Le miracolose trasformazioni della creazione del valore
- Una piccola storia -
di Richard Aabromeit
«La ripetizione di un atto che non crea valore, non può mai essere un atto creativo di valore.» (Karl Marx, MEW 42)
«Creazione di valore in euro = costi di produzione, meno pagamenti, meno ammortamenti, meno imposte indirette, più sussidi» (Teoria di Economia Aziendale)
La creazione di valore nell'economia capitalista è da circa 400 anni una grandezza fissa, ma è anche un tema ricorrente nelle discussioni di tipo economico, politico, sociale, e perfino morale. Quello che ha cominciato ad essere oggetto di studio nei libri e che ha portato sempre a nuovi libri, oggi viene trasportato e comunicato in gran parte su Internet. Ed ecco che così mi sono imbattuto alcuni mesi fa, mentre navigavo, nel concetto di "creazione di valore digitale", ovvero di "catene di creazione di valore digitale". Così, ora anche il valore, o la sua creazione, la sua produzione, sarebbe andato a finire nella digitalizzazione. Come potrebbe essere "digitalizzata" una categoria astratta? Questo non era immediatamente chiaro - perciò ho fatto una piccola ricerca, per chiarire un po' l'origine di questo neologismo - ed ecco qui la sua breve storia!
L'origine
David Ricardo è stato uno dei primi [*1] e, nella sua chiarezza, certamente il primo ad aver osservato che il valore di una merce deve aver qualcosa a che vedere con il lavoro umano che in essa viene messo, che la precede: «Il valore di una merce, o la quantità di un'altra merce con cui viene scambiata, dipende dalla quantità relativa di lavoro che è necessario alla sua produzione» (Ricardo). Karl Marx ha mostrato, qualche decennio dopo, che è proprio il lavoro umano astratto a generare valore, vale a dire, nuovo valore, plusvalore. Sia Ricardo, un po' prima (1772-1823), che Marx, un po' dopo (1818-1883), vivevano in un'epoca nella quale il capitalismo, in particolare e soprattutto in Inghilterra, si trovava nella sua fase iniziale di sviluppo, ossia, aveva già cominciato a funzionare sulle sue proprie basi, ma aveva ancora bisogno di più di un secolo per farsi notare, anche empiricamente, in tutto il mondo e per coprire praticamente tutte i settori della vita di tutti gli individui. Nei decenni successivi, intorno al 1850, gli economisti borghesi abbandonarono definitivamente [*2] la strada di Ricardo e affermarono che il valore delle merci sarebbe provenuto non dal lavoro, bensì da tre fattori di produzione: terra, lavoro e capitale; e per di più: che qualcosa come il valore non aveva niente a che vedere con una astrazione (reale) alla Marx, ossia, con il risultato della prestazione di lavoro astratto nell'ambito di un processo di valorizzazione del valore, o del capitale. Al suo posto, si sarebbe dovuto assumere che il cosiddetto valore corrispondeva solo alla valorizzazione individuale dell'utilità marginale di una merce per un soggetto economico. Quest'idea innovativa si basava sul pensiero di Daniel Bernouilli (1700-1782), che già nel precedente secolo dell'Illuminismo (epoca in cui, in certi ambienti, il gioco di fortuna e di azzardo era assai popolare) aveva spiegato la contraddizione fra le enormi aspettative che i giocatori avevano nel gioco e la somma a paragone relativamente piccola che erano disposti a metterci. Il suo concetto di "utilità marginale" risolveva tale contraddizione, e "soltanto" un buon centinaio di anni dopo Hermann Heinrich Gossen (1810-1858) formulava il principio della legge di utilità marginale decrescente, che fino ad oggi è sostanzialmente accettato dall'economia politica. Quest'utilità marginale è il valore (soggettivo) di una merce ulteriore, principalmente di una stessa specie di merce già acquisita una volta (o più volte); che quest'utilità marginale diminuisca con l'aumento della quantità di merci, diventa chiaro quando si immagina che se si posseggono già 3 Mercedes S600, la quarta Mercedes non può più essere tanto oggetto del desiderio, ossia, avere ancora valore per la persona, ma, andando avanti, la quinta Mercedes - ormai non può più avere realmente alcun valore per la persona (su di questo vedi: Ortlieb, 2004). I marxisti, dall'altro lato, insistono sulla visione di Marx secondo cui solo il lavoro (della classe operaia) sarebbe in grado di creare valore, plusvalore. L'idea per cui anche altri fattori, o altre fonti, possano svolgere un ruolo nella creazione del valore (indipendentemente dal modo in cui viene definito) non è venuta a nessuno - tranne forse con l'eccezione di qualche fanatico religioso. Ma questo è avvenuto solo perché il capitalismo si è sviluppato rapidamente, coprendo gradualmente tutte le aree della produzione di merci, sottomettendo dappertutto tutti gli individui alla relazione di capitale, portando nella produzione di massa merci che prima erano di lusso, e portando nel mercato oggetti sempre nuovi, che hanno più o meno senso, e dichiarandole così merci. Questo sviluppo, di fatto in parte assassino, brutale, crudele e sanguinoso, ma in parte anche generatore di ricchezza, è avvenuto in un certo qual modo con continuità, seppure interrotto, in alcuni luoghi ed alcune volte, da crisi spesso violente, durate alcuni anni. Questa relativa continuità è stata una delle ragioni per cui i due campi ostili dell'economia politica (per usare dei luoghi comuni: economia nazionale e marxismo), per almeno 150 anni (dal 1776, anno in cui venne pubblicato "La ricchezza delle nazioni" di Adam Smith, fino alla crisi economica mondiale dal 1929 al 1933/1945), hanno cambiato alcune cose solo lentamente e difficilmente - se le hanno cambiato - nella loro teoria, relativamente al tema del valore e della creazione del valore, così come della sua origine. Solamente quando molto certezze sono state messe in discussione, durante la succitata crisi economica mondiale, ci sono stati alcuni timidi segnali volti a voler riconsiderare la fonte del valore - sebbene solo gli economisti borghesi si siano confrontati con questo problema; i marxisti avevano temi completamente diversi su cui lavorare. Con la cosiddetta ipotesi dei tre settori, il neozelandese Allan George Barnard Fisher (1895-1976), l'inglese Colin Grant Clark (1905-1989) ed il francese Jean Fourastié (1907-1990), fra gli altri, hanno gettato le basi teoriche perché l'economia nazionale si occupasse più del settore dei servizi a livello mondiale. La loro ipotesi [*3] divideva gli avvenimenti economici nel mondo (capitalista) in tre settori, tutti in grado di contribuire allo stesso modo, ma in percentuali diverse, alla prosperità e, pertanto, alla creazione di valore: il settore primario (cioè, l'agricoltura, la pesca, il settore minerario, petrolifero e gas, in generale: l'estrazione di materie prime), il settore secondario (ossia, l'industria o, in generale: la trasformazione delle materie prime) ed il settore terziario, ovvero, i servizi.
