sabato 22 ottobre 2016

Profeti di strada

archivobolano

«Ma al di là della sua indifferenza verso il futuro, Dick è anche un profeta. un profeta di strada, diremmo un profetta lumpen, senza il prestigio di un Norman Mailer, un Arthur Miller o un John Updike. e senza l'aura di un Salinger (i lettori di Dick e Salinger sogliono essere giovani, però quelli di Dick sono giovani freaks). Quanto ai racconti e i romanzi, non si vede una grande differenza: ci sono romanzi di dick che non sono altro che una successione di racconti, come lo è anche il Moby Dick di Melville. I suoi racconti d'altra parte, sono incredibilmente buoni. Riguardo al fatto che alcuni dei suoi romanzi non sembrano seguire uno schema logico, io credo che bisogna tener conto che molti di questi romanzi sono scritti su incarico e sotto l'influenza delle anfetamine, che sono romanzi di sostentamento che probabilmente Dick scriveva in meno di un mese, senza un progetto previo nè strutture, e che in realtà sono improvvisazioni.»

- da "conversazione tra Rodrigo Fresan & Roberto Bolaño" - giugno 2002

Bolaño, nel nome di Philip Dick
- Inediti. Esce in America Latina «El espíritu de la ciencia ficción», un romanzo dello scrittore cileno dei primi anni 80, rimasto forse incompiuto -
di Francesca Lazzarato

La discussione sull’opportunità di pubblicare gli inediti di uno scrittore defunto, lasciati nel cassetto o rinnegati, è così antica e logora che sembra inutile riprenderla: eppure, dopo ogni ritrovamento di qualche importanza, sull’argomento non manca di rinascere un certo dibattito. Chi è favorevole tirerà fuori l’emblematico caso dei manoscritti di Kafka, salvati da Max Brod, o quello dei Papeles inesperados di Cortázar, portati meritoriamente alla luce da Aurora Bernárdez.
Altri sosterranno che i testi dovrebbero essere a uso esclusivo degli studiosi; altri ancora chiederanno rispetto per la memoria e la volontà degli scomparsi, alla cui gloria le opere inconcluse o mal riuscite non aggiungono nulla, e porteranno esempi opposti: le scelte della vedova di Borges, Maria Kodama, che fa circolare rimasugli di ogni tipo, comprese le sbobinature di quattro conferenze sul tango del 1956, piene di banalità e di cose già dette, apparse in giugno per l’editore Sudamericana; oppure la fedeltà di Mercedes Barcha che, per non tradire la decisione del marito García Márquez, rifiuta di dare alle stampe En agosto nos vemos, romanzo rimasto inedito perché l’autore lo giudicava insoddisfacente.
A simili querelle, però, sembra estraneo il mercato editoriale, che da tempo propone una valanga di reperti, accompagnati da fabulazioni sul recupero miracoloso di una merce il cui valore commerciale non sempre è pari a quello letterario, e che spesso si trova al centro dell’avidità incrociata di editori ed eredi.
Può accadere, così, che autori non più in vita producano un congruo numero di novità, come sta succedendo a Roberto Bolaño, scrittore grandissimo e santo laico di un culto planetario, che alla sua morte ha lasciato sia testi inediti ma conclusi, da lui stesso destinati alla pubblicazione, sia una montagna di pagine prodotte in trent’anni di scrittura e già esibite nella mostra Archivo Bolaño 1977-2003, inaugurata a Barcellona nel 2013.
Da questo materiale – che, dice il critico Ignacio Echevarría, amico di Bolaño e curatore di alcuni suoi titoli postumi, «possiede un interesse in un certo senso archeologico, perché consente di portare allo scoperto gli strati e le fondamenta sepolti sotto l’opera pubblicata per volontà dello scrittore» – sono già stati tratti otto titoli tra narrativa, saggistica e poesia, e altri se ne annunciano.
Il tre novembre, infatti, esce in America latina El espíritu de la ciencia ficción, che verrà poi presentato alla Fiera del libro di Guadalajara: un romanzo dei primi anni ottanta, offerto al pubblico dalla Editorial Alfaguara, oggi proprietà del colosso Penguin Random House che da anni fa incetta di marchi spagnoli e latinoamericani e che, in accordo con la vedova Carolina López e il suo agente Andrew Wylie, a marzo ha portato via l’intera opera di Bolaño, inediti inclusi, ad Anagrama, il cui direttore Jorge Herralde è stato il primo a credere nello scrittore cileno.
Uno strappo al centro di vivaci polemiche, non ultima quella scatenata da Echevarría con un articolo apparso alla fine di settembre, che critica la gestione di López e ne interpreta la sua rottura con Herralde e con quanti furono vicini allo scrittore, alla luce di una vera e propria «cancellazione» degli ultimi anni di Bolaño, quelli in cui ebbe come compagna un’altra donna.
Al netto dei veleni e delle perplessità, il libro è comunque attesissimo, e il nuovo editore – che si accinge a ripubblicare in formato tascabile e in ebook l’intera opera di Bolaño – ne garantisce la compiutezza, confermata dalla firma e dalla data (1984) apposte dall’autore (ma dalle lettere indirizzate all’amico García Porta risulta che nel 1986 il romanzo non era concluso e che l’autore nutriva dubbi sulla sua riuscita, tanto da lasciarlo poi affondare tra abbozzi e brutte copie).
Della storia, dedicata a Philip K. Dick, si sa soltanto che si svolge a Città del Messico negli anni ’70, e che i protagonisti ricordano quelli di I detective selvaggi, ma in versione adolescente; a concludere il testo ci sono poi alcune «lettere aperte» a famosi autori di fantascienza.
Un nuovo/vecchio titolo si aggiunge così alla bibliografia bolañiana, ma anche a quella assai vasta, si è limitato a commentare Herralde, «sulle vedove degli scrittori, della quale Carolina López entrerà a far parte».

- Francesca Lazzarato - Pubblicato su Il Manifesto dell'8.10.2016 -

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