La resilienza secondo Macron
- Gestire il disastro anziché combatterlo -
di Thierry Ribault - 24 aprile 2022
Per la logica macronista, i disastri e le catastrofi sono inevitabili e, malgrado la morte che causano, non si tratta di prevenirli, ma piuttosto di «conviverci». Questa Resilienza, enfatizzata dal governo, mira soprattutto a garantire che i suoi sudditi continuino a essere funzionali senza rimanere paralizzati dal panico o dall'ansia. Per chi riesce ancora a rimanere sorpreso dalla volontà, espressa dal candidato Macron, di spingere ancor di più il modello produttivistica e ipertecnologico, che è in gran parte responsabile dei disastri climatici, sanitari ed energetici in cui ci troviamo, vale la pena ricordare come, da buon collassologo, il presidente uscente non abbia mai avuto alcuna intenzione di prevenire, né i disastri in corso né quelli a venire, ma di consentire a che tutti possano «conviverci». Di fatto, in realtà, l’arrivare a essere più forti di fronte alle difficoltà è un concetto che si trova alla base di quella metafisica statale della sciagura virtuosa che egli incarna. Se si deve credere a quello che si legge sulla relazione riservata della commissione parlamentare sulla resilienza nazionale, pubblicata nel febbraio 2022, «Impegno e Resilienza della Nazione» costituisce il programma di una Repubblica in marcia che ha abbracciato la tesi collassista secondo cui i disastri sono ineluttabili. Sotto il patrocinio della Commissione per la Difesa Nazionale e le Forze Armate, nella persona di Thomas Gassilloud, relatore principale, si tratta di «prevedere gli sconvolgimenti di ogni genere ai quali il paese deve prepararsi», e di educare i cittadini ad essere dei buoni soldati al servizio di una «difesa totale» della nazione. In un contesto di «conflitto generalizzato a ogni spazio» e di «competizione strategica» tra grandi potenze, questi parlamentari infarciti di militarismo chiedono un impegno a favore di un irrigidimento della nazione che può essere raggiunto solo attraverso un indurimento dell'individuo. Preoccupati che mentre «in passato, quando lo sforzo bellico e il suo impatto sulla popolazione francese erano considerevoli, venivano accettati dalla società», oggi invece «l'accettabilità sociale delle crisi e delle difficoltà si è indebolita». In che modo i seguaci di "Resilience En Marche" progettano di adattarci ai disastri?
Elogio del sacrificio
L'incantesimo di resilienza, scagliato dagli autori di questa Relazione, sotto la maschera della solidarietà, comprende l'elogio del sacrificio:
«Centinaia di esempi di eroismo, civile e militare, dimostrano quale sia la resilienza collettiva dei popoli di fronte alle difficoltà - carestie, invasioni, esodi - che illustrano in che modo i membri di una società umana possono arrivare a essere pervasi da un sentimento o da ideali che appaiono più elevati e importanti delle loro stesse vite».
Ragion per cui, eccoci rassicurati circa il futuro, visto che:
«La crisi del Covid-19 ha dimostrato che migliaia di cittadini sono pronti a impegnarsi, anche assumendosi dei rischi».
Ed è anche vero che per i predicatori della Resilienza non si soffre mai invano. Ragion per cui, quindi, non sorprende che, oltre a «stimare il numero di persone che possono essere mobilitate direttamente per contribuire alla resilienza nazionale, cioè gli uomini e le donne suscettibili di intervenire in prima linea in caso di crisi grave», i relatori raccomandano la generalizzazione di un Servizio Nazionale obbligatorio e l'uso dell'uniforme nelle scuole. Così, leggiamo come «per molti giovani e meno giovani, l'abbondanza propria della società dei consumi ha fatto dimenticare la possibilità di una scarsità materiale, e l'abitudine alla comodità ha fatto perdere l'attitudine alla rusticità» con il risultato che oggi abbiamo «una società che assimila assai meno il rischio e il pericolo, e perde in resilienza nei confronti delle avversità». In breve, saremo dei sub-umani obbligati a stare pronti per essere crocifissi nello spazio canonico, in continua espansione, della resilienza. Ovviamente, in questo «mondo in guerra» nel quale veniamo proiettati, e in cui dobbiamo accomodarci a qualsiasi costo, la ricerca frenetica della Resilienza Nazionale assume l'aspetto di una Retorica della Resilienza Nazionale.
La Resilienza, affinché nulla cambi
I rischi e le minacce potrebbero provenire da dovunque: dalla guerra dei minisatelliti a bassa orbita, essenziali per la diffusione del 5G, alla «minaccia di un attacco informatico», alla crisi climatica, all'emergere di epidemie di malattie infettive che colpiscono gli esseri umani, ai guasti relativi ai servizi internet, ai tentativi di destabilizzazione tramite la disinformazione, o alle aggressioni dirette. Si tratta di identificarle tutte, senza mai però mettere in discussione le loro cause. Ma quando si tratta di ciò per cui potremmo effettivamente fare qualcosa, c'è invece un grande silenzio. faremo tutti parte delle forze vive della resilienza nazionale in modo da salvare il 5G, e non per garantire che tutti in Francia abbiano un tetto sopra la testa e abbastanza da mangiare. Per quanto riguarda la lezione della «crisi sanitaria», consiste nella necessità di essere solidali, e non di lottare per avere abbastanza letti d'ospedale quando arriverà la prossima pandemia annunciata, ma bensì, come dice la Relazione, di «rafforzare significativamente la nostra autonomia in termini di produzione industriale e di approvvigionamento». In effetti, a cosa servirebbero i letti supplementari in un contesto in cui «la crisi sanitaria ha dimostrato la notevole capacità del nostro paese di resistere alle conseguenze della catastrofe», in particolare grazie al «dinamismo della società civile» e a dei «servizi pubblici sviluppati ed efficienti»?
