Un abito giallo che fa comunità
- di "Temps critiques"
Il movimento dei Gilet Gialli sembra confermare una rottura del filo storico della lotta di classe. La cosa aveva già avuto inizio a livello mondiale durante le Primavere Arabe, poi con il movimento Occupy, e con i movimenti delle Piazze che erano tutti alla testa di quelle mobilitazioni che rivendicavano o domandavano libertà, uguaglianza, e condizioni di vita in generale; il posto di lavoro, piuttosto che le condizioni lavorative. È stato anche per questo motivo che questi movimenti si rivolgevano assai più allo Stato che ai Padroni, nella misura in cui il processo di globalizzazione/totalizzazione del capitale porta gli Stati a gestire la riproduzione dei rapporti sociali a livello territoriale, pur restando dipendente dalle esigenze della globalizzazione.
In Francia, la forza di resilienza del movimento operaio tradizionale aveva ancora mantenuto l'idea della lotta di classe del lavoro contro il capitale. Nella primavera del 2016, la lotta contro la riforma del diritto al lavoro aveva proseguito sulla strada della «classe operaia innanzitutto» senza ottenere dei risultati tangibili. Qualche anno prima, le mobilitazioni generate a partire dal movimento delle Piazze non avevano consentito un'effettiva ripresa, poiché avevano privilegiato il formalismo delle assemblee a scapito del contenuto della lotta. Una lotta che sembrava aver trovato un legame più promettente in seno al movimento spagnolo, che vedeva il movimento delle Piazze virare verso la solidarietà di quartiere, legandosi ai problemi dell'alloggio.
In tutte queste lotte, comprese quelle contro la loi-travail, la questione dello sciopero generale, o quella del blocco della produzione a partire dalle fabbriche, non è stata posta, così come non è stata posta in seno al movimento dei Gilet Gialli. In queste condizioni, coniugare la prosecuzione delle occupazioni delle rotatorie con gli appelli allo sciopero dei lavoratori salariati evidenzia quella che è una fantasia della «convergenza delle lotte», ovvero, l'idea superata secondo la quale bloccare il flusso delle merci sarebbe secondario rispetto al blocco della produzione delle merci stesse.
Una comunità in lotta, che non è più la comunità del lavoro
I rivoltosi delle rotatorie sono di certo in gran parte dei salariati (o assimilabili a dei salariati in quanto beneficiano di posti di lavoro sovvenzionati, o di sovvenzioni per tornare a lavorare), ma ci sono anche altri occupanti non salariati o ex salariati (soprattutto degli auto-imprenditori poveri, e soprattutto ci sono dei pensionati ben lontani da quelli che partono su voli low-cost diretti verso destinazioni esotiche). Non è di certo a partire dal loro rapporto di lavoro che intervengono, bensì a partire dalle loro condizioni di vita e dalla loro inesistenza sociale. Una lotta, certamente, ma una lotta senza classe, piuttosto che una lotta di classe. Perciò non serve a niente andare alla ricerca di quella che dovrebbe essere la sua ala proletaria, in modo che poi possa esprimere quella "Transcroissance" [N.d.T: Cambiamento qualitativo che avviene in una continuità senza rotture] che non ha alcuna intenzione di manifestare. Del resto, se i Gilet Gialli continuano ad essere disprezzati dal potere, questo non succede perché sono dei "proletari" nel senso storico del termine (Macron non disprezza apertamente gli operai professionali che sono stati innalzati allo stato dell'arte dell'istruzione sindacale e legalitaria), ma piuttosto per il fatto che per lui non sono proprio niente («delle persone che non sono niente», così ha detto), una sorta di sottoproletari moderni, dei casi sociali, dei selvaggi che ha hanno dimenticato tutte le regole della civiltà, del persone che non sanno né parlare né produrre leader. Degli «sdentati», come li aveva chiamati Hollande. Un disprezzo di per sé spregevole, in quanto assolutamente carico di mancanza di umanità; un disprezzo cieco che riserva al movimento un giudizio indifferenziato, sebbene ci mescoliamo a loro, noi sappiamo che ci sono delle persone molto differenti in seno al collettivo dei Gilet Gialli. Secondo quelle che sono le testimonianze a proposito della vita collettiva dei Gilet Gialli nei "chioschi" che sono fioriti nei pressi delle rotatorie, si può dire che innanzitutto si tratta di una comunità di lotta costituitasi a partire dalla condivisione delle difficili condizioni di vita; un'unione delle energie contro il potere globalista (Macron, i ministri, i politici, i corrotti, i grandi evasori fiscali, coloro che si attribuiscono e sequestrano la parola del popolo, ecc.); aspirazioni collettive per porre fine alla vita cattiva; e tutto questo con accenti a volte utopici, come vengono cantati da un Gilet giallo musicista dilettante, «Non voglio vivere in un mondo dove le colombe non volano più» [*1]. Un lirismo e delle canzoni che sono assai lontane dalle eterne strofe politiche sull'«emancipazione » che accompagnano le manifestazioni operaie o di sinistra. È questa comunità di lotta che fa sì che delle persone si diano il cambio per poter preparare da mangiare sul posto, o per condividere quello che viene portato a sostegno. La solidarietà non è una parola vuota.
