Sabato 9 agosto 1942. La Sala concerti della Filarmonica di Leningrado trabocca di gente. Nonostante il caldo, gli orchestrali indossano molti strati di vestiti: tremano per la fame, quella che li ha fatti svenire durante le prove, che li sta facendo scomparire dentro giacche e pantaloni. Arriva il direttore: scheletrico nel suo frac, somiglia a uno spaventapasseri. Verrebbe da chiedersi quanta energia resti ai concertisti. Poi, però, attacca la musica. Leningrado era sotto assedio dal 14 settembre 1941, quando i nazisti avevano tagliato l'ultima via di terra per uscire dalla città. Gli stenti e il gelo avevano decimato la popolazione, spingendola a gesti disperati, a volte perfino al cannibalismo. I cannoni tedeschi facevano fuoco ininterrottamente. Ma un contrattacco sovietico li ha costretti al silenzio per un breve periodo, sufficiente perché la Settima Sinfonia di Dmitrij Sostakovic venisse eseguita. Quella partitura doveva raggiungere la città a ogni costo: un aereo speciale sorvolò Leningrado assediata e fece cadere dal cielo gli spartiti. La Settima venne suonata nella Sala della Filarmonica e, dagli altoparlanti collocati ovunque in città, i tedeschi furono obbligati a sentire che, nonostante tutto, la vita continuava a pulsare. Poi la Sinfonia divenne l'inno internazionale della lotta contro il nazismo; e tuttora è ritenuta il capolavoro di uno dei più grandi compositori del XX secolo: dal primo movimento - scritto da Sostakovic sotto una pioggia di bombe -, con il celeberrimo «tema dell'invasione» e il crescendo di tamburi rullanti, al finale, con le sue melodie festose e trionfali, rappresenta la liberazione non solo dei cittadini di Leningrado, ma di qualunque popolo che tenta di resistere alle iniquità della guerra e dei regimi totalitari. In "Sinfonia di Leningrado" Brian Moynahan restituisce un quadro nitido della città russa vessata da Stalin, ridotta alla fame da Hitler ed eternata da Sostakovic. Moynahan racconta un'impresa compiuta collettivamente da una città intera, una città morente che ha saputo risorgere, dimostrando a tutto il mondo che resistenza e musica, arte e libertà sono componenti inscindibili nella storia umana.
(dalle note di copertina di: "Sinfonia di Leningrado" di Brian Moynahan. Il Saggiatore)
Dmitrij Sostakovic ebbe con la comunicazione epistolare un rapporto ossessivo e compulsivo, quasi come con la sua attività artistica. Scriveva lettere e componeva spinto da un ansioso bisogno di riempire i vuoti dell'esistenza, e ovunque nella sua musica - nelle sinfonie, nei quartetti, nelle opere vocali e per il teatro, nelle numerose colonne sonore - un'attitudine costruttivistica sembra voler celare un nucleo di interiorità tragica, che pure trapela qua e là fra le maglie della composizione e ne fonda la necessità poetica. Da questa silloge di lettere del suo vastissimo epistolario molto emerge di quel complesso mondo interiore, sempre venato di un'ironia quotidiana e un po' surreale che ricorda i racconti e i romanzi di Cechov e di Gogol'. "Trascrivere la vita intera" traccia le tappe di un'autobiografia da cui è possibile estrarre preziosi dettagli sulla formazione e sulle prime esperienze artistiche di Sostakovic, sulla gestazione e la genesi delle opere, sugli intensi rapporti affettivi e intellettuali con amici e maestri, con compositori più giovani e con allievi, oltre che con interpreti del calibro di David Ojstrach e Mstislav Rostropovic. Sono pagine attraversate dagli echi della guerra, dalle difficoltà della vita sotto il regime sovietico e dal rapporto sofferto e ambivalente del compositore con l'establishment.
(dalle note di copertina di: "Trascrivere la vita intera. Lettere 1923-1975", di Dmitrij Sostakovic.)saggiatore)
Leningrado: musica dell'assedio
- di Pietro Citati -
Stalin aveva una grande passione per la musica: una bella voce tenorile: ascoltava la musica alla radio: vedeva i nuovi e i vecchi balletti; comprava i nuovi dischi, come Laurentij Berija, il futuro capo della polizia - visto che, in Urss, i criminali veneravano la musica.
Nel marzo 1938, proprio negli anni più terribili del terrore, Stalin proclamò: «Negli ultimi anni in Russia la vita è diventata molto migliore».
Non amava Leningrado: nella quale scorgeva l'incarnazione di tutto ciò che detestava; la cultura, la vita, la libera discussione, l'eleganza degli edifici, i colori verdi e rosa, l'antico profumo aristocratico. Egli veniva glorificato: il romanziere Alexandr Fadeev disse che era «il più grande talento che il mondo avesse mai visto». Cacciò da Leningrado i collezionisti di francobolli, gli orientalisti, gli esperti di religione buddistica, gli astronomi, gli architetti.
Processò gli avversari costringendoli a confessare colpe mai commesse. Quando il piano quinquennale fallì, accusò gli ingegneri di aver distrutto le macchine industriali e li fece fucilare. Nell'Urss esistevano due sole parole: tradimento, fucilazione. Tra gli uomini politici, Stalin stimava soltanto Hitler, mentre disprezzava Churchill e Roosevelt, «volgarissimi democratici». A fine agosto 1939 negoziò con Hitler un patto, in seguito al quale la Germania e l'Urss si divisero la Polonia. Aveva una fiducia completa in lui. Nel 1941 venne ripetutamente avvisato dalle spie sovietiche che la Germania avrebbe assalito la Russia: conosceva perfino la data precisa. Ma non credette a quelle che chiamava «provocazioni»; e nemmeno alle notizie dei suoi aerei. Insisté: «siete impazziti». Mandò in Germania un treno carico di burro, il giorno prima dell'assalto tedesco, il 22 giugno 1941.
I generali russi attesero invano gli ordini di Stalin: fino a quando Molotov annunciò alla radio che l'aviazione sovietica aveva già perduto milleduecento aerei, senza opporre resistenza. Hitler ordinò la distruzione di Leningrado e di Mosca: «propongo di sradicarle dalla faccia dalla terra». Faceva mitragliare i treni passeggeri: bombardare Leningrado, e le persone isolate che percorrevano le strade.
L'operazione nazista si chiamava Nordlicht, «Luce del Nord». Ma la risposta di Stalin fu la solita. Sebbene l'Armata rossa dovesse difendere la Russia, fece arrestare dalla polizia politica e fucilare molti generali, specie quelli che avevano combattuto nella guerra civile di Spagna.
Come disse Anna Achmatova, Leningrado «era appesa, come inutile appendice, alle sue prigioni». I tedeschi arrivarono alle porte della città, sia a meridione, sia a settentrione, vicino al lago Ladoga, fin dove giungevano i tram: in città vennero esauriti i generi alimentari; le razioni si ridussero a quasi niente. C'era una fame terribile: una madre soffocò la figlia più piccola, di sei settimane, per nutrire gli altri bambini. Non c'era elettricità, né acqua né carbone: chi veniva colto a rubare era fucilato: per le strade giravano persone esauste, con la faccia pallidissima: molti bambini morirono in silenzio, senza un nome e senza far sentire la propria voce: alcuni medici vennero fucilati come disfattisti; molti cadaveri furono lasciati nel posto dove erano morti, abbandonati per le strade.
- Pietro Citati - Pubblicato su Repubblica del 18/12/2017 -
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