martedì 18 dicembre 2018

Il Vaso e la Goccia

Giacomo-Balla-1913-The-Speed-of-an-Autumobile

Riflessioni provvisorie sui Gilet Gialli
- scritte da dei comunisti riuniti nell'intervallo fra il IV ed il V Atto -

1 - Il «popolo» e il prezzo al litro
È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un aumento delle tasse sul carburante, che ha fatto esplodere la rabbia di coloro che sopportano il peso maggiore dello smantellamento dello stato sociale. Ma perché la goccia è stata quella dell'aumento delle tasse sul carburante, e non quella del codice del lavoro stabilito dalla legge El Khomri, poi peggiorata dalla legge Macron, oppure quella della privatizzazione delle ferrovie?
Perché un serbatoio vuoto equivale ad un arresto domiciliare. Per gli individui che vivono relegati nelle periferie dello spazio sociale, ai loro margini periurbani e rurali, l'automobile è l'ultima garanzia di una socializzazione residuale. Permette di poter «uscire» dalla zona. In queste condizioni, non è affatto raro che l'auto venga percepita come un fattore centrale di socializzazione.
Indossare un gilet giallo. significa uscire da un'invisibilità fino ad allora subita, all'inizio sulle rotatorie e sui caselli dei pedaggi per rescindere il legame, e poi convergere sui centri urbani, sulla capitale sul suo cuore simbolico: gli Champs-Elysées. L'esperienza economica della socializzazione viene vissuta come un oltraggio, tanto più scandaloso quando si sa che proviene da qualcosa come «il popolo», nel senso di «quelli che stanno in basso», quelli che non riescono a far parte di nessuna delle due estremità. Dappertutto - in una capitale che viene improvvisamente occupata da degli individui e da dei gruppi che non vi avevano mai messo piede - tag e slogan fanno riferimento alla Rivoluzione francese. L'unica tradizione rivoluzionaria che sembra permettere di ricostruire un immaginario politico comune non ha niente in comune con il movimento operaio; attinge alla narrazione nazionale sulla rivoluzione fondante del 1789. Bisogna indubbiamente fare attenzione a non sovra-interpretare l'onnipresenza della bandiera francese e l'incessante riproposizione della Marsigliese nei blocchi, nei cortei e nelle rivolte. Quando i primi risultati del sondaggio ci dicono che solo il 12,7% dei gilet gialli intervistati si dichiarano di destra, e il 5,4% di estrema destra [*1], ecco che questi simboli nazionali possono anche essere visti come se fossero delle insegne sbandierate per difetto, in quanto sono le uniche che vengono condivise, e ciò avviene come per rivendicare una forma di anonimato politico, nonché una rottura con i partiti e con i sindacati esistenti. Stando così le cose, questi riferimenti alla nazione rivoluzionaria indicano che il declino dell'identità operaia a partire dalla fine degli anni '70, per gran parte del proletariato, implica una rimozione della storia del movimento operaio. Il momento in cui si richiama alla memoria, che accompagna ogni lotta, qui porterebbe quindi il movimento dei Gilet Gialli a risvegliare un passato più lontano.