Cosa dire dell'organizzazione?
Se siamo d'accordo sul fatto che i Gilet Gialli hanno sviluppato un movimento autonomo, non ci vuole molto per arrivare a dire che si auto-organizzano, in quello che è il senso ideologico dell'auto-organizzazione così come poteva essere concepita dai consiliaristi storici o dai libertari. Si tratta di un auto-organizzazione immediata che non sfocia in nient'altro se non nella sua propria pratica del tutto immediata. Essa raggiunge i suoi limiti quando vuole passare allo stadio di un'organizzazione vera e propria del movimento, fosse anche solo decidere di rifiutare o meno di fare delle richieste ufficiali della manifestazione, o accettare o meno dei percorsi prestabiliti, o l'elezione di portavoce o delegati. C'è un rifiuto dell'organizzazione, e non dell'auto-organizzazione, che corrisponde non solo alla sfiducia di qualsiasi organizzazione politica o sindacale, ma anche al fatto che le condizioni attuali hanno esaurito tutte le forme storiche che hanno potuto conoscere [*2]. In effetti, i Gilet Gialli non possono costituire dei «consigli di rotatoria», allo stesso modo in cui abbiamo avuto dei consigli operai, o dei soldati. Ma ciò non significa affatto che non possano discutere, o agire a partire da queste rotatorie. Semplicemente, questi non sono dei luoghi in grado di garantire la durabilità della forma politica, come abbiamo potuto recentemente vedere a partire dal loro smantellamento. Anche qui il movimento innova, in quanto è allo stesso tempo bloccato e nomade. I nodi dei blocchi possono infatti essere spostati e rimontati in qualsiasi momento, allo stesso modo in cui vengono spostati e rimontati i luoghi e i tragitti delle manifestazioni. Il rischio diventa allora quello di una ripetizione delle azioni precedenti. Ora, questa ripetizione è già stata resa precaria:
1) dal numero decrescente delle persone presenti nei punti della mobilitazione; 2) dall'intervento dei gendarmi sulle rotatorie e soprattutto su questa sorta di piccoli ZAD [Zone A Defendre] che si erano formati molto spontaneamente; 3) dai nuovi dispositivi di cui sono dotati le forze dell'ordine durante le manifestazioni del sabato, che tendono a trasferire la violenza reale della repressione statale, che gli aliena gran parte dell'opinione pubblica, verso una violenza intrinseca al movimento in quanto esso rifiuta di ottemperare alle richieste governative di porre fine alle manifestazioni. È il movimento che diventa allora portatore di disordini, e tutti coloro che si richiamano ad esso diventano colpevoli del reato di intenzione, una forma di crimine sempre più costruita nel nome dell'urgenza o dell'eccezione (per esempio, per quel che attiene alle azioni terroristiche), ma che è riciclabile per l'occasione [*3].
Dalla negazione all'istituzionalizzazione?
