Quaderno Spinoza è la raccolta degli appunti e delle annotazioni che nel 1841 il giovane Karl Marx dedica allo studio del Trattato teologico-politico e delle Lettere di Baruch Spinoza. Questo volume non solo rappresenta la testimonianza diretta che Marx approfondisce il pensiero del filosofo olandese, ma soprattutto dà prova dell’influenza che la filosofia spinoziana ebbe nella maturazione della riflessione filosofico-politica dello stesso Marx. Attraverso lo studio del pensiero politico dell’olandese in Marx germoglia il concetto di democrazia radicale che maturerà nella sua riflessione successiva, così come sviluppa la critica nei confronti della religione ebraica e l’affermazione della libertà di espressione. Tutte tematiche che Marx eredita e sviluppa seguendo le tracce della teoresi di Spinoza. All’attualità e alla rilevanza che questi studi hanno nel panorama filosofico contemporaneo si deve l’idea di questa nuova edizione ampliata: essa infatti comprende sia i frammenti marxiani del Trattato teologico-politico, già editi da Bollati Boringhieri, ma anche quelli delle Lettere, inediti prima d’ora in Italia.
(dal risvolto di copertina di: Karl Marx, "Quaderno Spinoza". Bompiani pagg. 304, €20 )
C’è geometrica potenza tra Spinoza, Marx e il ’900
- Negli appunti e note che il filosofo tedesco dedica al pensatore olandese germoglia il concetto di democrazia radicale che approda fino a Piperno -
di Maurizio Ferraris
«Coniugare la terribile bellezza del 12 marzo a Roma con la geometrica potenza di via Fani diventa la porta stretta attraverso cui può crescere o perire il processo della sovversione in Italia». Così Franco Piperno in un celebre commento al rapimento di Aldo Moro nel 1978 e con un richiamo agli scontri durante una grande manifestazione del 12marzo 1977. Il sintagma «geometrica potenza» era destinato a fare epoca, e per strano che possa apparire è legato da un file tenace con questo Quaderno Spinoza di Karl Marx, a cura di Ludovica Filieri con una postfazione di Alexandre Matheron.
Il Quaderno Spinoza è un'opera di Marx nella stessa misura in cui Fountain è un'opera di Duchamp. Nei primi mesi del 1841 il ventitreenne Marx in procinto di laurearsi su Democrito ed Epicuro, e desideroso di intraprendere una carriera universitaria prepara una serie di quaderni su Leibniz, Hume, Spinoza e Rosenkranz (immagino in veste di autore della storia della filosofia kantiana), che erano filosofi su cui verteva l'esame di dottorato a Berlino. Per quanto riguarda il Quaderno Spinoza, si tratta di un collage di estratti letterali dal Trattato teologico-politico, con interventi minimi di Marx che aggiunge un nam o un itaque per collegare pezzi separati, e di estratti dall'epistolario che però Marx fece trascrivere, secondo l'uso dell'epoca, da un copista. Banalmente, in tempi anteriori non dico alla rete, ma alle fotocopie, gli esami si preparavano così, con tanto olio di gomito.
Alexandre Matheron, illustre spinozista francese, dà conto nella postfazione della fedeltà e infedeltà del collage di Marx, mentre nella sua ampia prefazione Ludovica Filieri espone di un apparente paradosso. Benché a parere di molti e autorevoli specialisti (e suo personale) la presenza di Spinoza in Marx non sia di grande rilevanza, è innegabile che una stagione decisiva del marxismo novecentesca, quella di Althusser e Balibar, e di Toni Negri (e, per il suo tramite, di uno che marxista non era, Deleuze) ha saldato un legame tra i due (filosofi, ebrei, rivoluzionari, maledetti e materialisti) che il giovane Marx che si preparava al concorso di dottorato non poteva sospettare.
È quel legame retrospettivo, quella teleologia che retroagisce sulla archeologia, che ha dettato ad Althusser la sentenza secondo cui il cui solo vero precursore di Marx sarebbe appunto Spinoza (e non Hegel, tanto sospettato in tempi di strutturalismo quanto Spinoza era amato per via dell'ordine geometrico), e che ha ispirato a Deleuze le vie della rivoluzione desiderante e antimarxista dell'Anti-Edipo (1972) ricondotta nell'alveo di un marxismo aggiornato da Negri in L'anomalia selvaggia (1981). Tra una date e l'altra, molto dopo la prima e poco prima della seconda, abbiamo appunto il richiamo alla «geometrica potenza» di Piperno, preludio di un'altra tardiva apparizione, non spinoziana ma deleuziana, la «gioiosa macchina da guerra» organizzata da Achille Occhetto nel 1994 e sbaragliata dal molto più bellicoso e libidinale Berlusconi.
