sabato 15 ottobre 2016

L'ordine delle merci e i "fari di speranza"

faro

Ernst Lohoff e l'individualismo metodologico
- di Bernd Czorny -

Nel marzo del 2012, Ernst Lohoff e Norbert Trenkle, entrambi personaggi di rilievo del gruppo di critica del valore di Krisis, hanno presentato quello che finora è il loro ultimo libro, Die große Entwertung [La grande svalorizzazione], che ha come sottotitolo "Perché la speculazione ed il debito pubblico non sono la causa della crisi". Il chiaro obiettivo è la presentazione e l'analisi dei processi di crisi del capitalismo della terza rivoluzione industriale e l'eliminazione di preconcetti popolari. Il libro si compone di tre parti.
Nella prima parte, scritta da Norbert Trenkle, vengono spiegati alcuni concetti di base indispensabili per la comprensione della dinamica storica del capitalismo e dell'auto-contraddizione interna ad esso soggiacente. Sulla base di questa esposizione, si descrive, di seguito, come nel capitalismo della terza rivoluzione industriale una dinamica sviluppatasi a partire dalla contraddizione in processo, fra la riduzione del tempo di lavoro con l'aumento della produttività e la necessaria espansione del tempo di lavoro ai fini della valorizzazione del capitale, porti ad una crisi strutturale fondamentale.
La seconda parte, scritta da Ernst Lohoff, è dedicata ad un'analisi più dettagliata del capitale fittizio, svolta a partire dall'analisi di Marx nel terzo volume del Capitale. Nella sua analisi dei titoli di proprietà che compongono il capitale fittizio, Lohoff li designa come una categoria speciale addizionale delle merci, cosa che è anche oggetto di considerazione critica nella presente recensione. In tale contesto, Lohoff presenta il teorema delle "merci di second'ordine" [*1], la cui caratteristica specifica è quella di rappresentare valore futuro. Lohoff afferma che questo si lega alla ricerca che indaga se ed in quali circostanze quest'anticipazione del futuro può essere rimborsata e quali sono invece i limiti logici che vi si oppongono.
Nella terza parte, scritta sempre da Lohoff, vengono presentati il ruolo e la funzione del capitale fittizio rispetto allo sviluppo storico del capitalismo. La Grande Svalorizzazione si conclude con alcune tesi sull'emancipazione sociale. Il mio commento attiene essenzialmente alla seconda parte, nella quale risiede il suo nucleo teorico.
Alla fine della prima parte del libro viene mostrato graficamente, in base ai numeri, che il meccanismo di compensazione nel capitalismo - che fra le altre cose consisteva nel compensare la riduzione del lavoro astratto, avvenuta a causa dell'aumento della produttività per mezzo dell'espansione dei mercati - con la terza rivoluzione industriale ha sofferto una battuta di arresto. Da questo Trenkle deduce che, a causa del livello di produttività raggiunto, e che continua a crescere rapidamente nella terza rivoluzione industriale, il lavoro immediato nella produzione, in quanto fonte di produzione del valore, si esaurisce sempre più. Trenkle descrive qui in ultima analisi il limite interno del capitale.

All'inizio della seconda parte del libro. Lohoff constata che nel capitalismo della terza rivoluzione industriale è al capitale finanziario che tocca un ruolo ovviamente dominante nel processo riproduttivo, quindi un ruolo completamente nuovo: «All'inizio degli anni 1980, tuttavia, il settore finanziario è diventato il settore di crescita per eccellenza, ed ha sostituito le industrie fordiste come "industria-chiave" di tutto il sistema capitalista.» Su questa base, Lohoff sostiene che il settore finanziario, in quanto nuova "industria-chiave", ha sostituito la debole dinamica di crescita della "economia reale". Ovviamente, dietro alla tesi di Lohoff si trova la supposizione secondo la quale il settore finanziario sia un settore dell'industria come un altro. Di conseguenza, Lohoff sviluppa il teorema delle "merci di second'ordine". Partendo dal fatto che Marx, nel terzo volume del Capitale, non ha potuto portare a termine lo studio del capitale fittizio, Lohoff cerca qui di risolvere questo "punto cieco", tentando di descrivere le specificità del capitale finanziario per mezzo del teorema delle merci di second'ordine. Lohoff stabilisce come merci di prim'ordine tutti i beni comuni che vengono prodotti e consumati come merci. E poi espande quest'universo delle merci, come lui le chiama, alle merci di second'ordine. Le merci di second'ordine includono titoli di proprietà di ogni tipo che nella loro maggioranza sono crediti ed azioni. Qui Lohoff non dimentica il fatto ben noto secondo il quale le merci comuni, ossia le merci di prim'ordine, già rappresentano lavoro oggettivato, mentre i titoli di proprietà, ossia le merci di second'ordine, significherebbero un anticipo del valore futuro, del lavoro astratto futuro.
Nella sua analisi successiva, Lohoff assume che le merci in sé non sarebbero un fenomeno del tutto nuovo, ma sarebbero già state un fenomeno di nicchia anche nel periodo pre-moderno. Ma se, secondo Lohoff, le merci già esistevano sotto forma di nicchia nella pre-modernità, egli arriva alla conclusione per cui il capitalismo si è costituito solamente quando la produzione delle merci ha assunto un carattere generale e, pertanto, la forma denaro, ma soprattutto quando la forza lavoro stessa è diventata una merce; un livello di conoscenza, questo, anche così, che era già presente in Lukacs. Tuttavia, considerando le conoscenze recenti, in riferimento a Karl Polanyi (Polanyi 1978), Marcel Mauss (Mauss 1990, 1ª ed. 1923-24), Bernhard Laum (Laum 2006, 1ª ed. 1924) e continuando con Christoph Türcke (2015), Ernst H. Kantorowicz (Kantorowicz 1990, 1ª ed. 1957) e, infine, Jacques Le Goff (Le Goff, em 1988 e 2011), otteniamo un quadro completamente differente, che è stato riassunto nell'ultimo libro di Robert Kurz, "Denaro senza valore" (Kurz 2012).

