« Essere poeta, è come occupare degli spazi a occhi chiusi. La casa, non ha quasi alcun mobile: solo il letto, la scrivania, i libri; e una lavagna su cui studia le sue poesie. Olga, ben presto si rende conto che Alejandra sta cercando qualcosa. Dapprima ha cominciato a rovistare le sue cose con disappunto, ma poi, via via, nella misura in cui non trova quello che cerca, con sempre più disperazione, e cecità. Fruga l'oscurità.
- "Possibile che qualcuno l'abbia preso senza chiedermelo?"
- "Ma che cos'è che stai cercando esattamente?" - chiede Olga, già e ormai quasi terrorizzata.
- "Il libro" - risponde Alejandra - "quello con l'articolo in corsivo" -
e nel mentre, sempre più angosciata, sposta i volumi da una parte all'altra della scrivania. E sembra che, nel suo non riuscire a trovare il libro, stia cercando l'ossigeno.
-"Fiuuu. Eccolo, finalmente l'ho trovato. Ce l'ho fatta" - dice, sollevata. E si siede sul letto, vicinissima a Olga.
- "Questo, è quello che io avrei voluto che fosse stato il mio di diario, ma è impossibile. Solo lui avrebbe potuto scriverlo". Alejandra si sta riferendo a Kafka. Tra le mani stringe I Diari - è un esemplare del 1953, è stato tradotto da Juan Rodolfo Wilcock - e lei ripetutamente, nel corso della sua vita, lo ha maneggiato, lo ha letto, lo ha scarabocchiato, e consultato e riconsultato innumerevoli volte; ci son alcune pagine attaccate con dei punti metallici.
Olga, lo tiene in mano come se fosse un cuore strappato che sta bruciando. Lo prende delicatamente e apre una pagina a caso. Così legge la sottolineatura fatta da Alejandra: "C'è un qualche malinteso, e questo malinteso sarà la nostra rovina". »
- da: Juan Tallón, "Fim de poema", Sotelo Blanco. 2013 -
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