Heidegger, di nuovo
- di Jean-Pierre Baudet -
Con il secondo volume, dedicato da Emmanuel Faye ed il suo gruppo ad Heidegger (Heidegger, le sol, la communauté, la race, Beauchesne 2014), si può dire che si sono accumulati rapidamente tutti gli argomenti necessari per poter finalmente prendere le misure del carattere nazista di questo presunto filosofo. Stranamente, la professione filosofica che, soprattutto in Francia, aveva costruito la propria attività su delle basi così discutibili, e che ora minacciano il fallimento, è rimasta sorda ai contributi più antichi che, tuttavia, avevano rivelato abbastanza presto non tanto l'antisemitismo, oramai riconosciuto, del "Maestro", quanto il carattere allo stesso tempo disonesto e nazionalsocialista del suo pensiero nella sua totalità (Günther Anders, in numerosi suo scritti, fra il 1936 ed il 1954, e Theodor Adorno nel suo celebre testo del 1964, "Il gergo dell'autenticità: sull'ideologia tedesca").
L'ambiente né carne né pesce che si è impadronito della corporazione ricorda l'incertezza dei passeggeri del Titanic: chi sarà capace di salire sulle scialuppe di salvataggio? Riusciranno a lasciare a bordo del futuro relitto l'ingombrante antisemitismo al fine di poter salvare il corpo della dottrina, che si suppone sia meno pesante, e separabile da quella "grossa bestia" (l'espressione, si sa, è di Heidegger)? Gli heideggeriani di razza (qualificativo usato di proposito) hanno esaurito tutte le loro munizioni, che consistevano essenzialmente nella manomissione della traduzione, nel preservare col segreto l'impubblicabilità dei testi più inquietanti, e in una malafede alimenta dalle loro stesse zone d'ombra, mentre coloro che masticano con disgusto e ripugnanza le citazioni più indifendibili tentano ora di fare dello "errore" e della "erranza" l'ultima qualità commerciabile dell'astuto mentitore di Todtnauberg, nel momento stesso in cui diventa chiaro che non c'era né errore né erranza, ma solamente una grande difficoltà legata alla scomparsa del regime nazista: il soggetto heiddegeriano della storia era affondato insieme alla cancelleria del Reich, il discorso doveva diventare molto più nebbioso ancora, girare su sé stesso per poter perdurare. Il programma editoriale messo in piedi da Heidegger mostra assai chiaramente che aveva lasciato il meglio in fondo, ossia si basava su una lontana resurrezione del partito cui aveva aderito con tanto entusiasmo, pensando che sarebbe arrivata un epoca nella quale il lettore (germanico) avrebbe potuto di nuovo mostrarsi ricettivo nei confronti del vero contenuto dello "sforzo di pensiero" fornito da colui che aveva introdotto il nazismo nella filosofia.
Se oggi torniamo, assai brevemente e modestamente su questo soggetto, lo facciamo unicamente per sollevare un interrogativo che ci sembra mancare, stranamente, nella letteratura consacrata a questo tema, e immaginiamo queste poche righe come un semplice post-scriptum all'eccellente articolo, molto eloquente, di François Rastier, "Heidegger aujourd’hui – ou le Mouvement réaffirmé". che studia il linguaggio di Heidegger come esempio della celebre LTI (Lingua Tertii Imperii, secondo l'espressione di Viktor Klemperer).
Il lavoro di Emmanuel Faye e dei suoi collaboratori raccoglie un bel numero di citazioni in cui si vede Heiddeger applicare le categorie "fondamentali" del suo "pensiero" alle azioni più terra terra e più spregevoli della marmaglia nazista. Degli esempi? Eccone tre, tratti dall'articolo di Rastier e dove abbiamo messo fra virgolette l'elemento di ampollosità "ontologica":
« Die Grundmöglichkeiten des urgermanischen Stammeswesens auszuschöpfen und zur Herrschaft zu bringen » (« sfruttare totalmente e portare al potere le possibilità "fondamentali" della "essenza" della "razza originalmente" germanica »)
« Il "principio" dell'istituzione di una selezione razziale è "metafisicamente necessaria" »
« Wenn das Flugzeug freilich den Führer von München zu Mussolini nach Venedig bringt, dann geschieht Geschichte » ( « Quando un aereo ha portato il Führer da Monaco a Venezia per incontrare Mussolini è evidente, che "quel che accade è la storia" »).
Il «destino spirituale dell'Occidente», e non è un membro intruppato delle S.A. che ne parla pagina dopo pagina, ma il mago della Foresta Nera.
