, dovrebbe essere ovvio opporsi al regime di Putin. Allo stesso tempo, tuttavia, questo rischia di collocare i sostenitori dell'emancipazione nella medesima categoria di coloro che equiparano la lotta contro l'autoritarismo a una difesa dei cosiddetti valori universali di democrazia, libertà ed economia di mercato. Ciò è problematico, e non solo perché un simile fronte unito include anche quelle forze che non sono esenti da tendenze antidemocratiche, ma anche perché nasconde come nei fatti il così tanto decantato universalismo sia ormai da tempo screditato dalla sua stessa cruda e orribile realtà; essendo uno dei fattori essenziali che contribuiscono all'offensiva globale dell'autoritarismo.
I valori liberaldemocratici, sono universali solo sul piano di un appello del tutto astratto. Dove, comunque, la loro base materiale - una società che si basa sulla produzione di merci - poggia su quelle che sono delle esclusioni sistematiche e sulla divisione della società in vincitori e perdenti. Pertanto, questa realtà materiale smentisce invariabilmente qualsiasi pretesa astratta di universalismo. La società produttrice di merci è, infatti, universale, ma solo nel senso che la sua dinamica sociale schiacciante e onnicomprensiva è riuscita a imporsi sull'intero pianeta. Inoltre, allo stesso tempo, si tratta di un universale che, in qualsivoglia senso positivo, è reale solo per una minoranza distintamente particolare: solo una porzione relativamente piccola della popolazione mondiale può, sotto i dettami della produzione di merci, vivere qualcosa che assomigli a una vita ragionevolmente adeguata e sicura, e perfino godere anche del più rudimentale accesso a ciò che viene promesso in qualsiasi Carta dei diritti umani. E questo stile di vita strettamente minoritario, tutt'altro che universale, poggia contemporaneamente sul saccheggio spietato delle risorse naturali del mondo.
Intrapreso sulla scia della cesura del 1989, il tentativo di stabilire un cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale sotto l'egida della democrazia e dell'economia di libero mercato, era di per sé destinato a portare al disastro. Una volta che i progetti di una modernizzazione statale-capitalistica di recupero - che era stata condotta sotto gli auspici ideologici del socialismo - erano falliti, la conseguente offensiva neoliberale degli anni '90 lasciava, a sua volta, una scia di devastazione in ampie parti del mondo. Sulle rovine di questi tentativi falliti di modernizzazione, sono sorti regimi cleptocratici e autoritari i quali, spesso insieme a movimenti religiosi fondamentalisti, hanno contribuito anche loro alla progressiva disintegrazione delle società cui avevano fornito il loro terreno iniziale. Quando le tendenze scatenate da queste società effettivamente fallite, sono diventate troppo minacciose per gli interessi dei potenti stati occidentali, il risultato è stato l'intervento militare diretto. Ma questo il più delle volte non ha fatto altro che peggiorare la situazione: si veda, soprattutto, l'invasione statunitense dell'Iraq del 2003, che ha solo devastato ulteriormente un paese già martoriato, destabilizzando l'intera regione e facendola precipitare in uno stato di guerra ancora più prolungato.
Anche il regime di Putin è emerso in quanto risultato della disastrosa trasformazione neoliberale e radicale del mercato della Russia, però con la significativa differenza che esso è riuscito a ripristinare una relativa stabilità nel paese. Putin è stato in grado di contare su forze significative all'interno degli apparati di sicurezza e militari, ed è riuscito in gran parte a portare sotto il suo controllo i cosiddetti oligarchi russi, i quali si erano arricchiti a dismisura nel corso delle privatizzazioni selvagge degli anni '90. Anche se a questi oligarchi è stato permesso di continuare a fare affari, essi hanno dovuto riconoscere l'autorità dello Stato, e a cedere parte dei loro profitti al fine di produrre legittimità per il regime. Con l'aumento dei prezzi dell'energia, i salari nel grande settore statale avrebbero potuto ancora una volta essere pagati in tempo, così come sarebbe stato con le pensioni e con alcuni trasferimenti sociali. Le infrastrutture sono state modernizzate, quanto meno nei centri abitati della Russia.
Ciò spiega la durevole popolarità ottenuta da Putin; che egli si è assicurato sopprimendo l'opposizione e intraprendendo una ristrutturazione autoritaria dello Stato e della società. Ma è riuscito anche a conquistare un ampio sostegno popolare promettendo di riportare la Russia al suo antico status di grande potenza, destinata a dominare un'«Unione Eurasiatica». Alla base di questa ideologia si trova, chiaramente, la spinta a vendicare e placare l'ignominia profondamente sofferta, che la caduta dell'impero sovietico e il successivo periodo di trasformazione del libero mercato ha evocato in molti russi. È questa la base soggettiva della megalomania nazionalista pro-Putin, che corrisponde anche a un profondo risentimento nei confronti dell'«Occidente».