La prima trasformazione
Quest'idea è emersa appena in tempo, in quanto nei decenni successivi alla crisi economica mondiale, in particolare dopo la fine della seconda guerra mondiale, si mostrarono sempre più evidenti le tendenze, quanto meno e soprattutto nei centri capitalisti, ad abbandonare gradualmente la produzione estrattiva ed industriale, da parte delle imprese che smettevano di produrre e di offrire beni materiali tangibili, a favore di puri servizi, come la pubblicità, la contabilità, lavare automobili, lucidare scarpe, protezione personale, ecc.. Per esempio, nel decennio 1970, in diversi paesi, specialmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, questa tendenza ha portato al fatto che i servizi superassero in percentuale i settori industriali ed estrattivi nei bilanci nazionali, e apparivano i primi profeti che prendevano la parola per annunciare la fine dell'era industriale, e vedevano già all'orizzonte la nascita di una società di servizi. Intanto, tutto questo veniva sfruttato da alcuni come opportunità per allargare la creazione di valore del settore agricolo, minerario e industriale anche al settore dei servizi - in questo modo la prima trasformazione della creazione di valore venne così data per conclusa. Ciò che qui veniva dato sempre per scontato, senza alcun dubbio, a priori e in maniera del tutto incosciente, è che, molto positivamente, la creazione di valore è semplicemente il risultato delle attività economiche, a prescindere. La distinzione fatta da Marx secondo la quale nel capitalismo esiste lavoro produttivo, cioè, che genera plusvalore, e lavoro improduttivo, che solo preserva, protegge e distribuisce plusvalore e che, pertanto, anche i capitali individuali o creano nuovo plusvalore o si limitano solo a distribuire, proteggere e preservare quello già prodotto, rimaneva del tutto fuori dal discorso. In quest'approccio, c'era poca o nessuna differenza fra sindacalisti, imprenditori, scienziati, giornalisti e cittadini comuni, e persino anche in molti individui di sinistra che si consideravano marxisti. In quanto quasi tutti concordavano sul fatto che, se ora i settori primario e secondario erano in regressione, tutto questo non poteva essere un problema significativo, al di là di qualche attrito transitorio, dal momento si tratta anzi della salvezza: la sicurezza della continuità della società e dei posti di lavoro disponibili rimane sempre garantito - ora c'è il settore dei servizi che è in crescita. Ed è anche molto meglio di prima, in quanto il settore terziario viene anche identificato come un fiorente motore della crescita. E questo, naturalmente, non consiste nel fatto che ora vi si produce sempre plusvalore, ma solo in quanto in questo settore vengono creati posti di lavoro (che precedentemente erano stati eliminati dai settori primario e secondario, o in subappalto). E, come spesso accade, non si vede la realtà delle relazioni capitaliste: «La falsa speranza secondo la quale il "posto di lavoro" capitalista sarebbe stato ricomposto, passando dal settore industriale a quello terziario, si basava sullo stesso inganno della speranza della crescita illimitata del tempo libero nel capitalismo, per mezzo dell'aumento della produttività: in entrambi i casi, venivano presi in considerazione i potenziali tecnico-materiali, senza considerare le relazioni economiche del capitalismo (presupposte come naturali)» (Kurz, 2009). Tuttavia la prima trasformazione si era conclusa.
La seconda trasformazione
Tutto quel che abbiamo detto si è sviluppato soprattutto a partire dall'inizio degli anni 1950, e fino alla fine degli anni 1970, quindi per un periodo durato quasi 30 anni. Nel decennio 1980, ha avuto inizio un altro sviluppo, che stavolta promanava soprattutto non dal settore industriale, ma da quello dei servizi. È stato abbondantemente causato dal settore secondario (ancora visto da molti come basilare), ma gli attori principali erano senza eccezione alcuna del settore terziario, soprattutto del dominio universitario. Questo sviluppo avvenuto a partire dal settore dei servizi è stato chiamato con diversi nomi: rivoluzione della conoscenza, economia della conoscenza, e perfino "capitalismo della conoscenza" (André Gorz). Ora non sono solo i servizi (ad esempio, i parrucchieri, o il servizio di consegna) i principali responsabili della creazione di valore, ma più in particolare i "lavoratori della conoscenza". Secondo l'economia borghese questa società della conoscenza continua a produrre un prodotto interno lordo (PIL) volgare, solo che ora che è supportato da sempre più individui che lavorano nel dominio della conoscenza (università, scuole, società di consulenza, imprese di IT, dipartimenti di ingegneria e designer, laboratori, ecc.), la questione del valore delle merci di quest'area diventa un problema per la sinistra: «la conoscenza non è una merce comune, il suo valore non è determinabile» (Gorz, 2004). Così, dopo che la teoria borghese dell'economia politica/economia d'impresa ha "superato" il valore in quanto categoria sociale, già a partire dalla teoria dell'utilità marginale [*4], individualizzandolo, e mentre col passare del tempo la maggioranza dei marxisti della filiera del movimento operaio non sa più cosa farsene della teoria del valore dei vecchi maestri, André Gorz ora dà un ultimo calcio a questo valore, con l'aiuto del capitale della conoscenza - ed ecco avvenuta la seconda trasformazione della creazione del valore - senza che i seguaci del marxismo avessero capito niente di tutto questo.