È stato qui che siamo passati ad una seconda fase più affermativa, quella del RIC [Référendum d'Initiative Citoyenne], rispetto alla prima che era stata più negativa (Macron-démission, Nous ne lâcherons rien, ecc.)? Oppure il movimento può continuare anche assorbendo questa nuova proposta elettoralistica che sembra tuttavia una via d'uscita per coloro che, fra i Gilet Gialli, hanno preso atto del fatto che Macron non si dimetterà?
Se il RIC distrugge quella che è la dinamica immediata del movimento, questo avviene perché la sua base attuale, quella delle rotatorie e delle manifestazioni del sabato, non è portatrice di nessuna chiara dinamica storica, tanto più che le pratiche assembleari, così come l'idea della delega, trovano poca eco, o creano delle divisioni in seno al movimento. Questo proprio perché non è in grado di rendere storica la sua dinamica su una base assemblearista che si rifugia nel RIC. Un referendum, per alcuni un esempio di democrazia diretta, ma che per noi rischia di dare inizio all'istituzionalizzazione del movimento [*4] - o peggio ancora alla nascita di un movimento tipo 5 Stelle, come in Italia. La nostra critica del RIC, non può quindi basarsi essenzialmente su un errore strategico del movimento che si lascerebbe «recuperare» [*5], come sostiene un volantino pubblicato in rete. In realtà, questo testo porta avanti il tradizionale discorso di sinistra circa il «recupero», ma finisce per accamparsi su delle posizioni di tipo «degagista» [N.d.T.: neologismo legato alla Primavera Araba che indica il "volersi liberare di persone o cose"] che si limita all'anti-macronismo. Si tenta, da parte di alcuni, di appropriarsene in quanto fa sembrare intransigenti senza compromessi e fa credere che fin dalle prime settimane abbia espresso l'unità del movimento, ma non può più accontentare chi, come noi, pensa che il capitale sia un rapporto sociale. Di sicuro ci sono delle ragioni per sostenere che alla fine l'adozione del RIC riguarderebbe solo le «questioni sociali»; questioni che stanno alla base di tutte le manipolazioni mediatiche o populiste, e che sono anche alle base della rivolta. Inoltre, come potrebbe un referendum imporre al padronato degli aumenti salariali e un abbassamento dei prezzi degli affitti degli alloggi?
Ma quello che ci viene risposto, è «cosa proponete voi?». È la stessa cosa che ci dicevano nel '68 e con in più la scappatoia, per alcuni, di rispondere proponendo modelli esotici (Cuba o la Cina).
Non si può negare il fatto che ciò che costituisce la forza del movimento è anche quello che lo rende debole. Tanto per fare un esempio, il legame effettivo fra i Gilet Gialli e i sindacalisti che hanno partecipato al blocco delle rotatorie rimane assai formale nella misura in cui quei sindacalisti non intervengono in quanto individui, come facciamo noi del resto, ma attraverso lo stabilirsi di una mediazione che renda possibile e concreto il fatto che sempre più sindacalisti di base sono disposti ad aderire al movimento, ma su una base diversa dalla convergenza delle lotte (è il punto di vista della CGT), ma con la sensazione che sia la stessa lotta, con in più il fatto di avere assunto delle forme che consentono di «vincere» [*6]. Si tratta tuttavia di un sentimento condiviso da parte di molti partecipanti alla manifestazione inter-professionale del 14 dicembre, i quali hanno partecipato anche ad una o più manifestazioni del sabato insieme ai Gilet Gialli. D'altronde, sempre più iscritti alla CGT, anche se nel complesso si tratta di una minoranza, indossano dei gilet gialli con sopra appiccicate adesivi della CGT, oppure si creano dei gilet rossi e gialli. Ma le aspettative soggettive sono limitate da quelle che sono le condizioni oggettive, poiché il mondo sindacale è sempre più separato da quello che può essere chiamato il mondo del lavoro, in quanto le situazioni sono diventati particolari fino a tal punto. Un insieme composito che comprenda, da un lato, chi «lavora di più per guadagnare di più» è un'illusione, ma dall'altro lato non sembra che ci si opponga alla defiscalizzazione delle ore supplementari proposte dal governo. Tuttavia, la cosa ha degli effetti negativi riconosciuti sui livelli di occupazione, che costituiscono una delle preoccupazioni dei Gilet Gialli. Questa contraddizione spiega forse il fatto per cui il movimento non sembra fare alcun riferimento al concetto di reddito garantito, nonostante abbia consapevolezza ed esperienza del fatto che, assai spesso, lavorare non basti per poter vivere [*7].