La pre-modernità non è stata una fase preliminare della modernità, nella quale delle forme embrionali, quali che siano state, hanno aperto la strada alla modernità. Al contrario, nel 17° secolo si è consumato lo sviluppo della modernità attraverso una brusca mutazione storicamente unica che, tuttavia, era in preparazione nei secoli precedenti ed aveva creato l'economia - con la valorizzazione del capitale come suo nucleo essenziale - come dominio separato dalla società e dominante la società; un processo rivoluzionario che ha riformulato radicalmente non solo la società, ma anche le persone, culturalmente, fino a dentro l'intimo della loro psiche. Tutto questo è stato spiegato in maniera esemplare da Eske Bockelmann (cfr. Bockelmann 2004). Bockelmann descrive il profondo mutamento avvenuto nel pensiero e nella psiche delle persone a causa dell'astrazione che attiene al denaro. Foucault, dall'altra parte, descrive la formazione di una società disciplinare e la conseguente interiorizzazione delle norme, che ha mutato altrettanto profondamente la coscienza delle persone. Il denaro in sé, che nel capitalismo assume un'importanza centrale e che «soltanto esso conferisce al valore - che non può essere visto né può essere espresso - la sua configurazione di valore generale ed astratto in una forma sensibile e materiale» (Kurz, 2012), non esisteva in tal modo fino al Rinascimento. Con il Rinascimento, come viene dimostrato in forma convincente da Laum e Türcke, il denaro è per la prima volta espressione delle relazioni di obbligo definite in maniera sacrale. «È stata questa fusione di cannoni, Stato e denaro - la trinità, senza niente di santo, in formazione - che ha portato alla nascita del mostruoso feticcio del capitale.» (Kurz, 2012).

Nel processo di costituzione del capitalismo, il denaro viene liberato proprio da queste relazioni di obbligo e crea il principio del fare dal denaro più denaro, principio che si viene a costituire come "soggetto automatico" (Marx) e, pertanto, trasforma sempre più beni in merci; il denaro, nella sua mutazione in merce, solo per mezzo di tale processo ha creato la produzione generale di merci ed ha trasformato simultaneamente anche il produttore in una sorta di merce, e si è così concluso il processo di costituzione del capitalismo. (vedi Kurz, 2012).
In questo senso, non si può parlare qui di un processo di mercificazione avvenuto in due fasi, quella della ricchezza materiale e poi quella della trasformazione del denaro in merce, in quanto è stato il denaro, nel suo separarsi dalle antiche relazioni di obbligo, che ha scatenato il processo di costituzione del capitalismo. Quindi la questione non è assolutamente quella per cui la pressione capitalista ha trasformato tutta la ricchezza in merci e alla fine ha trasformato in merce anche la forma denaro, ma, al contrario, è stata la proto-merce denaro in sé, che fin dall'inizio ha incorporato il principio capitalista di fare sempre più denaro col denaro, che ha trasformato tutti i beni, inclusa la forza lavoro, in merci.
In questo processo di costituzione del capitale, si è formato il "soggetto automatico" «come una sostanza in processo che si muove da sé sola» (Marx), sul piano e solo sul piano del capitale globale. È proprio questo di cui Lohoff, seguendo l'individualismo metodologico, non tiene conto, rendendo così possibili le due conclusioni erronee sopra descritte.

L'individualismo metodologico si caratterizza per il fatto che, nell'analisi o nella spiegazione delle relazioni sociali, i singoli casi o i fenomeni individuali vengono dichiarati modello per tutto l'insieme, cosa che ha come conseguenza almeno tre grandi difetti: in primo luogo, l'adozione della prospettiva volgare a questo associata riguardo alla visione del tutto, fa apparire il tutto solo come se fosse la somma dei singoli casi individuali e non viceversa; in secondo luogo, rimane nascosto il contesto nel quale il singolo caso in realtà si colloca, e si pretende che contesti sempre diversi devono influenzare ciascun singolo caso; e infine, in terzo luogo, rimane sempre da chiarire quale sia di fatto il grado di generalità posseduto dal singolo caso, e se tale singolo caso possa essere realmente considerato come "forma cellulare" di una generalità o di un contesto sovrastante (vedi Kurz, 2012).
Lohoff, come si è detto, segue un altra strada, nella quale assume un processo di mercificazione della ricchezza materiale in merce e poi del capitale denaro nella stessa merce, anziché prendere come punto di partenza il processo di costituzione del capitale globale. Egli pensa che sia necessario estrapolare questo processo, determinando una terza fase di mercificazione, ossia, la formazione del capitale fittizio in quanto merce che svolge un ruolo dominante nel capitalismo della terza rivoluzione industriale. Come vedremo più avanti, Lohoff in questo modo si sbarra la strada verso una teoria oggettiva della crisi.
Non tiene pertanto contro del processo globale del capitale come presupposto del movimento dei capitali individuali e delle merci individuali. Infatti, se il capitale è il vero presupposto della forma merce, allora il "capitale globale" dev'essere il vero presupposto del capitale individuale e, quindi, della merce individuale, poiché le categorie reali del capitale, fin dall'inizio e su tutti i piani della sua rappresentazione, devono essere intese come categorie del tutto sociale, del capitale globale e del suo movimento in quanto massa globale. «Solo e soltanto il capitale globale, il tutto feticista, è l'entità categoriale» (Kurz, 2012).
«Le categorie reali del capitale che sono oggetto di esposizione teorica da parte di Marx devono, perciò, essere estese fin dall'inizio, e a tutti i livelli dell'esposizione, come mere categorie del tutto sociale, del capitale globale e del suo movimento globale, in quanto massa globale che non può essere compresa in maniera empirica immediata in quanto, sia in termini qualitativi che quantitativi, differisce dal movimento empirico dei capitali individuali. Tuttavia, quest'ultimo movimento è l'unico che nella prassi si presenta agli attori, mentre il vero movimento del capitale globale reale può essere registrato in forma empirica solamente a partire dai suoi effetti sociali» (Kurz, 2012). Di conseguenza, il capitale globale ed il suo movimento non possono essere compresi direttamente dagli attori. Data l'esistenza a priori del capitale globale in quanto processo globale - essendo, pertanto, il "processo globale", in quanto feticcio del capitale o "soggetto automatico", il vero presupposto -, il movimento del capitale globale viene mediato dal movimento basilare dei capitali individuali nella concorrenza di mercato, il cui successo o fallimento evidenzia il presupposto predeterminato del carattere sociale.
Lohoff, tuttavia, con il suo teorema delle merci di second'ordine, rimane a livello della merce e del capitale individuale, il suo punto di partenza non è in alcun modo il capitale globale o il processo globale del capitale. Come si vedrà più avanti, l'equiparazione concettuale di merce e titolo di proprietà, in quanto merce di prim'ordine e merce di second'ordine, porta Lohoff e Krisis su una strada sbagliata, in quanto, equiparando nel concetto di "capitale fittizio" i concetti di "merce" e di "capitale", questi vengono necessariamente equiparati anche in termini di contenuto, cosa che a sua volta finisce per portare a conclusioni errate.
Analogamente, persistendo nell'individualismo metodologico, Lohoff non arriva al concetto di sostanza. La nota definizione di Marx della sostanza del valore come dispendio di nervi, muscoli e cervello, cioè, appare come presupposto essenziale per la formulazione concludente di una teoria radicale della crisi, che si basi su questa fattualità oggettiva.