La terza trasformazione
Questo entusiasmo per la conoscenza dura ancora meno di quanto era durata in generale l'euforia per i servizi, meno di vent'anni, dall'inizio degli anni 1980 fino al decennio 1990. Dopo di che, nei 1990, è il World Wide Web (WWW) ad imporsi in primo piano. Ora non basta più essere un/una volgare lavoratore/lavoratrice della conoscenza, prestatore di servizi, ora si deve avere qualcosa a che vedere con Internet, quanto meno, web designer o addirittura imprenditore dotcom. E già possiamo ascoltare di nuovo i visionari dello spettacolo mediatico, che vedono il capitalismo in rete crescere e prosperare. Ora tutta l'economia si deve connettere in rete attraverso il Web, e a partire da questo sviluppare, fabbricare e distribuire i suoi prodotti, e ogni cosa dev'essere ora considerata libera dalla crisi. Gli anni 2000/2001 hanno fatto vivere a molte persone fiduciose la crudele esperienza di una speranza che si dissolve: lo scoppio della bolla delle dotcom. Ciò nonostante, tuttavia, si impone l'opinione secondo cui Internet sarebbe sul punto di promuovere la creazione di posti di lavoro, da tempo considerati come creazione di valore, solo che, purtroppo, perfino Intenet non può assicurare una vera liberazione dalla crisi. Trarre da tutte queste esperienze, per una volta, la conclusione che ci poteva essere del marcio nel regno di Danimarca, qui, nel capitalismo, è stata una cosa che nessuno ha fatto. Eccoci, di fatto, nel bel mezzo della terza trasformazione della creazione di valore.
La quarta trasformazione
Ora, da quando David Ricardo e poi, concettualmente in maniera molto più rigorosa, Karl Marx si sono riferiti al concetto di valore, o di creazione di valore, a partire dalla forza lavoro, sono avvenute molte cose. In primo luogo, la prestazione di servizi in generale è stata inclusa nel cerchio dei creatori e delle creatrici di valore, ed anche ipostatizzata, dopo è toccato al settore della conoscenza, e alla fine a Internet. Ma, tuttavia, anche questo non ha saputo servire perfettamente da garanzia, come creatore di valore o come garante della crescita per il futuro, ecco che per fortuna nel frattempo è diventato maturo un nuovo candidato al ruolo di mago della crescita e della creazione di valore: il settore finanziario.
Se questi, fino alla fine del XX secolo aveva funzionato come prestatore di servizi per il finanziamento dell'economia reale. quindi, anche del settore terziario, ivi inclusa l'area della conoscenza e di Internet, improvvisamente alcuni attenti osservatori dello sviluppo economico e sociale hanno scoperto che in realtà il settore finanziario in senso ampio, ossia, banche, fondi, assicurazioni, fisco, banche ombra, ecc. presentava un'espansione assolutamente gigantesca a partire dal 1970, e poi di nuovo fortemente accelerata intorno circa al 2000. Dev'essere stata questa la ragione per la quale tutti i borghesi, conservatori, liberali, verdi ed altri, perfino anche gli studiosi marxisti, hanno dovuto rimarcare il fatto che il settore finanziario poteva dare anche un contributo alla creazione di valore, e anche perfino ad una rapida crescita. Come poteva essere altrimenti, visto che i posti di lavoro in questo settore finanziario aumentavano in maniera esplosiva, e la performance economica (misurata in euro, franchi, dollari, yen o yuan) aumentava in maniera quasi inarrestabile. A questo punto, dovrei forse ricordare il succitato saggio di Teoria di Economia Aziendale, secondo cui la creazione di valore in senso corrente si definisce così (in modo un po' adattato alla terminologia bancaria): ricavi provenienti dalle differenze nei tassi di interesse, commissioni e guadagni provenienti dalle quotazioni dei cambi, minor costi delle operazioni e delle consulenze, meno deprezzamento, tutto in euro. Qual è qui il trucco? Esattamente: il valore è un po' più difficile da rilevare rispetto a quanto lo sia nell'industria e negli altri servizi, ma viene semplicemente posto in maniera evidente, senza ulteriori discussioni, e il problema viene trattato solo in termini di aritmetica di bilancio. Ed ecco che così arriviamo alla quarta trasformazione del valore.
