Una novella, dagli echi autobiografici, ad un tempo idillio domestico e ritratto storico di un'epoca disordinata. In un interno borghese, alla metà degli anni Venti, mentre l'inflazione incontrollata compromette la quotidianità di casa Cornelius, fra capricci e ristrettezze, una scoppiettante festa da ballo conoscerà un singolare esito, che metterà la famiglia dinanzi a complessità e turbamenti inattesi.
(dal risvolto di copertina di: "Disordine e dolore precoce", di Thomas Mann. Henry Beyle Edizioni, pagg. 175, € 36)
Piccola Lorchen tirata in ballo
- di Nicola Gardini -
L'editore Henry Beyle riporta in libreria il racconto di Thomas Mann Disordine e dolore precoce, in una nuova traduzione di Renata Colorni. Difficile trovare nella letteratura novecentesca esempio che illumini con chiarore più intenso l’essenza della forma racconto (o se si preferisce, della forma novella). Il racconto, a differenza del romanzo, fa moltissimo con poco, e ci riesce grazie a un esercizio metodico dell’ambiguità, dell’omissione e della diffrazione, che sono poi i procedimenti della poesia. La trama di quest’operina del 1925 (concepita fin dal 1912), a ragione annoverata dai più attenti tra i capolavori di Mann, è presto riassunta. Nella casa del professor Cornelius, ai tempi dell’agghiacciante inflazione, si tiene una festicciola; la figlia più piccola del professore, Lorchen, una bambina di cinque anni, è trascinata nelle danze da un amico dei fratelli adolescenti, Max, un bel ragazzo, spigliato e civettuolo, e questo basta a sconvolgerle il cuore e a precipitarla, dopo il distacco, in una crisi di disperazione. La piccolina si è molto probabilmente innamorata del giovane, che solo per scherzo, prima di passare a una coetanea, ne ha voluto fare la sua dama; ma, essendo ancora tanto inesperta, lei traduce il desiderio nel sogno irrealizzabile di averlo per fratello. Occorre, infine, un intervento dello stesso Max perché riacquisti la tranquillità. Tutto avviene in una sera, tra le stanze dei Cornelius. L’unico esterno è quando il professore esce un momento a prendere una boccata d’aria; e, ragionando sul concetto di giustizia (righe meravigliose), arriva alla buca delle lettere.
La novella sembrerebbe, alla luce di questi fatti essenziali, voler portare gli occhi del lettore su quel tenebroso palcoscenico che è l’eros dell’infanzia. E forse è proprio così. Solo in parte, però. Collochiamo la bambina nell’organigramma dei personaggi, che è fatto di geometriche contrapposizioni (i due grandi, i due piccoli, le due donne di servizio etc.), e vedremo che il discorso riguarda più il professore che lei. Il narratore non fa che disseminare e dissimulare richiami all’omosessualità, puntando ora su questo ora su quel personaggio. Non manca neppure un metaforico accoppiamento: la scena in cui il professore lascia che il solito Max si chini ad affibbiargli le soprascarpe, e poi, ringraziandolo per tanta disponibilità, lo esorta a non fiaccarsi troppo la schiena. Tutti si assomigliano, in qualche modo (l’uomo ha un po’ della donna, il padrone un po’ del servo, uomo balla con uomo, donna con donna), e questo assomigliarsi e confondersi vicendevolmente, a dispetto delle distinzioni sociali o degli stessi ruoli familiari, fa sì che nessuno significhi solo sé stesso, ma stia anche per qualcun altro, e solo in qualcun altro coglierà pienamente la propria immagine, come in uno specchio, come in una casa di specchi. Insomma, grosso modo, i personaggi sono tutti simulacri di una medesima psiche e, pertanto, sussistono negli incroci delle reciproche auto-proiezioni. Mann ha preso l’anima del professor Cornelius – professore di storia, si badi – e l’ha materializzata nel corpo e nei modi di un delizioso personaggino femminile, la sua cara bambina, che meglio non potrebbe incarnare l’inconsapevolezza e l’irrefrenabilità delle pulsioni primarie. Ecco, in una specie di allegoria, il conflitto più antico del mondo, quello tra storia e natura. Proprio su questo probabilmente si spostano i pensieri del professore, mentre rientra dalla passeggiata serale (il magistrale narratore si guarda bene dal fornirci dettagli in proposito). Lui, guardando la figlia, vede sé stesso. Intanto, però il narratore – pardon, l’autore – cerca, astutamente, di distrarci proprio da quella visione narcisistica, portando Cornelius a concludere, da bravo papà, che, grazie al cielo, Lorchen domani avrà già dimenticato tutto. A noi, tuttavia, resta da cogliere il sottinteso, che è la vera conclusione, non scritta, del racconto: per me, invece, no; io non dimentico, quell’istinto me lo porto dentro.
L’orchestrazione dei messaggi cifrati, la scomposizione cristallografica dell’io o – per dirla in soldoni – l’arte del doppio senso, è l’aspetto più ammirevole di Disordine e dolore precoce. La scrittura è davvero un’armonia, che esclude il superfluo, e procede sul filo di una specie di venticello, con note lievi, brevi o brevissime, che si trattengono dal costruire melodie troppo cantabili. La traduzione tiene conto di tanta bravura. Già interprete della Montagna magica, Renata Colorni ha saputo misurarsi anche con questo Mann “minore” con la dovuta preparazione, mantenendo il mosaico dei riverberi criptati e ricreando il misto di eleganza e nonchalance che costituisce la grana dell’originale. Inoltre, in un’utile ed elegante postfazione fornisce notizie sulle circostanze della composizione e sugli spunti autobiografici della storia. Un elogio va rivolto senza dubbio anche alla raffinata fattura e ai preziosi materiali del volume (incluse le immagini, applicate a mano), tredicesimo della collana «Opere brevi» delle Edizioni Henry Beyle, vera e propria officina d’arte tipografica (si veda, per ulteriore prova, quello – una delizia – appena precedente, Piante di via Romolo Gessi di Bianca Pitzorno, con una nota di Giuseppe Barbera). In questa collana la Colorni pubblicò un paio d’anni fa il saggio Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura, che racconta la sua lunga pratica del tradurre e, letto ora, servirà da prologo a quest’altro felice risultato.
- Nicola Gardini - Pubblicato su Domenica del 20/3/2022 -
Nessun commento:
Posta un commento