Gli sforzi per spiegare l'assalto all'Ucraina come se si trattasse di una reazione a presunte provocazioni della NATO, o degli Stati Uniti, sono fuorvianti e inadeguati. Il ricorso all'aggressione vera e propria, da parte di Putin, obbedisce a una spinta assai diversa, più profonda, la quale può senz’altro essere stata rafforzata dalla politica estera occidentale, ma non è stata generata da essa. Spesso sono proprio i contendenti che perdono nella competizione capitalistica a livello di Stati e Imperi (o quei contendenti che si sentono perdenti), a mobilitare le energie più forti e regressive - energie volte a ripristinare uno status precedentemente potente, o almeno volto a vendicarsi dei vincitori (o dei loro delegati) - anche al prezzo della distruzione reciproca. Questo aiuta anche a spiegare la grande popolarità di Putin tra le file, sia della destra che dell'estrema destra in tutto il mondo. Il loro risentimento si nutre di pulsioni assai simili. Nasce da rancori guidati dall'identità, e a loro volta causati dalla perdita, reale o percepita, di una posizione di potere nella società.
Il pronunciato maschilismo rappresentato da Putin, va visto anche in questo contesto, poiché la perdita di potere ha un impatto sull'identità; la quale identità si situa al centro del soggetto maschile nella società borghese, definita principalmente dall'autoaffermazione nella competizione a 360°, e assicurata dalla costruzione di una femminilità subordinata e immaginata per rappresentare il polo esattamente opposto di questa forma maschilista di formazione del soggetto. Molti uomini nel mondo continuano a reagire con estrema aggressività rispetto all'indebolimento di tale gerarchia binaria di genere, realizzato grazie ai movimenti femministi, e a partire dai cambiamenti economici strutturali degli ultimi decenni. Qui a essere in gioco, è il nucleo più intimo di questo senso mascolino di sé, che viene difeso apertamente, come può essere visto in maniera lampante nello spaventoso aumento, in tutto il mondo, della violenza sessualizzata. Anche in questo senso, Putin rappresenta una figura ideale per quegli uomini che si auto-identificano in questo modo regressivo. Simbolizza e personifica il maschio perdente che combatte contro la dissoluzione della gerarchia di genere borghese, ma che è tuttavia politicamente e militarmente abbastanza potente da condurre questa lotta con successo. Ad ogni modo, questa visione del mondo regressiva che combina autoritarismo e maschilismo a una politica identitaria di aggressione, non si contrappone esteriormente ai così tanto invocati valori di democrazia e di libertà, bensì, piuttosto, forma, per così dire, il loro rovescio irrazionalista. È urgente tenerlo presente, soprattutto in riferimento all'attuale conflitto in Ucraina. Nella misura in cui il pubblico occidentale è persuaso che quest'ultimo debba essere interpretato come se fosse il semplice scontro di due sistemi di valori opposti, avviene che la minaccia autoritaria viene fatta apparire, falsamente, come un qualcosa di alieno che irrompe dall'esterno nel mondo delle democrazie liberali. Uno sguardo al movimento di massa di estrema destra, apertamente autoritario e neofascista guidato da Trump nei sedicenti Stati Uniti liberal-democratici - un movimento che è pronto a prendere il controllo del Senato degli Stati Uniti al più tardi quest'anno, e molto probabilmente anche quello del ramo esecutivo del governo federale nel 2024 - basta a dimostrare quanto tutto questo sia illusorio. Quella che è una visione eufemistica della democrazia liberale, promuove così diverse tendenze preoccupanti. In primo luogo, la tendenza a una sorta di spettacolarizzazione culturale speculare del conflitto; parlare di "valori occidentali" è già di per sé problematico, in quanto suggerisce, falsamente, che posseggono un carattere culturalmente specifico. In secondo luogo, una tendenza sempre più accentuata alla chiusura e l'autoisolamento delle società del nucleo capitalista; e da qui un'enfasi ancora più rigidamente difensiva sulla sorveglianza delle frontiere, in combinazione con ulteriori altre esacerbazioni della demagogia nazionalista. E terzo, infine, la vera e propria militarizzazione della società (per esempio, attraverso politiche di riarmo interno e spese militari ancora maggiori) insieme a una concomitante ri-mascolinizzazione, che appare già evidenziata nella sensazionalistica “eroicizzazione” della resistenza ucraina, da parte dei media popolari.
La battaglia contro l'autoritarismo non può essere vinta in questo modo. Al contrario, seguendo questo percorso, le società del cosiddetto Occidente finiscono per assomigliare sempre più a quello che dovrebbe essere il loro nemico stesso, esteriorizzato; cosicché, in tal modo, il presunto universalismo dei valori liberal-democratici si dimostra ancora una volta una menzogna. Le libertà relative, offerte dalla vita nei centri capitalistici, devono, sicuramente, essere difese contro ogni minaccia autoritaria. Ma ciò può essere fatto solo liberando tali forme di vita dalla logica della società della merce, e quindi spingendole oltre sé stesse. Ciò che è necessario, è la solidarietà transnazionale di tutte quelle forze sociali che aspirano a difendersi dall'autoritarismo e allo stesso tempo la fine della radicale “marketizzazione” del mondo. Il nostro bisogno più urgente, è avere un nuovo universalismo dell'emancipazione sociale.
- Norbert Trenkle - Pubblicato il 7/4/2022 su Jungle World -
Fonte: Krisis
Nessun commento:
Posta un commento