Cosa cercano i marxisti di fine secolo in Spinoza? Proprio la gioia e la potenza geometrica. Innestando nell'ascetismo marxista e rivoluzionario i motivi del desiderio, e nello storicismo le ragioni della struttura e della geometria, cercavano di rendere più appetibile, in Occidente, una rivoluzione che stava mostrando le corde nei paesi del patto di Varsavia, ed entrava nel suo ultimo decennio di vita, sopraffatta, molto più che dai colpi del cattolicesimo di Wojtyla, da quello che (con un'altra frase destinata a fare epoca) fu definito «edonismo reaganiano». Nei decenni precedenti questo tentativo di restyling era stato condotto con la riscoperta del giovane Marx umanista, quello dei Manoscritti del 1844, di poco successivi al Quaderno Spinoza, dunque, ma che mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio quanto poco Spinoza avesse, almeno al momento, attecchito in Marx.
Tuttavia, tanto la riscoperta del Marx umanista quanto l'invenzione di un Marx desiderante rispondevano alla stessa necessità: aggiornare la rivoluzione e la sua possibilità in Occidente. Il Marx umanista veniva incontro agli studenti borghesi del Sessantotto, quello desiderante si rivolgeva a una classe operaia non più disponibile a fare sacrifici (e meno che mai per instaurare un regime marxista). e che era entrata piuttosto nello stato d'animo recensito da Nanni Balestrini in Vogliamo tutto (1971), un tutto che, nelle parole del protagonista, significa «voglio i blue-jeans, voglio andare al cinema voglio mangiarmi la pizza fuori».
È anche l'epoca in cui, del tutto contemporaneamente con questi assunti, a Marx si comincia ad associare Nietzsche e Freud. Il cambiamento si può schematizzare come segue. Tradizionalmente, il marxismo era partito dal principio per cui la classe operaia, reale protagonista della storia in quanto reale protagonista dei rapporti di produzione, era portatrice in quanto tale di un messaggio rivoluzionario. La riscoperta del Marx umanista avveniva invece a beneficio della borghesia studentesca. E la proposta del Marx spinozista e desiderante era l'aggiornamento della rivoluzione a vantaggio di una classe operaia che, messo da parte l'ascetismo rivoluzionario, esprimeva i valori dell'eroe di Balestrini: «Io. la superiorità la misuravo in base alle cose. In base al blu-jeans in base alla maglietta in base al giradischi e basta. Non la misuravo in base a quelle cazzate che m'insegnavano a scuola».
Quanto dire che il desiderio è, come tale, rivoluzionario, e anche il consumo può esserlo. Di nuovo, un'intuizione che sta alla base di un'altra opera di Balestrini, che celebrava gli assalti ai supermercati di New York durante il blackout del 1977 nel poemetto omonimo. Il che, ovviamente, poneva un problema, quello di una classe rivoluzionaria caratterizzata appunto dal prevalere del desiderio sul progetto, e del consumo sulla produzione. E il problema è rimasto tale per decenni, aggravato dalla prospettiva scomparsa della classe operaia e dalla necessità di cercare delle scintille rivoluzionarie in movimenti che manifestavano ambizioni diverse e dissonanti, dalla rivoluzione degli ayatollah in Iran per cui si infiammò Foucault all'entusiasmo con cui Toni Negri - in opere che, come Impero (2000) e Moltitudine (2004), hanno fatto epoca - salutò ogni forma di antagonismo, ormai al di là con qualunque ancoraggio con l'operaismo.
Questa stagione sembra finita, ma la buona notizia è questa: grazie al Web, il consumo (e il desiderio che lo anima) è divenuto effettivamente produttore di valore, perché genera i big data con cui si arricchiscono le piattaforme, ma su cui è perfettamente possibile ipotizzare delle capitalizzazioni alternative, capaci di restituire all'umanità ciò che essa produce, non più come appendice della macchina ma come portatrice di bisogni, di curiosità, così come di odi da tastiera e di follie sparse, ma senza eccezione esclusivamente umane, e perciò economicamente preziose. Come diceva Spinoza? «Non ridere, non piangere, né detestare, ma comprendere»: ecco il compito per l'intelligenza naturale, mentre riso, pianto e detestazione alimentano l'intelligenza artificiale.