La quinta trasformazione
Per primo c'è stato il lavoro (soltanto il lavoro per i marxisti; lavoro, più capitale, più terra per i borghesi), vale a dire, la produzione estrattiva e industriale, in seguito, i servizi, poi la conoscenza, poi Internet, poi il settore finanziario come creatore di valore, cosa che è già complicata e complessa a sufficienza; che cosa può venire ancora? È abbastanza facile: uniamo i passaggi da uno a quattro nell'eucarestia delle trasformazioni, agitiamo il tutto, mescoliamo ad elettronica più moderna - e il gioco è fatto: la creazione di valore digitale [*5], o più capillarmente, catene digitali di creazione di valore! Questa quinta e per ora (?) ultima trasformazione ci porta possibilmente alla salvezza finale, come avviene nella Chiesa cattolica romana. Se il capitalismo, grazie a questa salvezza, verrà finalmente ottimizzato e salvo, coscientemente mantenuto da tutti, oppure, al contrario, finirà in maniera caotica e barbarica, questo è quello che si vedrà in un futuro non molto lontano.
L'amara realtà in contrapposizione
Come "creazione di valore" nel senso borghese dell'economia imprenditoriale, o anche dell'economia nazionale, in genere si intende il risultato realizzabile sul mercato dell'applicazione dei fattori produttivi: lavoro, capitale e terra. Dall'altro lato, il concetto di creazione di valore in Marx è un po' meno comune, per il fatto che si parla più frequentemente di "valore" come risultato del lavoro umano astratto speso, e più raramente di creazione di valore. Questa evidenza dell'analisi e della critica sociale marxista sembra che negli ultimi tempi sia andata persa sempre più. Anche la tendenza osservabile a partire dal 1970, di sfruttare il capitale accumulato, la sua valorizzazione, invece, rivalorizzandolo nel cielo finanziario, ha contribuito a mettere in discussione le concezioni tradizionali del processo di valorizzazione del capitale, per confonderle, e sostituirle sia con l'algebra dei revisori contabili delle imprese, sia con la matematica più elevata dei bilanci nazionali, sempre secondo la vecchia affermazione secondo la quale anche il semplice denaro potrebbe essere causa di creazione di valore. Le analisi e gli studi di Karla Marx in tale contesto sono, nel migliore dei casi, sempre più concentrate su tutti i fronti su quello che Robert Kurz ha definito in maniera sintetica il "Marx essoterico": «Il Marx essoterico è quello che si relaziona positivamente con lo sviluppo immanente del capitalismo» (Kurz, 2006). E peggio ancora: vecchi marxisti, assumono spudoratamente, a volte gonfiandosi come pavoni, il linguaggio teorico dell'economia imprenditoriale, senza menzionare il fatto che in tal modo hanno disertato molto silenziosamente, ma con grande successo, la critica sociale a favore dell'econometria dell'assenza di concetti, e perfino a favore di una sorta di amministrazione della crisi democratico-borghese, dimenticando in tal modo sempre più la critica sociale radicale, probabilmente dietro suggerimento. Ad esempio, è molto difficile attribuire correttamente le seguente frasi (una è di Hans-Werner Sinn, l'altra è del Gruppo Memorandum - occorre indovinare): a) «La crisi finanziaria ha causato enormi perdite dovute alla svalutazione nel sistema bancario, la cui esistenza è stata messa così in discussione.» b) «Un grande rischio nei mercati finanziari, proviene ora dal settore bancario parallelo (hedge fund, fondi di investimento privati, fondi del mercato monetario e fondi pensione, ecc.).» [*6].