Il punto di partenza è la constatazione consensuale fra Krisis ed Exit!, già menzionata, che le merci convenzionali rappresentano già lavoro oggettivato, mentre i titoli di proprietà significano un anticipazione di lavoro astratto futuro. Le differenti conseguenze di quest'affermazione, tuttavia, diventano chiare solo se si chiarisce questa stessa affermazione in termini di concetto di sostanza del capitale. Marx, nel primo volume del Capitale definisce il valore di una merce come una «oggettività fantasmagorica, una mera gelatina di lavoro umano indiscriminato, ossia, il dispendio di forza lavoro umana senza tener conto del suo dispendio» (Marx). Viene così stabilito in forma negativa il concetto di lavoro astratto, astraendo la merce dai suoi componenti fisici e dalle sue forme, tutta la costituzione sensibile viene in questo modo estinta, anche la merce non è ormai più un prodotto del lavoro produttivo in particolare, come lo sono il lavoro del falegname o del muratore. «Insieme al carattere utile dei prodotti del lavoro scompare il carattere utili dei lavori in essi espressi, perciò spariscono anche le varie forme concrete di tali lavori, essi ormai non sono più distinti, ma sono tutti ridotti a lavoro umano identico, il lavoro umano astratto» (Marx). Così resta solo "quello che è dispendio di forza lavoro umana» e «sebbene attività produttive qualitativamente differenti, entrambe [confezione e tessitura] sono dispendio produttivo di cervello, muscoli, nervi, mani, ecc. e, in questo senso, sono entrambe lavoro umano» (Marx). Da questo deriva la sostanza del valore e, pertanto, del capitale.

Tuttavia, quanto al concetto di sostanza, le opinioni ovviamente divergono: Moishe Postone, che dopo Rosdolsky, Backhaus, Reichelt ed altri ha grandi meriti nella nuova interpretazione della teoria critica di Marx, vede in maniera critica il concetto di sostanza, e scrive: «Al di là di questo, le definizioni di lavoro umano astratto che egli [Marx] ci offre nel Capitale sono molto problematiche, appaiono indicare che si tratta di un residuo biologico, che dovrebbe essere interpretato come dispendio di energia fisiologica umana... Allo stesso tempo, Marx dichiara anche in maniera inequivocabile che stiamo trattando una categoria sociale. Egli si riferisce al lavoro umano astratto, che costituisce la dimensione del valore delle merci, come la sua "sostanza social che è ad esse comune". ... Se, tuttavia, la categoria del lavoro umano astratto è una determinazione sociale, essa non può essere una categoria fisiologica. Inoltre, come ho affermato nella mia interpretazione dei Gundrisse nel I Capitolo, ... è fondamentale per l'analisi di Marx che il valore venga inteso come una forma storicamente specifica della ricchezza sociale» (Postone, 2003). Lohoff e Krisis, naturalmente aderiscono a questo punto di vista!
Postone non può rispondere alla domanda su come si spiega la riduzione o l'aumento del "lavoro astratto" senza sostanza, in quanto «affinché qualcosa possa essere aumentato o diminuito, deve esserlo in un modo realmente sostanziale, nel senso di un contenuto materiale» (Kurz, 2004). Inoltre, Postone non tiene neanche contro del fatto che le categorie sociali includono già sempre in sé la base della natura umana. A tal proposito, tutto il lavoro è «da una parte, dispendio di forza lavoro umana in senso fisiologico e, questa qualità del lavoro umano o lavoro umano astratto, costituisce il valore delle merci. Dall'altra parte, tutto il lavoro è dispendio di forza lavoro umana in forma dedicata ad un fine specifico e, questa qualità del lavoro utile concreto, produce valore d'uso» (Marx). Così, secondo Marx, la sostanza del Capitale è proprio il lavoro astratto. Inoltre, Postone non tiene conto neanche del fatto che il «dispendio produttivo di cervello, muscoli, nervi, mano, ecc. umani» (Marx) è già in sé un'astrazione reale, poiché rappresenta un dispendio di forza lavoro umana senza che si tenga conto della forma concreta del suo dispendio.

Per Postone, il lavoro astratto non è semplicemente il formatore di una sostanza, il dispendio di energia umana che è il lavoro astratto per lui ha una funzione puramente di mediazione: «Il lavoro in sé costituisce una mediazione sociale, al posto di relazioni sociali aperte... Pertanto il lavoro e i suoi prodotti svolgono quella funzione al posto delle relazioni sociali aperte. Vale a dire, invece di essere mediato da relazioni sociali aperte o "riconoscibili", il lavoro nella forma di merce viene mediato da un insieme di strutture che ... esso stesse costituisce» (Postone, 2003). Quindi, secondo Postone, Marx designa la funzione del lavoro in quanto attività socialmente mediatrice come lavoro astratto. Perciò, Postone ignora il concetto di sostanza: «Dal momento che il lavoro è un'attività che necessariamente si oggettivizza in prodotti, la funzione del lavoro sotto forma di merce come attività socialmente mediatrice è indissolubilmente intrecciata con l'atto dell'oggettivizzazione: il lavoro produttore di merci, nel processo stesso di oggettivizzarsi come lavoro concreto in valori particolari d'uso, si oggettivizza anche come lavoro astratto nelle relazioni sociali» (Postone, 2003).
Ma quel che è decisivo è che, senza la spiegazione della riduzione storica della sostanza del lavoro in quanto sostanza del valore del capitale, ossia, di desustanzializzazione del capitale, non può essere formulata una teoria della crisi, né il limite interno del sistema produttore di merci può essere, pertanto, semplicemente fondato in termini oggettivi, come vedremo più avanti.