A partire da qui, ci sembra utile fare una piccola riflessione su ciò che si potrebbe chiamare la "deriva concettuale". Per meglio capire, prendiamo un esempio che si situa agli antipodi rispetto ad Heidegger. I concetti messi in campo da Marx, ad esempio, procedevano da un punto di vista critico. In nessun momento, Marx si è mai allontanato da questo punto di vista critico, anche rispetto al movimento reale che ha tuttavia contribuito a fare nascere, e che può sembrare il più vicino a lui (l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, e la socialdemocrazia tedesca). Si può discutere all'infinito su chi avesse ragione, su questo o su quel punto, fra Marx e Bakunin, o fra Marx e Lassalle, ma se una cosa è sicura è che mai, in nessun momento si è visto Marx parlare di un "partito dialettico", o di una "scienza materialista", o di derive positive, non-critiche, di tale genere (è arrivato a precisare che "non era un marxista", quando quest'etichetta ha cominciato a circolare).
Per vedere accadere simili mostruosità concettuali, una tale compromissione della teoria critica nei confronti di realtà pienamente inerenti ad una società non emancipata, bisognerà attendere Lenin, soprattutto alla fine, e poi uno Stalin, arrivato finalmente alle leve di comando. Dopo l'instaurazione dei regimi burocratici chiaramente non comunisti, il termine comunista è diventato una menzogna obbligatoria, costante, del tipo: "dosim repetatur" (per riprendere l'ironia freudiana di quest'espressione), fino al punto da designare in questo modo anche l'attuale ultra-capitalismo cinese. La caricatura del pensiero di Marx, venne messa in circolazione da quelli che avevano definitivamente sotterrato l'intenzione emancipatrice che questo pensiero aveva portato avanti: ovvero, dai suoi nemici.
Un altro esempio: malgrado i suoi episodici eccessi per opporre alla debolezza decadente del cristianesimo ed al dispotismo di questa malattia una nuova forza, innocente, innamorata della vita, non si può immaginare che Nietzsche abbia potuto, in alcun momento, dare il suo appoggio ad un regime prussiano di cui disprezzava la volgarità, né allo Stato in generale, «mostro freddo fra i mostri freddi», ed ancor meno ad uno Stato nazista che stava allo Stato Prussiano come il vomito sta alla saliva. Tuttavia, si sa, gli antisemiti nazisti hanno creduto di poter brandire la figura eroica del solitario di Sils-Maria, benché egli detestasse violentemente gli antisemiti.
Teniamo a mente questo genere di «disavventure dello spirito», questo tipo di destino storico, e torniamo alle precedenti citazioni heideggeriane. Constatiamo innanzitutto che, in questo caso, la filosofia non ha avuto bisogno di una deviazione stalinista, o di un'usurpazione hitleriana: s'è fatto carico essa stessa del lavoro sporco. Se c'è stato un tradimento, è provenuto dalla filosofia. Ma dire questo, che non è un dettaglio, significa restare ancora al di sotto di quello di cui ci stiamo occupando qui.
In quanto, con Heidegger, non si tratta di alcun tipo di deriva o di tradimento. Nessuna prostituzione concettuale: bisogna assolutamente evitare di rivolgere al rettore effimero dell'Università di Friburgo un simile rimprovero, che nasconde nel suo seno una scusa troppo visibile.
I suoi concetti sono nati insieme a, ed avendo come fine, questo utilizzo, e descrivono una visione del mondo che l'ascesa al potere dei nazisti prometteva di realizzare. Quando Heidegger proferisce queste frasi - che per il più modesto professore di filosofia di un liceo di provincia sarebbero la più grande vergogna della sua disciplina - per lui è come essere a casa, calpesta il suo suolo, ce lo ripete fino allo sfinimento. La straordinaria e ridicola magniloquenza del suo stile mostra fino a qual punto i suoi concetti si prestano ad un simile utilizzo. Fino a qual punto un simile uso è ad essi conforme. Fino a che punto queste manie magniloquenti servono ad intrecciare un serto per la più spregevole delle politiche. Anders e Adorno lo avevano ben inquadrato, anche senza disporre allora delle prove schiaccianti che, a quanto pare, sono mancate anche ad Hannah Arendt per poter staccarsi da un amante scelto così male. Oggi, questo divario è stato ormai riempito.
Ora, un concetto che si lascia usare in un modo simile non può essere un concetto. Il suo utilizzo marca il suo vuoto. Dimostra di essere una pura e semplice spacconata, e prova in maniera concreta che il suo autore la concepisce e la manipola in quanto tale.
Ed è tanto più vergognoso vedere l'intellighenzia che si riempie la bocca di "pensatori" la cui amicizia e solidarietà nei confronti del nazismo appare evidente [*1].
- di Jean-Pierre Baudet - pubblicato il 26 febbraio 2015 su Les Amis de Némésis -
NOTA:
[*1] - Fra i tanti, citiamo una vedette: Giorgio Agamben, che non esisterebbe se non ci fosse stato Foucault, ma non esisterebbe neanche senza Carl Schmitt e senza Martin Heidegger. Per controbilanciare simili influenze così poco raccomandabili, Wikipedia Italia si è andata ad inventare una vecchia amicizia, risalente al 1974, fra Agamben, heidegerriano notorio, e Guy Debord, cosa che abbiamo sottolineato in maniera appropriata: https://it.wikipedia.org/wiki/Discussione:Giorgio_Agamben
fonte: Les Amis de Némésis
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