venerdì 21 dicembre 2018

Pacchiano!

urss

L’universo sovietico ha suscitato per circa settant’anni entusiasmi e avversioni. Attraverso una periodizzazione non scandita dalla banalità dei decenni, in questo libro si analizzano eventi storici, imprese, campagne promozionali e dissuasorie subite dai cittadini del paese dei Soviet, con uno speciale accento sulla percezione dei fatti nella quotidianità della gente comune.
Propaganda, retorica, passioni sono prese in esame sulla base della cartellonistica, delle riviste, del cinema, dell’architettura, delle arti, della cronaca. Dai trascinanti investimenti dei primi anni al binomio euforia-terrore che ha segnato l’era staliniana, dalle sottoculture giovanili degli anni Cinquanta e Sessanta ai primi passi del rock nei Settanta, si giungerà alla fatidica notte di Natale del 1991, quando venne ammainata la bandiera rossa sul Cremlino. Tutto documentato da un ricco apparato iconografico tratto dalla straordinaria produzione di grafici e artisti del tempo.

(dal risvolto di copertina di: "Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica", di G. Piero Piretto. Raffaello Cortina Editore.)

La Disneyland dell’Homo Sovieticus
- di Marco Belpoliti -

Tutto comincia il 7 novembre 1917, anche se poi nel calendario la data canonica sarà il 25 ottobre del medesimo anno: la Rivoluzione russa. Inizia con uno slittamento di date il ricco e affascinante volume di Gian Piero Piretto, Quando c’era l’Urss. 70 anni di storia culturale sovietica. Si tratta di una storia visiva di questo paese che ha avuto una così grande influenza nelle vicende del XX secolo, e che è ancora centrale nell’attuale storia del mondo. Il libro ci permette inoltre di capire la Russia contemporanea, Putin e gli oligarchi, la cultura letteraria e quella musicale, il nazionalismo e le aspirazioni di un paese complesso e articolato. Piretto ha scandagliato le forme di vita, il cinema, la letteratura, gli oggetti, i manifesti, la pubblicità, le cartoline, le fotografie, le parate militari, i ritratti di Lenin e di Stalin, ovvero ogni aspetto visivo che possa, partendo dai dettagli, ricostruire il generale, l’assetto complessivo dell’Urss. Si legge come un album d’immagini, e insieme come un commento continuo a opere conosciute e sconosciute, che s’immerge nel flusso della vita della società sovietica.
Per orientarsi in questa attraversata delle storie culturali di Casa Russia ci sono due parole, che ritornano più volte nelle pagine del libro. La prime è il termine russo byt. Si può tradurre con "abitudini, costumi, vita quotidiana" di un popolo o di un gruppo sociale. Per Jurij Lotman, il grande semiologo russo, sarebbe «il consueto scorrere della vita nelle sue forme pratico-reali». Byt sono le cose che ci circondano, le nostre abitudini e il nostro comportamento; anche per Roman Jakobson, il grandissimo linguista, si tratta della medesima cosa, ma in senso negativo: «Lo smorzarsi della vita in rigidi modelli». Due interpretazioni che offrono due versioni opposte del medesimo fenomeno che Piretto analizza. Il libro scandisce i suoi capitoli per trienni, dal 1919 al 1991, e mette a fuoco il passaggio dal byt borghese a quello rivoluzionario. Nei primi anni della conquista del potere ha la meglio l’istanza di novità, di rottura con il passato borghese e nobiliare; tutte le energie rivoluzionarie sono volte alla costruzione di una vita nuova in senso materiale e spirituale.
Poi alla fine degli anni Venti dal momento majakovskiano si passa a quello staliniano. Il byt cambia significato, oltre che formato. Il nucleo centrale del libro è dedicato al dittatore georgiano e alla costruzione del suo consenso attraverso una vera e propria politica delle immagini. Il byt assume perciò un valore differente. Stalin negli anni Trenta del XX secolo lancia al congresso degli stakanovisti la parola d’ordine con cui, sino allo scoppio della guerra, si compendia la sua politica: «Vivere è diventato più bello, compagni, vivere è diventato più allegro».