Postone presuppone che Marx analizzi la produzione nel capitalismo a partire dalla distinzione fra valore e ricchezza materiale, fra lavoro astratto e lavoro concreto, come un processo contraddittorio che è costituito «attraverso la dialettica delle due dimensioni della forma merce» (Postone, 2013).  Ma invece di concludere che ogni nuovo livello più elevato di produttività esige sempre meno lavoro astratto a fronte di una crescente quantità di ricchezza materiale, Postone parla di conservazione del valore, essendo questo ricostituito in maniera continua come determinante della formazione sociale. «Questo processo di ricostituzione, che implica la conservazione del valore e delle forme del dominio astratto ad esso associate, è strutturalmente inerente alle forme sociale di base del capitalismo, nonostante lo sviluppo della dimensione del valore d'uso. Esaminando le determinazioni più astratte della dinamica della società capitalista, considerando l'interazione di queste due dimensioni, vediamo come ciascun nuovo livello di produttività ridetermini tanto il tempo di lavoro sociale quanto questo stesso tempo è rideterminato dal periodo di tempo astratto in quanto livello di base della produttività» (Postone, 2013). Pertanto, questo significa che con livelli sempre maggiori di produzione, il periodo di tempo viene continuamente di nuovo ricostituito. Poiché una simile dichiarazione è possibile solamente se il concetto di sostanza viene lasciato cadere, in questo modo Postone si preclude una teoria della crisi.

Mentre Postone, in ultima analisi, non possiede un concetto di sostanza, Lohoff lo mantiene, però in una forma stranamente contraddittoria in relazione ai titoli di proprietà: «Nella creazione di capitale fittizio, al contrario, avviene qualcosa di molto più semplice e allo stesso tempo essenzialmente mostruoso. Nel meraviglioso mondo delle merci di second'ordine, l'ordinamento temporale caratteristico del capitale funzionale viene messo a testa in giù. Nella forma contorta del capitale fittizio, il lavoro vivo può essere selvaggiamente capitalizzato ed il capitale sociale esistente può essere accresciuto ancor prima del suo utilizzo. Pertanto, non è il necessario legame tra aumento del capitale e dispendio di lavoro ad essere smentito dal capitale fittizio, ma ad essere revocata è solo la condizione per cui il lavoro vivo dev'essere stato speso prima che ci possa essere accumulazione come capitale. Anche il capitale fittizio possiede, come "sostanza", la sostanza del lavoro, tuttavia si tratta di lavoro astratto che ancora non è stato svolto, e che continua a lasciare completamente aperta la questione di sapere se questo accadrà. Le merci di second'ordine, quindi, considerate dal punto di vista del capitale globale, rappresentano la realizzazione della capitalizzazione che precede il valore futuro ancora non creato» (Lohoff/Trenkle, 2012). A tutto questo bisogna obiettare che quello che appare possibile sul piano empirico del capitale individuale, viene in ultima analisi confutato sul piano categoriale del capitale globale, una volta che «nella riproduzione allargata del capitale, apparentemente infinita, o nel ciclo delle sue metamorfosi della forma del valore che attuano l'accumulazione, si apre un gap che viene temporaneamente colmato da un valore immaginario senza sostanza, successivamente in due modi: la mancanza di domanda viene sostituita dal credito in un ordine di grandezza che ormai non può più essere onorato; ma dal momento che questo valore, realizzato apparentemente, non è sufficiente a pagare i costi prima del successivo round produttivo ... anche questi costi devono essere sostituiti dal credito in un ordine di grandezza che ugualmente non può essere onorato. Sebbene, in una prospettiva superficiale, il ciclo del capitale prosegue nonostante qualche frizione, si apre un gigantesco buco nero fra il passato ed il futuro della formazione della sostanza del valore» (Kurz, 2012).