Ora, la produzione di valore, o, più esattamente, la valorizzazione del valore per amor di sé stesso, di fatto per molti è tutt'altro che chiaro e, pertanto, per molti non è comprensibile di primo acchito (e, purtroppo, quasi mai). Ciò è dovuto al tabù dell'astrazione, assai generalizzato e sempre più in espansione, che dice che ciò che non contiene niente di concreto non è e non può essere reale - tabù, questo, associato ad una psicosi di preoccupazione, dietro cui si nasconde tutto ciò che non si può o non si vuole vedere, al di là di quello che è immediatamente percettibile. Di conseguenza, sono solo pochissimi che riescono a fare qualcosa con il "valore" realmente astratto. Anche la costruzione di centinaia di migliaia di unità immobiliari, ad esempio, appartamenti, case, ecc., in Spagna o nella Repubblica Popolare Cinese, rappresenterà in ogni caso un qualche tipo di "valore" per chi ha la vista corta - dopo tutto, migliaia e migliaia di lavoratori si sforzeranno nel corso di mesi ed anni per costruire questi edifici, usando per la costruzione cemento, acciaio, legno, plastica, ecc., e promuovendo tutto questo sul mercato; qualcosa di tal genere dev'essere anche creazione di valore! Che simili città e villaggi fantasmi siano costruiti per essere una leva finanziaria, a credito, e che dopo essere finiti non trovino acquirenti è, per la maggioranza degli osservatori, solo un azzardo, nel grande gioco delle quote di mercato, un rischio del mercato e del profitto. Ma il fatto stesso che questi immobili possono essere costruiti, ma non venduti, dovrebbe lasciare perplessi tutti coloro che sanno, quanto meno, che il valore (plusvalore) prodotto deve dimostrare quel che vale sul mercato, vale a dire, la merce dev'essere anche venduta; in caso contrario, se non viene effettuata alcuna vendita, la produzione di valore - effettiva o fittizia - viene dichiarata, retroattivamente, socialmente non valida! Ma, in questo caso delle fantasie cementizie cinesi e spagnoli, c'è un livello ancora peggiore. Dal momento che tutti i fondi che sono stati usati per finanziare i relativi progetti di costruzione provengono dalle catene di credito, più o meno lunghe, non si può continuare a supporre che questi fondi rappresentino valore in sé, ma rappresentano invece solo una promessa (una speranza) nella produzione di plusvalore, dopo periodi di tempo più o meno lunghi. Pertanto, in queste montagne di cemento non c'è valore prodotto, né realizzato; in altre parole, la fossa comune ben concreta degli immobili da vendere non è altro che una fantasia irreale dei proprietari di denaro, o di capitale, disperatamente in cerca di opportunità di investimento. La creazione di valore non avviene mai. Ecco cosa succede quando non si vuole prendere atto di quello che Claus Peter Ortlieb ci spiega: «Il valore è la forma dominante, non il materiale della ricchezza nel capitalismo, indipendente dalla forma materiale della ricchezza sotto forma di merce» (Ortlieb, 2009).
Quindi vediamo come tutti i tipi di piccoli geni, medi e anche grandi, non solo hanno guardato con ammirazione alle trasformazioni della creazione di valore, ma hanno anche dato in vari modi il loro contributo attivo, affinché questo spettacolo tragicomico delle trasformazioni della creazione di valore potesse andare realmente in scena. Se oggi la creazione di valore viene già vista più o meno come il risultato di un'operazione algebrica, nell'economia imprenditoriale di qualsiasi tipo e nell'amministrazione fiscale, o perfino nelle istituzioni degli specialisti in economia, e non come risultato dell'attività umana, ossia, dispendio di lavoro in generale, allora possiamo immaginare quel che ancora sta per essere fatto, al fine di minimizzare gli effetti devastanti del processo di crisi sociale di proporzioni gigantesche che stiamo attualmente vivendo (al rallentatore!), o perfino di farlo sparire completamente dall'elaborazione teorica e dalla capacità di pensare della maggioranza della popolazione.
- Richard Aabromeit - Pubblicato su Exit! il 3 ottobre 2016 -
NOTE:
[*1] - Dopo William Petty (1667), Benjamin Franklin (1750) ed alcuni altri.
[*2] - Lo avevano già fatto prima Jean-Baptiste Say ed altri; ma a partire dalla metà del 19° secolo, ossia, dopo che Karl Marx aveva formulato la teoria del valore, tutti gli economisti borghesi rimasero molto confusi e si allontanarano da questi argomenti complicati.