- Maurizio Ferraris - Pubblicato su Tuttolibri del 16/4/2022 -
Così Marx copiò Spinoza
- A 22 anni il futuro autore del “Capitale”, affascinato dal grande pensatore olandese, ne trascrisse il “Tractatus”. Ecco come -
di Giancarlo Bosetti
Negli stessi mesi in cui si laureava su Epicuro, che preferiva a Democrito, il giovane Karl Marx, tra i 22 e i 23 anni, il futuro ateo, materialista, rivoluzionario (era allora solo il figlio di un avvocato di Treviri), compilava di sua iniziativa tre quaderni, trascrivendo il Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza, il filosofo olandese che per le sue idee eretiche era stato condannato con una delle più spettacolari sentenze mai emesse da un tribunale religioso. Il consiglio dei rabbini di Amsterdam lo «escludeva, espelleva, malediceva ed esecrava» e così via per un paio di celebri pagine, con la conseguenza che doveva lasciare la città e nessuno doveva avvicinarglisi «a meno di quattro gomiti», come un appestato. La scelta del giovane neolaureato tedesco, nel 1841, confermava uno spirito avverso all’oppressione censoria delle religioni e dell’autorità in generale, e un interesse, forte e mirato, per un filosofo che aveva lasciato una impronta profonda in tutta Europa. Spinoza era scomparso a soli 44 anni nel suo isolamento fisico all’Aia nel 1677, ma il suo nome era tornato in primo piano dopo che sul letto di morte il grande Lessing, più di cento anni dopo, aveva confessato a un amico di essere spinozista. Ne era seguita una celebre discussione innescata da Friedrich Jacobi con Moses Mendelssohn, nota come Pantheismus-Streit (dove panteismo evocava ateismo), che era ancora nell’aria nella prima metà del secolo successivo. Il tema Spinoza continuava dunque a scottare quando il giovane Karl decide di usarlo a piene mani, dando fondo al suo latino e copiandone amplissimi estratti. Trattandosi del futuro autore del Capitale, i suoi quaderni sono entrati nell’opera omnia di Marx ed Engels. E Spinoza ha preso un suo posto nella storia del marxismo, anche se ancora meglio e di più ha continuato a brillare di luce sua fino ad oggi, di fronte per esempio agli sviluppi della fisica quantistica che hanno rimescolato la tradizionale concezione della materia e riportato in primo piano l’idea spinoziana della natura come energia potenza causalità che coincidono con Dio stesso e con la realtà nella sua complessa geometrica perfezione. E non mancano complicati tentativi, su cui molto insiste la curatrice di questo volume Ludovica Silieri, del post-strutturalisno francese di farne un campione dell’emancipazione al posto di Marx, il quale crescendo non è tornato più di tanto sul suo debito con l’olandese, salvo far sua – raccontano i biografi – come una battuta ricorrente, la citazione in cui Spinoza affondava il colpo su un contraddittore colto in fallo: «L’ignoranza non è un argomento!». Gli sforzi di presentare uno Spinoza rivoluzionario si basano sul concetto di «moltitudine», che molto ricorre nel saggio introduttivo, ma in verità negli estratti (dal Tractatus e dalle lettere) “multitudo” compare una sola volta e nel contesto di un ragionamento matematico. Quale fosse il debito e quale il limite dello spinozismo di Marx è stato detto con grande chiarezza da Plechanov, il marxista russo pre-leninista (ripreso qui da Silieri solo in una nota): la stagione Spinoza del giovane Marx è rapidamente evoluta in un ateismo pieno che non aveva più bisogno del corredo teologico del panteismo del Tractatus, del Deus sive natura, perché Marx viene rapidamente attratto dalla prospettiva di Feuerbach, quella per cui la natura non ha alcun bisogno di Dio, perché esso è una proiezione umana, non il creatore perché creatori siamo noi attraverso un processo di «alienazione», la madre di tutte le alienazioni, che ritroveremo poi nello sviluppo del marxismo, tra lavoro e capitale. Non più dunque «Deus sive natura, ma aut Deus aut natura». Il Quaderno Spinoza ora riproposto ha il testo latino a fronte e consente di cogliere questa fase del giovane Marx attraverso il duro lavoro di Alexandre Matheron (il cui saggio era già nella precedente edizione, Bollati Boringhieri, 1987, a cura di Bruno Bongiovanni), lo specialista francese che ha ricostruito il lavoro di ritaglio, cucitura e «montaggio» (attraverso congiunzioni, itaque, igitur, scilicet, etc.) che Marx fa del testo del Tractatus, mostrando chiare intenzioni e predilezioni: la critica naturalistica dei miracoli, la religione e la fede come strumenti politici che inducono obbedienza (tema che Marx svilupperà ne La questione ebraica), il potenziale emancipativo della libertà e della democrazia, come il sistema di governo più conforme alla libertà degli individui, concetto quest’ultimo su cui Spinoza insiste e che Marx fa suo in questa fase. Poi rapidamente comparirà nel 1847 l’idea della presa del potere da parte del proletariato.
- Giancarlo Bosetti - Pubblicato su Robinson il 16/4/2022 -
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