Allora come può avere sostanza il capitale fittizio se non è stato svolto il lavoro astratto che forma la sostanza? È questa la spiegazione che Lohoff non riesce a dare. Invece, si manifestano qui le conseguenze della persistenza dell'individualismo metodologico che ovviamente, come abbiamo visto prima, fanno cadere la condizione per cui dev'essere speso il lavoro vivo prima che ci possa essere accumulazione come capitale. Sul piano empirico del capitale individuale, questa condizione sembra non avere alcun significato; sul piano del processo globale, del capitale globale, questa condizione è essenziale, poiché, in caso contrario, la metamorfosi rimane incompleta, in quanto, come già detto, il divario risultante può essere colmato solo temporaneamente e provvisoriamente per mezzo del valore immaginario, senza sostanza. Se non viene chiusa questo divario, allora la fenditura che si apre sempre più fra il passato ed il futuro diventa un buco nero che divora tutto. E Lohoff stesso deve ammettere che la questione di sapere se in distante futuro ci sarà il dispendio di forza lavoro rimane aperta, cosa che in ultima analisi non significa altro se non il fatto che una successiva formazione di sostanza è del tutto incerta. Questo mostra fino a che punto gli errori possono portare a persistere nell'individualismo metodologico. Così, c'è inevitabilmente una differenza sostanziale fra il rifinanziamento del capitale attraverso il ricorso predominante alla produzione di plusvalore già realizzato in passato (per esempio sotto forma di risparmio), da una parte, e attraverso il ricorso predominante alla produzione di plusvalore futuro che non è neppure cominciata, e ancor meno realizzata (sotto forma di credito), dall'altra parte.
La risposta alla domanda del concetto di sostanza si lega simultaneamente con la risposta ad un'altra domanda essenziale, quella sulla ricchezza capitalista. Marx inizia il primo volume de Il Capitale, com'è noto, affermando che la «la ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalista, ... [si presenta] come un'enorme accumulazione di merci». Successivamente, Marx lega questa ricchezza, nel concetto di valore, al dispendio produttivo di cervello, muscoli, nervi, mani umane, ossia, al concetto di sostanza. Il valore e, pertanto, il capitale devono essere "riempiti" con la sostanza, con la forza lavoro umana, se si pretende che valore e capitale rappresentino ricchezza capitalista.
Naturalmente, le merci ordinarie, rappresentative del lavoro già oggettivato, sono ricchezza capitalista. Tuttavia, si pone la stessa domanda relativamente ai titoli di proprietà che, secondo Lohoff, significano anche un'anticipazione del lavoro astratto futuro. Anch'essi rappresentano ugualmente ricchezza capitalista? Lohoff risponde chiaramente a questa domanda con un sì: «Nella loro forma differente, tuttavia, le azioni e le obbligazioni non rappresentano meno ricchezza capitalista di quanto la rappresentano le merci che hanno successo sul mercato. Mentre le merci di ogni tipo incorporano realmente valore, ossia, il risultato del lavoro privato passato, i titoli di proprietà incorporano l'anticipazione del valore futuro. Nella relazione fra creditori e debitori, fra chi emette e chi compra azioni nasce in questo modo una varietà di ricchezza capitalista che non è meno reale di quella variante della ricchezza capitalista che si basa sull'utilizzo reale del lavoro vivo» (Lohoff/Trenkle 2012). Affermazione che è possibile soltanto se uno si comporta in maniera contraddittoria con il concetto di sostanza come fa Lohoff e, soprattutto, seguendo l'individualismo metodologico, in quanto considerare esclusivamente le relazioni fra creditori e debitori fa perdere completamente di vista il movimento del capitale globale. Dal punto di vista degli azionisti, dei creditori e dei debitori, ossia dalla prospettiva del capitale individuale, è ovvio che le azioni e i crediti si presentino come ricchezza uguale a qualsiasi altra, ma sul piano del capitale globale il capitale fittizio semplicemente non significa alcuna ricchezza capitalista, poiché le manca la sostanza dei nervi, del muscolo e del cervello; nel caso del capitale fittizio, la metamorfosi del capitale non è completa, e questo è cruciale!
Seguendo l'individualismo metodologico, Lohoff può concludere che per mezzo di meri titoli di proprietà sarebbe nata una nuova merce che aumenta la ricchezza capitalista senza alcuna precedente accumulazione di valore. In questo modo, Lohoff non si rende conto che il capitale da solo gli appare come una fonte misteriosa ed auto-creatrice di capitale poiché l'apparizione diretta e immediata di più denaro, a partire dal denaro, è solo un'apparenza di superficie del mercato, in quanto l'interesse è sempre soltanto una parte del profitto, ossia del plusvalore estorto al lavoratore dal capitalista in servizio (Marx). Pertanto, solo quando l'energia del lavoro fluisce realmente verso il capitale, e ne costituisce così la sua sostanza, solo allora il capitale è capitale reale, e solamente il capitale con sostanza costituisce la ricchezza astratta capitalista. Perciò Marx ha scelto saggiamente il concetto di "capitale fittizio", ma Lohoff trova questo concetto un po' infelice (Lohoff, 2014) e così dimostra che, a causa della mancanza del concetto di sostanza e per il suo persistere nell'individualismo metodologico, non si rende conto del ruolo che il capitale fittizio svolge nella metamorfosi del capitale globale. Ma una volta che i titoli di proprietà, come perfino Lohoff e Krisis riconoscono, significano un'anticipazione di lavoro astratto futuro, essi non possono significare nessuna ricchezza reale, ma solo apparente, in quanto manca ai titoli di proprietà proprio la sostanza, ossia, nervi, muscoli e cervello. La metamorfosi del capitale rimane, quindi, incompleta. Così, l'anticipazione del lavoro astratto viene dislocata sempre più nel futuro e inevitabilmente diventa sempre più insostenibile, con le note conseguenze del crollo di tutte le componenti del capitale.

È proprio l'adesione al concetto di sostanza ed il superamento dell'individualismo metodologico che costituiscono la base della teoria della crisi svolta dalla critica della dissociazione-valore, la quale descrive il meccanismo di crisi come un processo di desustanzializzazione del capitale che si innesca in forma oggettiva e in maniera oggettiva si aggrava. Com'è noto, la terza rivoluzione industriale si caratterizza anche per il fatto di annichilire dappertutto il lavoro astratto, e senza sostituirlo, riducendolo così in maniera considerevole. In tal modo sparisce un meccanismo di compensazione sostanziale, ragion per cui paralizza la necessaria espansione di plusvalore, in quanto alla fine, come ultimo fondamento della crisi, la massa sociale di valore e plusvalore si restringe, e a causa di questo infuria una concorrenza sempre più aspra. Per la prima volta nella storia del capitalismo la razionalizzazione si lascia alle spalle la riduzione dei prezzi delle merci e l'espansione dei mercati ad esse associate. La scientifizzazione della produzione, inoltre, fa anche aumentare la composizione organica del capitale, il che significa che diventa necessario molto più investimento per poter utilizzare la medesima quantità di forza lavoro. I costi iniziali a questo associati non possono più essere soddisfatti con le risorse finanziarie proprie dell'impresa, i crediti assumono un ruolo dominante del tutto nuovo nella riproduzione capitalista, l'accesso permanente al sistema creditizio diventa conditio sine qua non per continuare a partecipare al mercato e, pertanto, per la produzione di profitto (vedi Kurz, 2012).

Questi due processi fanno sì che i profitti ottenuti in periodi precedenti della produzione fluiscano sempre meno verso gli investimenti in capitale produttivo e sempre più verso i mercati finanziari, per poi continuare a valorizzarsi apparentemente, senza alcun processo di valorizzazione reale, cioè, senza sostanza. Siccome, da un lato, alle persone separate dal processo lavorativo manca sempre più il denaro per consumare in quanto consumatori, dall'altro lato, ai capitali individuali manca sempre più il denaro per coprire i necessari costi iniziali al fine di una produzione che si espanda a quel livello di produttività che aumenta necessariamente sempre più. A questi bisognosi partecipanti al mercato vengono forniti crediti per mezzo di capitale monetario inattivo, che posticipa solamente la loro insolvenza. Inoltre, i capitali monetari inattivi vengono investiti nei mercati delle azioni o degli immobili, cosa che servirà a fare crescere abbastanza i loro prezzi. In entrambi i casi, nonostante che i proprietari di tali titoli di proprietà si possono considerare virtualmente ricchi secondo il processo oggettivo qui descritto. la desustanzializzazione del capitale viene in tal modo solo rimandata, e la produzione ed il consumo in tal modo indotti, senza base reale di sostanza del valore, prima o poi finiscono per dimostrarsi non validi a causa dello scoppio delle bolle finanziarie, creditizie ed immobiliari.