[*3] - A volte quest'ipotesi viene chiamata "Legge di Petty", riferendosi ad una corrispondente osservazione del filosofo inglese fondatore dell'economia politica inglese, William Petty (1623-1687).
[*4] - Altri importanti rappresentanti del marginalismo: Léon Walras (1834-1910), Carl Menger (1840-1921), Vilfredo Pareto (1848-1923).
[*5] - Personalmente, ho scoperto per la prima volta quest'espressione in Christian Rätsch ( http://Christianraetsch.de/video/digitale-wertschoepfung/ ); tuttavia viene ora utilizzata da molti autori ed autrici.
[*6] - Chi ha indovinato? a) citato da: Sinn, Hans-Werner; Kasino Kapitalismus. Wie es zur Finanzkrise kam, und was jetzt zu tun ist [Capitalismo da casinò. Come come siamo arrivati alla crisi finanziaria e cosa fare ora]; Berlin 2010 [2009]; p. 230. b) citato da: Arbeitsgruppe Alternative Wirtschaftspolitik [Gruppo di lavoro alternativo di política economica]; Memorandum 2016. Europäische Union und Flüchtlingsmigration – Solidarität statt Chaos [Memorandum 2016. Unione Europea e migrazione dei rifugiati – solidarietà anziché caos]; Köln 2016; p. 19.
Bibliografia:
Arbeitsgruppe Alternative Wirtschaftspolitik [Gruppo di lavoro alternativo di política economica]; Memorandum 2016. Europäische Union und Flüchtlingsmigration – Solidarität statt Chaos [Memorandum 2016. Unione Europea e migrazione dei rifugiati – solidarietà anziché caos]; Köln 2016.
Bernoulli, Daniel; Die Werke von Daniel Bernoulli [Opere di Daniel Bernoull]; Basel 1986.
Clark, Colin Grant; The National Income [Il reddito nazionale], London 1932.
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Fourastié, Jean; Le Grand Espoir du XXe siècle. Progrès technique, progrès économique, progrès social [La grande speranza del XX secolo. Progresso tecnico, progresso economico, progresso sociale]; Paris 1949.
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Kurz, Robert; Marx lesen! Die wichtigsten Texte von Karl Marx für das 21. Jahrhundert [Leggere Marx! I testi più importanti di Karl Marx per il XXI secolo]; Frankfurt am Main 2006 [2000].
Kurz, Robert; Schwarzbuch Kapitalismus. Ein Abgesang auf die Marktwirtschaft [Libro Nero del capitalismo. Un addio all'economia di mercato]; Frankfurt am Main 2009 [1999].
MEW 42; Berlin 2005.
Ortlieb, Claus Peter; Markt-Märchen. Zur Kritik der neoklassischen Volkswirtschaftslehre und ihres Gebrauchs mathematischer Modelle [Favole di mercato. Per una critica dell'economia neoclassica e dell'uso di modelli matematici]; in: EXIT! 1/2004; Bad Honnef 2004.
Ortlieb, Claus Peter; Ein Widerspruch von Stoff und Form. Zur Bedeutung der Produktion des relativen Mehrwerts für die finale Krisendynamik [Una contraddizione fra materia e forma. Sull'importanza della produzione di plusvalore relativo per la dinamica di crisi finale]; in: EXIT! 6/2009; Bad Honnef 2009.
Ricardo, David; Über die Grundsätze der Politischen Ökonomie und der Besteuerung [Sui principi di economia politica e tassazione]; Marburg 2006.
Sinn, Hans-Werner; Kasino Kapitalismus. Wie es zur Finanzkrise kam, und was jetzt zu tun ist [Capitalismo da casinò. Come come siamo arrivati alla crisi finanziaria e cosa fare ora]; Berlin 2010 [2009].
Smith, Adam; Der Wohlstand der Nationen. Eine Untersuchung seiner Natur und seiner Ursachen [La ricchezza delle Nazioni. Una ricerca sulla natura e le cause]; München 2009 [1974; 1978].
fonte: EXIT!
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