mercoledì 5 dicembre 2018

L’abisso

schmitt

Nessuno sa che cosa si dissero Jacob Taubes e Carl Schmitt le poche volte che, a coronamento di un fitto scambio epistolare, si incontrarono di persona in casa di Schmitt a Plettenberg, sul finire degli anni Settanta. Quel che è certo è che quei dialoghi, ricordati dal primo come «veementi» e dal secondo come gli unici ormai in grado di agire in lui con la forza dirompente di un esplosivo, rappresentarono il delicatissimo punto di tangenza tra due visioni del mondo che la storia aveva messo «ai lati opposti delle barricate»: da una parte quella del rabbino apocalittico della rivoluzione, ispiratore occulto della rivolta studentesca del '68; dall'altra quella dell'anziano e del tutto isolato giurista cattolico della controrivoluzione. E dopo anni di esitazioni, in Taubes la volontà di comprendere prevale infine su quella di ergersi a giudice: comprendere, innanzitutto, perché uno dei pensatori «più significativi e intelligenti» del suo tempo, perseguitato dalla «questione ebraica», fosse stato risucchiato dal «guazzabuglio hitleriano». Come testimonia questo libro, che raccoglie tutti i materiali nati da quel confronto, il risultato è sorprendente: più che di nazismo, i due discutono di «teologia politica», di Thomas Hobbes, di san Paolo, di Walter Benjamin, di 'katechon' e messianismo, con il lucido intento di interrogarsi sui presupposti più profondi delle rispettive posizioni - e il lettore scoprirà, pagina dopo pagina, echi e corrispondenze in grado di illuminare alcuni punti nodali del Novecento europeo.

(dal risvolto di copertina di: "Ai lati opposti delle barricate. Corrispondenza e scritti 1948-1987" di Jacob Taubes, Carl Schmitt. Adelphi)

Il rabbino scrisse all’ex nazista: “Mi fai ribrezzo, ma ti ammiro”
- di Marco Filoni -

Un confine, un limite invalicabile. Da un lato Jacob Taubes: ebreo, rabbino, fautore di un messianismo apocalittico e dal sapore vagamente anarchico, negli anni Settanta del Novecento simpatizzante dell’estrema sinistra. Dall’altro lato Carl Schmitt, il giurista del Führer: il più acuto filosofo tedesco della politica e del diritto, processato a Norimberga, che al pentimento preferì l’isolamento, optando per l’ardua coerenza delle sue scelte e del suo pensiero. Eppure qualcosa spinse il primo, Taubes, a oltrepassare la linea. A scegliere come interlocutore proprio quello «spirito antico» che era Schmitt, il quale come scriveva lo stesso Taubes «tra il 1933 e il 1938 si fece portavoce di quell'ideologia manichea del nazionalsocialismo che mitizzò l'ebreo come sterminatore della razza ariana». Non fu semplice superare le resistenze, come dimostra ora il carteggio fra i due (al quale sono stati aggiunti molti materiali per una superba edizione curata, in italiano, da Giovanni Gurisatti) che Adelphi manda in libreria con il titolo "Ai lati opposti delle barricate. Corrispondenza e scritti 1948-1987".
Un incontro sul quale molto si è detto e scritto. E che per molti è stato scandaloso - uno scandalo che, come scrivono i curatori tedeschi, va «colto nella circostanza che entrambi i corrispondenti sono stati personalità intellettualmente o moralmente controverse ( e proprio per questo anche oltremodo interessanti): Schmitt a causa delle sue (per quanto complesse) relazioni con il nazismo, Taubes semplicemente per il suo stile di vita».
Ora grazie a questo volume ne sappiamo molto di più. Le prime lettere, di carattere tecnico, risalgono alla metà degli anni Cinquanta; ma sarà soltanto fra il 1977 e il 1980 che avverrà uno scambio vero e proprio, culminato in tre visite che Taubes farà a Schmitt nella casa dove viveva, isolato, a Plettenberg, in Vestfalia.
Taubes avvertiva un'intima «naturale» repulsione per Schmitt. Eppure il solco che stava percorrendo (la teologia politica) era quello tracciato dal «nemico». Il quale dalla Germania negli anni Cinquanta, inviava i suoi scritti al giovane futuro corrispondente che insegnava in America. Taubes «legge ogni riga», ma non risponde. «La parola traccia cerchi, traccia anelli - anche se gli organi ufficiali non vogliono ammetterlo. Sull'altra sponda c'è sempre qualcuno che aspetta il Suo messaggio in bottiglia - anche se tace»: così alcune righe di Taubes che arriveranno al tedesco. E anche quando il rabbino tornerà in Germania, a Berlino come docente, sarà più volte tentato. Come nel 1967: aveva invitato il filosofo Alexandre Kojève a tenere una conferenza, dopo la quale gli domandò cosa avrebbe fatto: vado - gli rispose questo - a parlare con l'unico che val la pena incontrare oggi in Germania, vado a Plettenberg. «Guarda un po'. ho pensato. Insistono da vent'anni perché io ci vada e Kojève, che considero il filosofo più importante, ci va.». Eppure dovranno passare ancora una decina d'anni prima che Taubes, finalmente, porgerà a Schmitt «la mano al di sopra di un abisso».
Vincere la ritrosia, per Taubes, (nonostante «io appartenga a coloro che egli marchiò come "nemici"», significava evidentemente tentare di capire. Comprendere perché Schmitt, come anche Heidegger. ovvero «i due pensatori più significativi e intelligenti» la cui «potenza intellettuale sovrasta di gran lunga qualsiasi scarabocchio intellettuale» si siano fatti risucchiare dal «guazzabuglio hitleriano».
Vi è un solo drammatico passo, messo in luce da Gurisatti nel bel testo che introduce il volume, nel quale il rabbino rivela lo spirito con il quale si appresta ad andare a trovare l'ex nazista: «Possiamo solo sperare che a tu per tu, anche nel non detto, ci riesca di poter fissare forse un frammento, un solo lembo di verità». Non sappiamo molto di quegli incontri: Taubes ringrazierà il tedesco per aver parlato degli «errori commessi». Eppure proprio lui, che solitamente non si risparmiava in aneddoti e qualche civettuola maldicenza, proprio sulle visite a Schmitt rimase stranamente riservato. Poco prima di morire scrisse che «furono sconvolgenti, ma non posso parlarne; in parte sono coperti dal segreto confessionale (non che io sia un sacerdote, ma vi sono cose che vanno trattate come se lo si fosse realmente)».
Ora grazie a queste pagine possiamo cogliere il tenore del nostro rapporto, la «divergente convergenza» fra due spiriti, nonostante tutto, affini. E possiamo scorgere l'abisso oltre il quale viene tesa la mano di Taubes. Il quale, parlando del suo «incomparabile maestro politico», scriverà: «A me egli si è rivolto come un apocalittico della controrivoluzione. E in quanto apocalittico mi sono sentito, e mi sento, a lui affine. I temi sono comuni, anche se ne abbiamo tratto conclusioni opposte... Sapevamo di essere nemici acerrimi, ma ci capivamo benissimo. Eravamo consapevoli di una cosa: di parlare allo stesso livello - è questo è molto raro».

- Marco Filoni - Pubblicato sulla Stampa del 1° dicembre 2012 -

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