È proprio attraverso la sua adesione conseguente al concetto di sostanza, che Kurz identifica «una enorme differenza fra il rifinanziamento del capitale attraverso il ricorso predominante ad una produzione di plusvalore già realizzata in passato (ad esempio, sotto forma di riserve), da un lato, e attraverso il ricorso predominante ad una produzione di plusvalore futuro, addirittura nemmeno iniziata e ancor meno realizzata (sotto forma di credito), dall'altro lato. Per quanto le due forme di rifinanziamento siano sempre andate, fin dall'inizio. di pari passo, l'aumento relativo della seconda (analogo all'aumento relativo alla quota-parte di capitale nella composizione organica del capitale) ha sempre costituito un'alterazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa, nella riproduzione del capitale, così come nel caso della caduta del saggio di profitto» (Kurz, 2012).

Lohoff e Krisis non vedono questa differenza nel rifinanziamento del capitale. «Quanto al denaro, non si vede da dove esso provenga» (Lohoff/Trenkle 2012), asserisce Lohoff, succintamente e convincentemente, e può affermarlo in quanto, per lui, i titoli di proprietà - secondo la sua lettura, merci di second'ordine - rappresentano ricchezza capitalista proprio come le merci comuni. E, difatti, se rimaniamo sul piano empirico del capitale individuale, questa differenza non è riconoscibile ed è semplicemente indifferente al capitale individuale. Ma dal momento che il denaro, come Lohoff lo definisce rimanendo sul piano del capitale individuale, non serve da equivalente universale, e il valore d'uso sociale del denaro riferito al piano del capitale globale non consiste nell'esprimere o rappresentare realmente il valore astratto di tutte le altre merci, Lohoff e Krisis semplicemente non riescono a riconoscere questa differenza. Ora, il denaro, e pertanto il capitale, incorpora valore solo se contiene sostanza, visto che il capitale senza sostanza, così come il denaro senza sostanza, ossia, il denaro senza valore, non rappresentano alcuna ricchezza capitalista!

«La forma dell'equivalente universale, puramente e semplicemente non può consistere (come ancora avviene nel caso dell'analisi semplice della forma valore) nel valore di uso materiale e naturale di una merce che rappresenta il valore o il valore di scambio di un'altra merce. È precisamente la forma del valore astratta dalla merce denaro in quanto rappresentazione di energia lavorativa umana astratta appartenente al passato che, contrariamente a quel che avviene con tutte le altre merci - non caratterizzate da questa rappresentazione individuale immediata - la dota, per così dire, del metavalore d'uso per esprimere la quota-parte di tutte le merci nella sostanza sociale del valore» (Kurz, 2012). Pertanto, la svalorizzazione del denaro esprime il processo oggettivo di desustanzializzazione del capitale. Sul piano empirico del capitale individuale, ovviamente, questo processo non può essere riconosciuto, e qui questo processo oggettivo si manifesta anche attraverso la rottura delle catene di credito.

Di conseguenza, Lohoff e Krisis, a causa della mancanza del concetto di sostanza e persistendo nell'individualismo metodologico, non riescono a riconoscere la natura oggettiva del processo di crisi. Al contrario, Lohoff sostiene che il legame fra «le due sezioni dell'universo della merce [sarebbe] altamente elastico e indistruttibile» (Lohoff/Trenkle, 2012). Leggiamo ancora che indagando un titolo finanziario individuale diventa chiaro che il valore che il suo venditore presumibilmente trarrà in futuro nelle sue mani può già oggi rappresentare capitale per l'acquirente.

Astraendo dal fatto che non si può vendere valore, Lohoff, per dare fondamento a questa abilità si serve della capitalizzazione previa di un valore ancora inesistente, Lohoff si serve nel modo più strano di una comparazione con la natura, ossia, che l'acqua congelando, alla temperatura al di sotto di 0° C, fa sparire l'acqua liquida, e viceversa, con l'aumento della temperatura, può nascere di nuovo acqua allo stato liquido a scapito del ghiaccio, e su scala globale il livello del mare si può abbassare, e diminuire in conformità, e continua: «Nel mondo feticista dell'economia esiste con il capitale una "materia" molto speciale, al cui bilancio generale si applica la legge inversa. Il livello d'acqua del capitale funzionale aumenta con l'aumentare di capitale fittizio e diminuisce quando il capitale fittizio si scioglie» (Lohoff/Trenkle, 2012).

Nascono bolle di capitale fittizio perché i guadagni non sono valorizzabili nella "economia reale", poi vengono incanalati verso i mercati finanziari e qui si moltiplicano senza sostanza. In questa riproduzione apparentemente ampliata di capitale, ovvero nel suo ciclo, si apre uno spazio vuoto, che è quello del lavoro astratto che forma la sostanza, dislocato nel futuro. Questo gap può essere colmato solo temporaneamente dal valore senza sostanza, per mezzo del credito nei confronti del consumo in caduta dei consumatori e per mezzo di credito verso i costi previi dei produttori. Così, la produzione generata dalla creazione di denaro senza sostanza deve inevitabilmente rivelarsi come non valida, con lo scoppio delle bolle, come ha drammaticamente dimostrato la crisi immobiliare del 2008. Lohoff e Krisis semplicemente non riconoscono questa differenza essenziale fra produzione generata a partire dal denaro dotato di sostanza e produzione generata a partire da denaro privo di sostanza, ossia, denaro senza valore. Pertanto, nella relazione fra capitale funzionale e capitale fittizio sembra loro, in questo senso, che la formazione di capitale fittizio avrebbe portato alla moltiplicazione di capitale funzionale che, tuttavia, dal punto di vista del processo globale, può essere solamente capitale senza sostanza.