Le parole dell’uomo dei Gulag e delle purghe fanno rabbrividire, eppure questa frase è il fulcro del progetto staliniano, l’asse intorno a cui, per quasi un decennio, l’Urss cambia pelle dopo il primo periodo rivoluzionario. Attraverso il cinema, il musical, i parchi tematici, le architetture, i manifesti pubblicitari, l’organizzazione della vita culturale, Stalin realizza una vera e propria dimensione onirica. Il suo segreto consiste, non solo e non tanto nel terrore – situazione in cui vivevano molti –, ma nel privilegiare il contenuto emotivo rispetto a quello intellettuale. Il realismo socialista propone una nuova e originale relazione tra il reale e l’utopico. Piretto mostra come attraverso la commedia musicale Stalin spostò il byt dal campo del reale a quello dell’immaginario. Al posto del byt bolscevico, pesante e convenzionale, si affermò un byt fondato sul regno dorato della fantasia.
Stalin allievo di Walt Disney e dalla american way of life? In una certa misura sì. Il sogno sovietico era abitato da begli alberghi, eccelsi parchi della cultura, svettanti architetture moderne, allegri film e musiche avvincenti.
Un sogno che conviveva con gli arresti immotivati e le condanne ai lavori forzati.
Qui entra in scena il secondo tema che funge da corrimano in questo libro: il Kitsch. Le abitudini e i costumi con Stalin e la sua politica dell’immaginario scivolano verso il cattivo gusto, l’eccesso, il meraviglioso pacchiano. La pulsione del dionisiaco staliniano, come la definisce Piretto, procede inevitabilmente verso il Kitsch in modo analogo a quanto avviene nel medesimo periodo nella cultura americana di massa.
Com’è possibile che i rivoluzionari, i militanti comunisti, le avanguardie politiche cadano nella trappola che Milan Kundera ha definito "la seconda lacrima", ovvero la dittatura del cuore? Lo spiega Elias Canetti, citato da Piretto, in Masse e potere: chi assiste a una predica, scrive Canetti, crede in buona fede di essere interessato a questa, mentre in realtà il segreto consiste nella soddisfazione prodotta dalla presenza di tanti altri alla medesima predica. La massa è un anestetico potentissimo per i singoli. Non è forse questo il segreto di ogni movimento politico di massa, sia di destra che di sinistra?
Mentre parla dell’Urss, dinosauro del passato, Piretto ci apre gli occhi sul nostro presente. La carnevalizzazione della vita che Stalin impose all’Urss è del tutto simile a quella dei movimenti populisti attuali; le tecniche sono le medesime, i musical al posto dei social: sostituire il reale con l’immaginario.
Naturalmente non c’è solo questo nel libro dello studioso di cultura russa; ci sono parti molto belle sul periodo brezneviano e sul dissenso dei poeti, pagine che raccontano le vicende di autori come Brodskij o i meno noti Oleg Grigor’ev e Venedikt Erofeev. La transizione da Kruscev a Gorbaciov è ricca di dettagli soprattutto legati alla nascita della controcultura e della cultura giovanile. Piretto è interessato più ai giovani poeti degli anni Sessanta, che si radunano intorno ai monumenti o nei locali off- off, che non ai più noti dissidenti russi. Egli ha il gusto del nuovo e del diverso, del minoritario e delle mode che mutano con rapidità, di cui tratteggia con mano felice i vari profili. Dopo la stagnazione staliniana, la storia che ci racconta corre verso il futuro, che è però già un passato prossimo, istruendoci su un grande paese che continua a pesare sulla nostra storia, e che resta ignoto ai più. Leggere Quando c’era l’Urss ci aiuta a comprendere l’età che viviamo.

- Marco Belpoliti - Pubblicato su Repubblica il 20/12/2018 -

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