2 - Nazione e auto-organizzazione
Di conseguenza, l'identificazione con una tradizione rivoluzionaria che oppone il popolo al Re Macron non implica che l'insieme del movimento si costruisca intorno all'affermazione di una comunità nazionale preesistente che - si sa - ha bisogno del suo supplemento razzista per potersi ancorare ad un territorio e ad una genealogia immaginaria. È l'ingiustizia sociale, nel senso più immediato dell'esperienza delle degradate condizioni materiali di esistenza, che la più parte dei gilet gialli assume come bersaglio [*2]. Il movimento è nato da una critica delle tasse sul consumo, per poi dispiegarsi verso delle nuove rivendicazioni, soprattutto una redistribuzione più equa delle ricchezze (ristabilire la patrimoniale) ed un miglioramento delle condizioni salariali (indicizzazione dei salari rispetto all'inflazione, aumento del salario minimo...). Per ora, nel movimento, questo spostamento verso i salari e le condizioni di lavoro non è egemonico, segnato com'è da una ridefinizione della soggettività politica, non più come salariale, ma in primo luogo come consumatore-cittadino.
Il principale interlocutore deli gilet gialli non è la classe capitalista ma lo Stato che redistribuisce male la ricchezza. Il bersaglio non è il reddito, benché molto visibile nell'esplosione dei prezzi degli affitti, ma la tassa, vissuta come un intervento illegittimo dello Stato macroniano sull'economia dei «piccoli». È soprattutto intorno a questa denuncia della tassa che convergono soprattutto i lavoratori salariati, gli operai, gli artigiani, i piccoli borghesi, i capitalisti e, in misura assai minore, quadri e membri della classe dirigente. La causa di quest'ingiustizia sarebbe la mancanza di democrazia, perfino la strumentalizzazione politica degli strumenti democratici ai fini della difesa di una casta di privilegiati. Gli sparuti slogan «anticapitalisti» sono ripresi poco e vengono rapidamente soffocati dal clamore unitario di un « Macron démission ». Per adesso, l'obiettivo principale sembra quello delle dimissioni del governo, cosa che in alcuni gilet gialli si unisce all'esigenza di una revisione della Costituzione, che possa meglio assicurare il controllo popolare sul Presidente.
Lo Stato, perciò, rimane fino ad adesso l'orizzonte principale di un movimento che, tuttavia, non sembra essere soddisfatto dai pochi aggiustamenti sul salario minimo e da quanto è stato annunciato lunedì 10 dicembre. Il V Atto di sabato 15 dicembre, seguito a questo annuncio, in sostanza lascerebbe intravvedere il richiesto cambiamento del personale che si trova al potere. Sarà sufficiente a causare le dimissioni di Macron ? L'aspirazione dei gilet gialli sarebbe quindi un prolungamento del movimento nelle piazze, degli indignados, che segni la consacrazione di una nuova soggettività dei cittadini, in seguito alla disintegrazione della soggettività salariale. Ma la rivendicazione delle dimissioni di Macron, non esprime forse anche il rifiuto fi qualsiasi negoziato, essendo il Presidente l'unico interlocutore, e colui che si vuole espellere? Si tratterebbe perciò di una richiesta che viene assunta come illegittima, perché si sa che da quarant'anni i capitalisti ed i governi che si sono susseguiti hanno trattato le richieste salariali come se fossero illegittime.
Questa illegittimità, questo non riconoscere, sarebbe allora ciò che fa nascere tali forme di protesta nelle quali non è più questione di negoziare, ma solo di esprimere il rifiuto della politica. Non c'è niente da negoziare, non si tratta più di trovare nessun rappresentante... Da un altro lato, l'immaginario di un'appartenenza alla nazione rivoluzionaria, riattivato dall'esperienza della desocializzazione e della precarietà, non equivale propriamente a parlare di un'identificazione con lo Stato francese esistente. Questa nazione immaginata è un recipiente il cui contenuto viene attualmente contestato. Si va verso un'apertura che, anche con le sue lotte interne, creerà un fronte unico che articolerà i proletari (ivi compresi quelli delle «banlieue») e i segmenti precari della classe media? O si va, al contrario, verso una chiusura che rafforzerà l'opposizione dei francesi «autentici», riuniti in una comunità razzista, contro le «élite» e gli «immigrati» che vengono associati alla globalizzazione? Questa è una delle tensioni in atto nella polifonia diffusa.
Come una banderuola disorientata da una tempesta imprevedibile, davanti a questa indeterminatezza, la sinistra radicale oscilla fra tre tipi di posizionamento. Una parte di questa sinistra si ritrae in una posiziona rigida, vedendo in questo carattere informe del movimento, o in alcune rilevanti situazioni di razzismo quotidiano, il segno di un confusionismo che gli risparmierebbe fin dall'inizio ogni analisi socio-storica. Un'altra parte si è già gettata nel movimento, a testa bassa, in uno slancio di speranza - o piuttosto di disperazione - di veder accadere quest'insurrezione che non arriva mai. Fra questi due estremi, si trovano gli appelli ad unirsi con prudenza ai gilet gialli, ad «andare a vedere» all'inizio, e quindi poi cercare di appoggiare le forme emergenti di auto-organizzazione. Quest'ultima posizione, la più pragmatica, non ci deve far dimenticare che i gilet gialli sono emersi senza le esistenti organizzazioni di sinistra, al di fuori delle istituzioni ereditate dai movimenti operai dei secoli precedenti, e che è possibile che quest'autonomia oggettiva renda desueta la prospettiva di un «intervento» comunista.