Il movimento esprime, a causa della sua diversità e della sua eterogeneità, il carattere multidimensionale delle disuguaglianze insieme ad un «risentimento» contro le forti disuguaglianze statistiche considerate una per una. Questa differenza è anche dovuta al fatto che la Francia è più performante per quanto riguarda la redistribuzione a monte relativa alla formazione dei redditi (accessibilità all'università, alla sanità, salario minimo, la qualità della vita in generale) che sembra un'acquisizione per così dire «normale», piuttosto che per redistribuzione a valle, dove l'imposta diretta progressiva pesa poco, la CSG [Contribution sociale généralisée] riguarda tutti, come l'IVA e le diverse tasse che pesano in particolare sulla propensione al consumo dei lavoratori salariati più poveri [*8].
Verso una prova generale di tutte le rotatorie?
Del resto, in questo periodo di feste, c'è un consumo che il movimento sta sconvolgendo, bloccando a livello di piattaforma centrale quello che è l'approvvigionamento da parte degli ipermercati, come quello dell'Auchan, vicino a Nimes, oppure bloccando direttamente l'ingresso ai supermercati. Alcuni uccelli del malaugurio, che annunciano sempre la vittoria del capitale, hanno potuto farsi beffe dei Gilet Gialli, i quali credono di poter fare del male al capitale bloccando gli ipermercati, mentre invece tutto questo andrebbe a beneficio di Amazon e di altre vendite online.
Ora, quest'affermazione è assai discutibile dal momento che le prime cifre mostrano un calo generale dei consumi nei luoghi tradizionali e un leggero aumento, però normale, in quanto previsto sulla base di una media del progredire delle vendite online. Eppure, non è affatto impensabile prendere in considerazione l'idea secondo cui «l'odore dei tempi» (inquinato dai gas di scarico) si rivela assai poco propizio per il consumo, e non solo perché sarebbe più difficile fare approvvigionamenti. Secondo il medesimo ordine di idee, si potrebbe vedere apparire delle scritte che dicono «Spegni la TV e indossa il tuo gilet»- Ci sono molti Gilet Gialli che riferiscono di non essere usciti più di casa se non per l'indispensabile. La mancanza di relazioni sociali è palpabile e l'invisibilità della quale stiamo discutendo qui non è quella dell'esclusione, bensì quella di un'invisibilità sociale dovuta alla nuova geopolitica dello spazio che riguarda anche gli abitanti delle banlieu [*9]. Questa situazione si impone su un insieme ben più ampio di quello che riguarda la lotta fra le due grandi classi, borghese e lavoratrice, e non è più riducibile ad una semplicistica opposizione fra ricchi e poveri e che attiene ad una definizione quantitativa/monetaria.
Si tratta di una lotta senza classi di una «moltitudine» intesa nel senso che non è quella del 99% dei gentili sfruttati contro l'1% dei malvagi sfruttatori e profittatori, nel momento in cui le gerarchie delle posizioni sociali, ed i lavori, si sono moltiplicate e perfezionate, e vengono prodotte e riprodotte senza troppe remore da parte degli individui, ad ogni livello che essi occupano. Una lotta senza classi, nel senso dell'assenza di un soggetto storico.
