Cosa avviene del pensiero quando viene ad essere strumentalizzato all'interno di una struttura bipolare innalzata a nuovo mito moderno, dove si fronteggiano il "pensatore" (Heidegger) ed il "banale burocrate" (Eichmann)?
Da una quindicina d'anni, la pubblicazione di numerosi scritti di Heidegger hanno rivelato la radicalità del suo nazionalsocialismo e del suo antisemitismo. A quel punto, i suoi difensori si sono aggrappati all'intensità della sua percezione, per tentare di salvare il suo statuto di grande pensatore.
Fra questi, è stata senza dubbio Hannah Arendt ad aver maggiormente contribuito, dopo il 1945, alla diffusione del suo pensiero a livello planetario. A leggerla, tuttavia, ci si imbatte in una domanda che diventa uno degli interrogativi del libro: come il medesimo autore abbia potuto conciliare la difesa iperbolica di Heidegger con la descrizione critica del totalitarismo nazionalsocialista, in particolare per quanto attiene alla sua relazione sul processo Eichmann? In effetti, Arendt sembra contraddirsi: da un lato, i suoi studi della dinamica distruttrice dei movimenti hitleriani e stalinisti nel corso del 20° secolo, qualificari come totalitari; dall'altro lato, la sua apologia di Heidegger, fatta nel 1969 in occasione dei suoi ottant'anni.
Per Emmanuel Faye, questa contraddizione è solamente apparente, e l'interpretazione del nazionalsocialismo svolta da Arendt e il fatto di esentare Heidegger da ogni responsabilità sono intimamente legati.
Lo studio sulle "Origini del totalitarismo" mostra il modo in cui Arendt sviluppa una visione heideggeriana della modernità. Ne "La condizione dell'uomo moderno", la concezione disumanizzata dell'umanità al lavoro ed il discredito relativo alle società egualitarie vengono anch'esse svolte a partire da Heidegger.
Inoltre, ci sono delle lettere inedite che mostrano come Arendt abbia deciso di seguire le orme di Heidegger prima del loro reincontro del 1950.
Si tratta di un'adesione intellettuale, irriducibile alla sola passione amorosa, e che merita di essere presa sul serio.
Certo, Arendt non parteggia per l'antisemitismo sterminatore di Heidegger, confermato dai suoi "Quaderni neri". Ma, tuttavia, questo diviene il pensiero, nel momento in cui lei si vede strumentalizzata dentro l'opposizione - nuovo mito moderno - fra Heidegger, il "pensatore" ritiratosi sulle cime innevate della sua capanna di Todtnauberg, ed Eichmann, l'esecutore senza pensiero, il "clown" murato nella sua gabbia di vetro.
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