Anche la famosa frase di Karl Marx nei Grundrisse ci porta a leggere la desustanzializzazione sotto questo punto di vista: «Non appena il lavoro nella sua forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza il tempo di lavoro cessa e deve cessare di esserne la sua misura, e quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di esserlo [la misura] del valore d'uso. (...) Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e lo stesso processo di produzione materiale immediato viene spogliato anche della forma della precarietà e della contraddizione.» (Marx)

Ma, al contrario di Postone, che con il suo teorema della ricostituzione del valore ha rifiutato la teoria della crisi, Lohoff e Krisis non abbandonano il limite interno del capitale. Così, cadono immediatamente nella trappola che essi stessi hanno teso. In quanto ora dev'essere formulata una teoria della crisi basata sul linite interno, senza che vi sia una conseguente adesione al concetto di sostanza, e sul piano empirico del capital individuale. È questo quello che prepara Lohoff con la mossa successiva: «La creazione di merci di second'ordine si trova alla fine collegata al fatto che in questo caso i punti di riferimento dell'economia reale sono provvisti di capitale. Questo spiega come l'accumulazione di capitale fittizio possa diventare un motore del funzionamento capitalista globale. L'interfaccia con l'economia reale è, allo stesso tempo, il punto debole di questa moltiplicazione della ricchezza capitalista, e lo è sotto due aspetti. Bisogna che ci siano e che vengano di nuovo creati dei punti di riferimento sufficienti, verso cui si orientino i profitti futuri; c'è bisogno, pertanto, di fari di speranza nell'economia reale, di modo che la formazione di capitale fittizio acceleri o possa continuare senza interruzioni. In caso contrario, la distruzione di capitale fittizio si ripercuote inevitabilmente sull'accumulazione reale» (Lohoff/Trenke, 2012). Lohoff lega tutto questo alla questione che è per lui decisiva: «Potrà [il capitalismo] anticipare illimitatamente valore futuro, oppure quest'anticipazione rappresenterà una "risorsa" finita, che non può essere fabbricata per un tempo illimitato dall'industria finanziaria?» (Lohoff/Trenkle, 2012). E continua con la sua argomentazione: «La pre-capitalizzazione non anticipa in alcun modo un futuro generale indeterminato; al contrario, vengono capitalizzate molte aspettative individuali di rendimento che devono essere legate ad attori individuali concreti. L'idea per cui il capitale fittizio verrebbe creato a partire da "niente" può essere molto popolare, ma è fondamentalmente sbagliata. Il nulla non è niente. Come la formazione del valore, anche la pre-capitalizzazione del valore va intesa come una relazione sociale specifica» (Lohoff/Trenkle, 2012). L'economia asiatica del deficit e quella intra-europea, con il finanziamento per mezzo del credito al consumo, da un lato, e la produzione, dall'altro - in un ordine di grandezza storicamente unico; l'inondazione dei mercati finanziari con denaro "fresco", ma senza sostanza, ad esempio, nel recente passato, da parte della FED con 85 miliardi di dollari al mese e, attualmente, da parte della Banca Centrale Europea con 65 miliardi di euro al mese; e, infine, l'acquisto di "titoli tossici" da parte delle banche centrali, dimostra esattamente il contrario, la creazione di denaro a partire da niente. Questo denaro senza sostanza arriva sui mercati finanziari e diventa capitale senza sostanza.

«L'acquirente di titoli di proprietà dev'essere in grado di credere nella futura capacità di rimborso del suo partner commerciale» (Lohoff/Trenkle, 2012). Anziché descrivere ed analizzare fatti oggettivi, alla maniera della critica della dissociazione-valore, nel caso di Lohoff e di Krisis bisogna presentare frettolosamente, come giustificazione, una questione di valutazione soggettiva, quasi un articolo di fede. È da questo articolo di fede che Lohoff estrae tutta la sua teoria della crisi, la teoria della crisi dei "fari di speranza" nell'economia reale (Lohoff/Trenkle, 2012). Vale la pena ricordare la meravigliosa metafora scelta da Tomasz Konicz nel suo articolo "Finanzblasenentzündung" [L'infiammazione delle bolle finanziarie], pubblicato sulla rivista Konkret 4/2014. In una scena del cartone animato della Warner Bros, "Road Runner", viene mostrato come il coyote si lanci sulle rocce di un profondo precipizio, rimanendo sospeso in aria. Solo quando si accorge realmente che gli manca il terreno sotto i piedi ne consegue una profonda caduta. Questa allegoria ci dice che la fede o la certezza di una base sicura si può perdere solamente quando tale base viene realmente persa. La crisi del 2008 si è rivelata chiaramente solo quando il boom immobiliare negli Stati Uniti è realmente diminuito a partire dal 2006 e, conseguentemente, i proprietari di immobili non hanno potuto continuare a pagare gli interessi delle ipoteche, cosicché le catene di credito si sono rotte in massa, e si è persa così la fede sicura generalizzata nell'aumento costante dei prezzi del settore immobiliare; ma solo a seguito dei titoli cartolarizzati senza valore, la cui assenza di valore è venuta alla luce solo quando i proprietari di immobili hanno smesso di poter pagare gli interessi delle ipoteche, con la conseguenza che il mercato delle azioni è collassato. La fede nell'alto valore delle azioni viene allora a perdersi, proprio perché il capitale in esse rappresentato era veramente senza valore. Questo significa che le aspettative e le credenze sono sempre determinate, derivate o perfino corrette dalle realtà. Così, lo scoppio delle bolle finanziarie e speculative senza sostanza, la rottura in massa delle catene di credito, sono eventi dovuti al processo oggettivo di desustanzializzazione del capitale che scatenano crisi e che solo dopo vengono percepite. In Lohoff, tuttavia, avviene il contrario. Gli si deve fare la domanda: se il processo di crisi oggettivo del capitale deriva dalla valutazione soggettiva, dove sono i fatti oggettivi su cui si basa questa valutazione, dal momento che Lohoff ci deve dare la risposta proprio a queste domande? Egli ci mette semplicemente davanti: «La creazione di capitale fittizio è, pertanto, dipendente da una risorsa che non può essere creata dall'industria finanziaria: i "fari di speranza" nell'economia reale. (...) Dall'altro lato, è necessario che sorgano regolarmente nuovi "fari di speranza" che possano sostituire i fari esauriti. Mentre il rifornimento è assicurato, anche la potenza della pre-capitalizzazione del capitalismo inverso è garantita. Se viene temporaneamente interrotta, si verifica un focolaio di crisi (...)» (Lohoff/Trenke, 2012). Il focolaio di crisi, in questa lettura, è una questione di valutazione soggettiva, Lohoff non vede un processo di crisi con cause oggettive e con uno sviluppo oggettivo, dal momento che ad essere «decisivo, quando viene raggiunto il punto, non è la somma di qualsiasi grandezza statistica, ma il modo in cui i potenziali acquirenti valutano la situazione oggettiva del paese. Perfino aspettative di un ritorno a singole imprese individuali può apparire plausibile per dei periodi significativi di tempo, e servire da subito come base della formazione di capitale fittizio, come ha reso evidente il boom della new economy degli anni 1990». E ancora: «Le aspettative sono in sé qualcosa di vago, che non può essere più oggettivato» (Lohoff/Trenkle, 2012). E soprattutto, però, il capitalismo inverso si ammala perché la sua necessità di nuovi "fari di speranza" non può essere soddisfatta in maniera duratura.
E ancora: «In quanto aspettative di redditi diventati merci, i prodotti finanziari sono merci derivate. La loro capacità di incorporare ricchezza capitalista, in quanto anticipazione della creazione di valore futuro, è influenzata essenzialmente dal modo in cui si modificano le prospettive rispetto all'economia reale cui si riferiscono i titoli di proprietà in questione. Se in un determinato settore dell'economia reale, le aspettative di guadagno si rivelano successivamente come irrealizzabili, questo si ripercuote inevitabilmente sui titoli di proprietà legati a tale settore. La crescita esplosiva dei crediti immobiliari si è fermata nel momento in cui è scomparsa la prospettiva di aumento dei prezzi del settore immobiliare» (Lohoff/Trenkle, 2012). Questo può essere letto come la descrizione di un istinto di branco, in cui molti investitori in borsa amano fare quello che fanno le grandi masse, perciò, se un individuo o un gruppo di investitori assume qualcosa come posteriormente irrealizzabile, una massa sempre più grande di investitori reagisce unendosi, e tutto un settore viene presumibilmente risucchiato in questo vortice. Una spiegazione comune nei circoli bancari, ma che rivela quanto meno qualcosa di altamente problematico.