Il movimento dei Gilet Gialli viene spesso criticato poiché, contrariamente alle lotte operaie storiche, non rappresenterebbe alcun progetto di emancipazione. È un fatto, ma abbiamo già detto altrove perché quei progetti vennero portati avanti, dal 1788 e dal 1789 fino agli anni 1967-1978, per l'appunto da dei soggetti storici (prima la classe borghese, poi il proletariato). La sconfitta di quest'ultimo ciclo rivoluzionario ha fatto fallire ogni progetto di emancipazione, al di fuori di quello che è stato realizzato dallo stesso capitale nel quadro del completamento di un processo di individualizzazione all'interno di una società capitalizzata. Ma nelle rotatorie e in altri luoghi di espressione dell'attuale movimento si sente, comunque, una tensione verso la comunità, non una tensione astratta verso la comunità umana, ma una tensione che è allo stesso tempo concreta (lo è negli affetti) e generale, in quanto il movimento abbraccia e mette in discussione l'insieme dei rapporti sociali. Non è più il «Tutti insieme» del 1995 contro un progetto ben preciso, ma è una sorta di indissociabile valutazione/messa in discussione della totalità capitalista a partire da dei punti di vista, o dalle angolature e prospettive di per sé parziali.
Per il momento, questa parzialità degli attacchi viene compensata dalla totalità dell'«andare contro», che si traduce nel linguaggio per cui il «Finiremo quello che abbiamo cominciato» dei Gilet Gialli diventa la risposta al «voi non siete niente» del Potere. Questo «Finiremo quello che abbiamo cominciato» implica determinate azioni collettive, che la presenza sovradimensionata e l'aggressività delle forze dell'ordine possono rendere violente. Un confronto di forze che il potere ed i Media chiamano «eccessi», con tutta l'orchestrazione interessata che le viene conferita.
- Temps critiques, 27 dicembre 2018 -
NOTE:
[*1] - https://www.francebleu.fr/infos/economie-social/un-gilet-jaune-de-montbard-fait-un-carton-sur-le-web-avec-sa-nouvelle-chanson-1545108297
[*2] - Su questo, si veda il blog di Temps Critiques: http://blog.tempscritiques.net/archives/2179
[*3] - Dopo Julien Coupat, adesso ne paga il prezzo l'immagine dei Gilet Gialli. Stiamo assistendo ad una criminalizzazione dei movimenti sociali, con la moltiplicazione degli arresti, la custodia preventiva e pesanti pene detentive per la minima sciocchezza. Sono altrettante misure anticostituzionali che dimostrano la flagrante sproporzione rispetto agli atti incriminati, cosa che non dimostra la forza dello Stato, bensì la sua debolezza. Una debolezza resa ancora più evidente dal fatto che, dall'altra parte della barricata, le forze dell'ordine, con mezza giornata di sciopero, ottenevano da 120 a 150 euro di aumenti mensili.
[*4] - Allo stesso tempo, si nota che per la prima volta sono state presentate delle richieste ufficiali di tragitti autorizzati che sono stati disposti da alcune prefetture, come è avvenuto per la manifestazione del 22 dicembre 2018; la prima notevole flessione del movimento con la concomitante attuazione di un servizio d'ordine specifico dei Gilet Gialli.
[*5] - Lo si può leggere qui: http://www.19h17.info/2018/12/12/non-a-la-ricuperation/
[*6] - Nel mentre che la CGT ha firmato, insieme ad altre sei centrali sindacali, la condanna dei metodi di lotta dei Gilet Gialli.
[*7] - E paradossalmente, è Macron che resuscita il fantasma di un tale reddito, con l'aumento di un premio di attività che perde il suo carattere originario, che era quello di spingere al ritorno all'occupazione di quelle persone che si accontentavano dei minimi sociali. Ma qui si tratta di altro rispetto al riconoscere che il salario non remunera più «correttamente» il lavoro e che bisogna integrarlo con denaro pubblico. Il «lavorare di più è per guadagnare di più» ha esaurito i suoi effetti, anche se la defiscalizzazione delle ore di straordinario cerca di dargli ancora un alito di vita... a dispetto delle cifre sulla disoccupazione.
[*8] - Cfr. L’inchiesta di Th. Piketty e del Laboratoire sulle disuguaglianze globali.
[*9] - In effetti, se i «problemi» delle banlieu vengono evidenziati dai media per sensazionalismo, o dai partiti per interesse politico, la vita quotidiana dei loro abitanti, per quanto riguarda quelle che sono le azioni associative o culturali vengono rese invisibili.
Fonte: Temps Critiques
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