Analogamente, per quanto gli autori sottolineano con forza il ruolo avuto delle attività umane nell'«accelerazione della frequenza delle epidemie», in particolare, per quanto riguarda l'allevamento industriale e l'urbanizzazione sfrenata, anche qui propongono la Resilienza unicamente come arma per mettere in atto un adattamento massiccio agli effetti dei disastri. Non solo il modello di allevamento in fabbrica non viene affatto messo in discussione, ma la sua espansione è incoraggiata tramite azioni di biosicurezza: contenimento, vaccinazione, distruzione delle mandrie. In maniera simile, come risposta al cambiamento climatico, i Resilienti in Movimento ripiegano sull'energia nucleare, che pur riconoscendo che essa «comporta inevitabilmente dei rischi industriali, sanitari e ambientali», dev'essere «accompagnata da ulteriori requisiti di prevenzione degli incidenti e di resilienza in caso di incidente», sostituendo così la fatalità dei rischi legati all'atomo a quelli legati al riscaldamento globale. Perché Resilienza significa governare dentro la fatalità dei disastri, senza mai chiedersi se un adattamento sia davvero opportuno.
La promessa della violenza
Per i relatori: «Abbiamo tutti il dovere di rendere consapevoli i nostri concittadini del fatto che il mondo che li circonda è un mondo violento e che saranno coinvolti molto rapidamente in questa violenza, qualunque cosa accada». Una volta seminato questo vento di panico, ci prescrivono di «evitare che nella popolazione giovanile venga instillata una paura del futuro», perché : «se questo futuro viene percepito come ostile, come minaccioso, esso diventa assai problematico [...] la propensione all'ansia e alla frustrazione delle attuali generazioni tende a ridurre la nostra Resilienza collettiva a una grave situazione di crisi». In questo edificante esercizio di doppio pensiero, dove dobbiamo contemporaneamente avere paura e smettere di avere paura, si tratta quindi di far evaporare quest'ansia che i leader temono così tanto, per prepararci meglio al peggio, e senza mai rivoltarsi contro le sue cause.
Il recente «Piano di resilienza economica e sociale» proposto per affrontare l'impennata dei prezzi dell'energia nel contesto della guerra in Ucraina, è pienamente in linea con questo governo della paura della paura: la funzione principale dello sconto direttamente alla pompa di benzina, è quella di soffocare qualsiasi desiderio di rivolta. Meglio avere dei francesi ultrà-resilienti, piuttosto che che gli «ultrà-gialli»; tanto per riprendere e usare la terminologia dei parlamentari. Lo «scudo tariffario» è un palliativo temporaneo, aspettando che arrivino gli scudi della CRS. Proprio così come a Fukushima, dove le autorità hanno chiesto alla popolazione di partecipare alla gestione del disastro, decontaminandosi in modo da imparare così a non avere paura della radioattività; ora, per farli calmare si vuole domandare ai francesi di cogestire le catastrofi, tirandosi su per i lacci delle scarpe: «Il vostro relatore ritiene che sia essenziale che, in Francia, la popolazione venga messa nella posizione di attore e non di consumatore, come quando eravamo incoraggiati a fare da soli le maschere sanitarie. Questo coinvolgimento potrebbe, a sua volta, ridurre la sensazione di ansia, persino di angoscia, provata».
Questo governo per mezzo della paura della paura è coerente con l'abbandono del principio di precauzione, che viene qui considerato «onnipresente», «abusato», e che contribuirebbe a «dare il primato all'emozione e all'irrazionalità». Per cui i relatori chiedono un cambiamento collettivo in quello che è il nostro rapporto con il rischio: «Passando da un principio di precauzione a un principio di resilienza, che verrebbe a basarsi su un approccio beneficio-rischio percepito come più flessibile e dinamico».
Coscienti del fatto che «la comunicazione del governo è una questione fondamentale nella buona gestione di una crisi», i Resilienti di "En Marche" confermano che l'amministrazione dei disastri, vale a dire, la cogestione generalizzata dei disastri e dei loro danni, è indissociabile dall'amministrazione dei sentimenti e delle emozioni a tal riguardo. Infatti la morale della favola della resilienza è sempre la solita: è inutile arrabbiarsi, bisogna «resiliare» in tempo.
- Thierry Ribault - 24 aprile 2022 -
fonte: Et vous n’avez encore rien vu… Critique de la science et du scientisme ordinaire
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