3 - Il linguaggio dei Gilet Gialli
Se il magnifico tumulto parigino del 1° dicembre è stato una sorta di avvenimento riconciliatore, che ha riunito tutti, dall'operaio ventenne che scopriva Parigi ai partecipanti abituali in testa ai cortei, resta il fatto che queste pratiche rivoltose per il momento vengono giocate in una contiguità senza alcuna convergenza, in una comunità temporanea la cui sola mediazione è un nemico comune: lo Stato. Ma, per l'appunto, proprio questo Stato non viene affatto visto allo stesso modo da coloro che scrivono le loro petizioni sui loro gilet e da quelli che parlano il linguaggio della «destituzione» o dell'«annullamento. In ogni caso, non ci illudiamo sulla portata di un incendio, che può benissimo bruciare automobili ed edifici, e che non ha niente a che fare con la trasformazione dei rapporti sociali capitalisti. Non può dirsi la stessa cosa a proposito dei blocchi delle rotatorie e dei depositi di carburante che, di certo, sembrano spesso organizzati ad intermittenza, im nodo che il lavoro salariato degli uni e degli altri possa seguire il suo normale decorso, ma che non di meno sono le stesso una maniera per colpire la circolazione capitalista. Tale circolazione, che sarebbe fuorviante contrapporla alla produzione, come se si trattassero di due «luoghi» separati, mentre la produzione capitalista consiste proprio nel produrre delle merci per mezzo di merci, merci che com'è noto si trovano solo sul mercato capitalista, e quindi un mercato che è difficile immaginare che possa funzionare normalmente se non ci sono le merci che circolano normalmente. E come se non bastasse, progressivamente, la lotta che è stata avviata dai gilet gialli contro il degrado delle condizioni materiali di esistenza acquisisce settori sempre più chiaramente identificabili. Per due settimane, abbiamo visto emergere un movimento liceale, inedito in quanto è non è partito dai licei delle scuole in centro, ma dalle scuole degli spazi poveri e de-socializzati, per denunciare la riforma del sistema scolastico, e più in generale quella che è la rottamazione sociale. Anche oggi, venerdì 14, i ferrovieri hanno dato inizio ad uno sciopero contro le riforme della SNCF, e non solo. Tutto questo, in una dinamica di rottura con lo scenario abituale del «movimento sociale» alla francese - che comincia in febbraio-marzo e si esaurisce qualche settimana prima che cominci il mese di agosto - e che è abbastanza lontano, oltretutto, dalle prossime presidenziali, in modo che nessuno possa veramente credere che quella possa essere una soluzione per le urne reclamate da Le Pen e Wauquiez . Se col tempo i blocchi e gli scioperi si moltiplicano e si estendono, si entrerà in una nuova fase. La destra e l'estrema destra potrebbero perciò essere spinte in una strada senza uscita a causa dell'impasse del «partito dell'ordine» rispetto al movimento. Oppure anch'essi si potrebbero gettare in quest'ultimo, schierandosi dalla parte dei lavoratori, ma allora rischierebbero il conflitto interno con le loro fazioni borghesi conservatrici. La grande preoccupazione del Rassemblement National sembra essere quella di trovare degli intermediari in seno alle istituzioni e alle grandi imprese, per poi un giorno assumere il potere. Inoltre, il suo inconfessabile desiderio, nel momento in cui scriviamo, è che la lotta si impantani nel risentimento, nelle mezze misure, cosicché si finisca per parlare di altre cose, per esempio del terrorismo islamista, o del famoso patto di Marrakech, e di qualsiasi altra cosa, purché non riguardi il rapporto di forze che si costruisce sotto i nostri occhi. Per contro, le azioni strategiche portate avanti in comune si vanno ad inscrivere di fatto in un nuovo immaginario, e questo non va giudicato in base a cosa manca rispetto a questo o a quello schema di una rivoluzione vista i buona e debita forma, ma da quello che già lo allontana rispetto alla normalità prodotta dall'interminabile sconfitta delle lotte da quarant'anni a questa parte. Attualmente, la lotta è adeguata a stare fuori dai quadri legali e rappresentativi. Essa è violenta in quello che è il suo rifiuto delle parole presidenziali e mediatiche provenienti «dall'alto». Ci sono delle persone che hanno cominciato a parlare, e delle quali nessuna era abituata a parlare, e ciò mette in discussione le rappresentazioni che ciascuno proiettava su di loro. La grande sfiducia di una parte della sinistra radicale dice che in sostanza questo segmento provinciale del proletariato veniva considerato come perduto per la causa, ed era stato conquistato in maniera irrimediabile dall'afasia politica, o peggio, dalla reazione.
I gilet gialli ci ricordano che bisognerà fare i conti con questo proletariato, bisognerà misurarsi e sporcarsi con ciò che le sue condizioni di vita hanno fatto di esso, vale a dire che bisognerà avere a che fare con un popolazione che non è in grado di pagarsi il lusso di un modo di vita conforme ai canoni del pensiero sapiente e critico. Sì, sono molti i gilet gialli che esprimono la questione sociale, e lo fanno nel linguaggio dell'onere fiscale e del potere di acquisto, ma così facendo, non fanno altro che parlare la lingua che volevamo loro insegnare. Si tratta del linguaggio della sconfitta, del realismo capitalista, dei sogni bastonati, dell'appiattimento della politica sulla logica capitalista dei mercati, che ora forse potremo incominciare a disimparare.

- Dei comunisti riuniti nell'intervallo fra il IV ed il V Atto -

NOTE:

[*1] - Collectif, « “Gilets jaunes” : une enquête pionnière sur la “révolte des revenus modestes” », Le Monde, 11 décembre 2018.

[*2] - Su questo punto, possiamo aggiungere che se effettivamente le categorie più impoverite del proletariato non si ritrovano più nelle mobilitazioni «classiche», si tratterà di comprendere se veramente queste categorie sono effettivamente presenti nel movimento attuale, e se la risposta è sì, chiedersi quale sia il loro potere di iniziativa. Contrariamente ai luoghi comuni, che sono stati ampiamente ridimensionati, noi non riteniamo che il proletariato si mobiliterebbe più facilmente qualora le sue condizioni riproduttive venissero ad essere degradate. [Nota del redattore]

fonte: Agitations

Nessun commento: