giovedì 20 dicembre 2018

Dalla testa... ai piedi!

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«un libro assai originale e a larghi tratti divertente che si occupa, seriamente, soltanto di piedi, di scarpe, di ciabatte e calzature, abbassando lo sguardo dove non è mai sceso in modo impegnato» Chiara Frugoni

Marzo si toglie una spina dal piede, Febbraio si scalda i piedi accanto al fuoco; santi guariscono piedi inguaribili, altri li perdono in crudeli martiri; un re cerca poveri a cui lavarli, sant’Antonio abate non se li è lavati mai; san Francesco rinuncia alle scarpe, un menestrello miracolosamente le riceve in dono. Queste e altre storie sorprendenti e gustose prendono vita nel libro che, anche grazie a un ricco apparato di figure, offre un originale punto di vista per accostarsi al Medioevo. Nella realtà e nell’immaginario, sia in contesti ordinari sia in straordinari accadimenti, piedi e calzature denotavano infatti ruoli e gerarchie sociali e, protagonisti di gesti non solo funzionali ma simbolici, costituivano un preciso linguaggio che, più di quanto si pensi, ancora ci appartiene.

(dal risvolto di copertina di: VIRTUS ZALLOT, "Con i piedi nel Medioevo. Gesti e calzature nell'arte e nell'immaginario". Il Mulino)

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Il Medioevo fa le scarpe al Rinascimento
- di Annachiara Sacchi -

Che siano soggetti sacri o profani, pale d’altare o ritratti per i privati, per circa un millennio (dal VI al XV secolo) le opere dei pittori hanno esibito, oltre ai protagonisti, calzari, zoccoli, stivali. Abbandonati a terra o indossati, non sono dipinti a caso: hanno un significato preciso, chiaro allora, meno oggi. A noi, però, restano due eredità: gli strepitosi documenti della moda dell’epoca e un colorito bagaglio lessicale...
Per ricevere l’annuncio di Dio, per accogliere la notizia che diventerà madre di Gesù Cristo, la giovane Maria dipinta nell’Annunciata di Giovan Pietro da Cemmo (fine XV secolo) nella chiesa di Santa Maria Assunta a Esine, Brescia, lascia i suoi graziosi zoccoletti sovrascarpe (in legno, con una fascetta in cuoio scuro) su un lato della stanza, di fianco al leggio, vicino a un gatto e a una clessidra. Le lussuose ciabattine da donna raffigurate da Jan van Eyck nel celebre ritratto dei Coniugi Arnolfini (1434) sono accanto al letto, destinate alla dimensione domestica: averle tolte — lo fa anche il marito con gli zoccoli, ma li lascia vicino alla porta, perché un uomo «esce» — indica la sacralità della promessa nuziale. L’amore filiale è illustrato nel Polittico Quaratesi di Gentile da Fabriano (1425 circa): mentre San Nicola entra di notte in una casa misera, per donare tre palle d’oro al capofamiglia e consentirgli di dare una dote alle tre figlie, una di loro aiuta l’anziano padre a sfilarsi la calza rossa. Di fianco, l’artista disegna la ciabatta lasciata a terra.
Sono alcuni esempi: donate ai malati, dismesse e consegnate ai servitori, simbolo di santità, di potere, lussuose e ingioiellate, preludio di un messaggio divino o di un futuro martirio, le scarpe nell’arte medievale diventano accessori importanti per definire lo status dei personaggi, la loro occupazione, la santità, le intenzioni. Consentono di accedere a un linguaggio estetico (quello degli artisti) e a uno simbolico (dei committenti). E di capire meglio, al di là delle illustrazioni, un’epoca ossessionata dai piedi: malati, deformi, diabolici, zoppi, umili, mendicanti, legati, crocifissi. Delicati, nobili, guerrieri, cortigiani, fustigatori.
Non pensiamo a un’unica scarpa. Nel Medioevo le calzature potevano contare su bravi artigiani e tanti modelli legati ai luoghi di produzione e alle richieste della clientela: sandali, soprascarpe, zoccoli, calzari cordovanieri (da Cordova, da cui arrivava il pellame più pregiato), ciabatte, pianelle, calze suolate, gli scomodissimi stivaletti a punta tanto in voga nel XIV secolo. Dai grandi capolavori alle opere minori, l’arte ci ha lasciato numerosi esempi di questa varietà: Virtus Zallot, docente all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia e studiosa di iconografia sacra, ce la presenta nel volume Con i piedi nel medioevo (il Mulino). Più che una storia della calzatura, un’indagine iconografica. Un viaggio tra significati allegorici e didascalici, propaganda, moda.
Partiamo allora dai piedi. Scalzi, il massimo dell’umiltà. Gesù è raffigurato sempre senza scarpe (ma nell’affollata Maestà di Duccio di Buoninsegna intorno al Cristo il campionario di sandali e stivaletti è ampio), come Enrico IV nel 1077 a Canossa, come San Francesco quando si spoglia degli averi, come i frati degli ordini mendicanti (non i domenicani) nati tra XII e XIII secolo. Come la Povertà, descritta con i piedi nudi e feriti. Altrettanto chiaro — almeno nelle intenzioni degli artisti — è il messaggio veicolato da chi i piedi li «veste». Lo spiega l’autrice portando ad esempio il mosaico, nel presbiterio della chiesa di San Vitale a Ravenna, che raffigura Giustiniano e il suo seguito (VI secolo): «L’imperatore indossa calzari purpurei ornati di perle e pietre preziose, gli altri (il vescovo Massimiano e due chierici, i funzionari dello stato e i militari) più semplici calzari bianconeri. I loro piedi si accavallano a indicare una supremazia spirituale e sociale. Quelli di Giustiniano e di Massimiano non ammettono sovrapposizioni; ma i calzari di porpora del primo ne denotano il grado superiore». Scarpe purpuree per i grandi della terra: anche Ponzio Pilato, nella Flagellazione di Piero della Francesca (1459-1460), le indossa.

Ogni gesto un significato. L’arte medievale usa, a vari livelli, codici comunicativi precisi, basta togliere un sandalo per dare un senso alla composizione, difficilmente le scarpe appaiono in un dipinto solo per l’attitudine decorativa del pittore. Un’eccezione è forse Betsabea nel bagno di Hans Memling (1485-1490), dove le pantofole della donna (ci) aiutano «solo» a capire la moda dell’epoca. Discorso opposto per quasi tutti gli altri casi pittorici, dove le calzature — indossate o no — indicano sempre qualche cosa. Levarsi le scarpe, per esempio, indica il passaggio dallo sporco al pulito, dal profano al sacro, dalla quotidianità alla straordinarietà, dalla vita alla morte, dalla casa paterna a quella del marito. Molti sono gli esempi pittorici che l’autrice presenta, dalla Natività del trittico a portelle della cappella di Castel Tirolo (Bolzano, 1370), con le calze bianchissime della Vergine lasciate sulla greppia, al Sogno di Sant’Orsola di Vittore Carpaccio (1495): le ciabattine azzurre di fianco al letto annunciano il sacrificio imminente. I dettagli sono essenziali in un’altra tela di Carpaccio, le Due dame (14951498): le protagoniste sono sedute in un terrazzo veneziano affollato di animali (sempre presenti, indicano fedeltà e intimità domestica), piante e oggetti, tra cui un paio di «calcagnetti» rossi con zeppa vertiginosa. Non sono lì a caso: lasciati sul pavimento, indicano l’importanza del luogo, emblema dell’amore coniugale. La più giovane delle due, infatti, è una promessa sposa accompagnata dalla «custode». Non una cortigiana come si presumeva fino a qualche anno fa.
Interpretazioni diverse per letture a più piani: un episodio della Bibbia, del Vangelo, delle vite dei santi, dei re diventa occasione per raccontare una storia, la sua morale e più in profondità, le gerarchie sociali, i tabù, le aspirazioni dei potenti, i sogni degli ultimi. Persino La bottega del calzolaio negli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339), così realistica e utile per conoscere attrezzi, gesti (un artigiano morde un pezzo di cuoio) e calzature dell’epoca (quelle solate rosse, quelle pronte sul bancone, quelle appese), vuole indicare la pace e l’abbondanza garantita dal governo senese e celebra la dignità del lavoro. «Si tratta — spiega la studiosa — di pura comunicazione: su una narrazione di base comprensibile a tutti, una scarpa è sempre una scarpa, si innestavano simboli e richiami più profondi, preziosi per noi tanto quanto gli oggetti in sé».
Didascalie e allegorie, non tutti i codici artistici medievali legati a piedi e scarpe e alla loro rappresentazione sono arrivati fino a noi: non è così immediato osservare un uomo (dipinto) che si toglie un calzare e vederci un gesto sacro. Il codice è cambiato. Anche se un’eredità di quell’epoca, e di quella attenzione per gli arti inferiori, è rimasta. Nel linguaggio: leccapiedi, mettere i piedi in testa, tenere i piedi in due scarpe, scalzare, fare le scarpe a qualcuno, calpestare i diritti, le libertà. Espressioni attuali. E molto efficaci.

- Annachiara Sacchi - Pubblicato sulla Lettura dell'11 novembre 2018 -

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