E qui Lohoff diventa abbastanza contraddittorio, in quanto prima si legge: «Nelle sue forme devianti, le azioni o le obbligazioni non rappresentano meno ricchezza capitalista delle merci che hanno successo sul mercato delle materie prime... Nella relazione fra creditori e debitori, fra emittenti ed acquirenti di azioni, nasce così una varietà di ricchezza capitalista che da quel momento in poi non è meno reale di quanto lo sia la variante di ricchezza capitalista basata sull'utilizzo effettivo di lavoro vivo» (Lohoff/Trenkle, 2012), e se poi afferma: «poiché il trasferimento di ricchezza capitalista futura verso il presente...» (Lohoff, Trenkle, 2012), allora il lettore interessato deve chiedersi: la ricchezza è semplicemente reale oppure è solo futura? Quindi l'anticipazione di creazione di valore futuro è ricchezza capitalista!
Qui, possiamo vedere a titolo di esempio dove può portare la ricerca di una spiegazione del limite interno del capitale quando non si appoggia al concetto di sostanza e, pertanto, rimane nell'individualismo metodologico.
I redditi o la loro assenza, la mancanza di profitto nelle imprese individuali o quella di un gruppo di imprese di un determinato settore, che poi si ripercuote sul settore (Lohoff/Trenkle, 2012), tutti questi argomenti possono essere ascoltati dagli economisti dell'economia politica borghese, o direttamente in Borsa; che adesso facciano la loro comparsa nel circolo di Krisis, che si definisce come critica del valore, è spaventoso!

Quel che Lohoff ci presenta con il suo teorema delle merci di second'ordine è una "teoria della crisi" fondata sui fari di speranza, ossia, su aspettative soggettive, dopo tutto una "teoria della crisi" che secondo Lohoff è solo una questione di valutazione, perciò è una teoria della crisi che non merita in alcun modo un simile nome.
In sintesi, si può dire che se il libro di Lohoff e Trenkle, nonostante il prezioso materiale empirico, non contribuisce allo sviluppo di una teoria della critica del valore ma, al contrario, documenta una delle molte fondamentali differenze fra "Krisis" ed "Exit!".
La mancanza, in Krisis, di un concetto di sostanza porta ad un concetto di ricchezza che non si basa sulla sostanza del lavoro astratto, ma cancellando la differenza essenziale fra capitale funzionale e capitale fittizio con la sua forma di denaro - e anche con il suo persistere nell'individualismo metodologico - blocca qualsiasi teoria oggettiva della crisi. Anche perché non viene riconosciuta la differenza «fra il rifinanziamento del capitale attraverso il ricorso predominante ad una produzione di plusvalore già realizzato in passato (ad esempio, sotto forma di riserve), da un lato, e dal ricorso predominante ad una produzione di plusvalore futuro, ancora nemmeno iniziata ed ancor meno realizzata (sotto forma di credito), dall'altro lato» (Kurz, 2012).
Invece di questo, da inizio alla fuga verso un concetto soggettivista della crisi, che si basa su "fari di speranza", ossia, in ultima analisi, sulle aspettative, e che è del tutto inadeguato, e perfino vergognoso, come approccio critico del valore.
Questo non significa affatto sviluppo teorico, ma un vicolo cieco, in cui Krisis si è cacciata. Un situazione, ovviamente, caratteristica di Krisis.

- Bernd Czorny - Pubblicato su EXIT! il 18 febbraio 2014 -

NOTE:

[*1] - Già nel 2007, nel suo saggio "Il valore della conoscenza", su Krisis n°31, Lohoff aveva coniato il concetto strabiliante di "sorella della merce", riferito allora ai beni digitali presumibilmente non-merci, che gli meritò, da parte di Robert Kurz, una critica demolitrice nel saggio "Il disvalore dell’ignoranza".
"Critica del valore" tronca come ideologia di legittimazione di una nuova piccola borghesia digitale (su EXIT! n°5, 2008), che chiudeva con un post-scriptum:
«Dev'essere chiaro ai lettori e alle lettrici che occorre qui una profonda rottura rispetto al contenuto in seno alla cosiddetta critica del valore, rottura che non può già più venire nascosta come una semplice invocazione di presunti litigi personali, e che si era già delineata da molto tempo. Si tratta di sapere se la teoria della dissociazione-valore mantiene una pretesa di critica radicale, o se essa deriva dall'ideologia leggittimatrice dell'economia alternativa. Si tratta di una differenza che riguarda la totalità...»

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fonte: EXIT!

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