« ”Chissà come farai a dormire la notte con tutti quegli occhi di marmo che ti osservano” le dicevano. Eppure Andrea Marcolongo ha deciso di comprare un sacco a pelo, un letto da campo e una torcia, ha acquistato un biglietto aereo e ha caricato il suo bagaglio su di un volo partito prima dell’alba. Sta per trascorrere una notte sotto il cielo di Atene, sdraiata sui marmi dell’Acropoli. Uno dei luoghi più iconici al mondo in un paese, la Grecia, a cui abbiamo rubato quasi tutto: ci siamo impossessati delle loro idee per creare le nostre radici in Occidente e abbiamo staccato le loro ceramiche per portarle in Europa e mostrarle con orgoglio nei musei più importanti di Londra o Parigi. Anche lei stessa sta rubando alla Grecia: Andrea non è greca e non parla neanche la lingua, eppure le è stato concesso di trascorrere una notte tra quei resti antichi ed è grazie alla storia greca che ha costruito la sua vita e il suo successo nella scrittura. In fondo, nella vita di tutti i giorni, siamo tutti un po’ impostori e approfittatori, diventiamo qualcuno spesso grazie a qualcun altro, anche se ci crediamo ingenui e innocenti. Una notte piena di pensieri e considerazioni che portano alla nascita del libro “Spostare la luna dall'orbita. Una notte al Museo dell’Acropoli” in cui la scrittrice unisce il racconto del mondo classico, in particolare di Atene, alla sua vita privata, parlando delle sue origini, del padre, delle difficoltà di essere donna e della sua lingua madre. Un libro affascinante e intenso in cui l’Acropoli e la sua storia millenaria vengono descritte egregiamente, fondendo le meraviglie della classicità con riflessioni personali profonde.
(dal risvolto di coperina di: Andrea Marcolongo, "Spostare la luna dall’orbita. Una notte al Museo dell’Acropoli". Einaudi, pagg. 144, € 17)
Una notte al Museo di Atene accanto a Fidia e Lord Elgin
- di Maria Luisa Colledani -
Siamo tutti dei piccoli – o grandi – Lord Elgin. Ci appropriamo di ciò che non è nostro, e neppure ringraziamo. Ci capita con gli oggetti, e, ancor di più, coi sentimenti, col cuore delle persone. Salvo poi provare la nostalgia dell’irripetibile. È la lezione, severa e ammonitrice, che Andrea Marcolongo trova dopo la sua notte di luna calante al Museo dell’Acropoli di Atene. In una sera di fine primavera, un guardiano ascolta la finale di Champions League e la scrittrice, attrezzatura da alpinista in spalla, sale al terzo piano della raccolta greca, ideata dall’architetto svizzero Bernard Tschumi e dal greco Michalis Photiadis: nello zaino una banana, una bottiglia d’acqua, un taccuino, uno spazzolino da denti e la biografia di Lord Elgin. A sua disposizione la vista sull’Acropoli, 25mila metri quadrati di antichità e il vuoto dei fregi che, a inizio Ottocento, sono stati strappati dal Partenone: «Ho deciso di passare la notte in un museo vuoto. Non è dei marmi che stanotte ho paura, è della loro assenza. Temo di essermi infilata ancora una volta in una storia di mancanze, di perdite, di lacune. Di vuoti e di abbandoni». E tornano le parole del padre amato e perduto, e il pensiero dei reperti al British Museum, tra cui quindici metope, diciassette statue provenienti dai frontoni e 75 dei 160 metri totali che misurava il fregio del Partenone.
In quella notte di silenzi e fantasmi, Marcolongo ritrova l’effetto che la Grecia antica sempre provoca, persino sugli stessi greci di oggi: «è più simile a quello della luna che a quello del sole; un’inquietudine indefinibile, come quando si cerca qualcosa che manca con la certezza che non la si troverà mai. L’infelicità che scaturisce dalla grandezza della Grecia antica: impossibile dimenticarla, impossibile superarla». Se non provando a capire come e perché Atene abbia perso la sua coscienza vedendosi portar via quei marmi. La storia e le maledizioni di Lord Elgin riempiono le pagine e la notte: quando l’ex ambasciatore arriva, la città è una baraccopoli, nessuno sospetta che il Partenone abbia un qualche valore da difendere. In quell’amnesia, il capolavoro di Fidia finisce in 17 casse sul Mentor, affonda nei pressi di Citera, l’isola di Afrodite. Poi, viene recuperato e il Governo inglese lo comprerà da Elgin, solo e ormai sul lastrico: «A quest’ora della notte la galleria dei fregi anziché a un museo mi pare più simile a un ospedale di guerra» perché la Grecia non può pensare sé stessa senza quei marmi. E noi non possiamo pensarci senza Atene: «Là, in Grecia, si consumano i nostri pianti, le nostre guerre, i nostri trionfi e i nostri lutti. È all’ombra del Partenone che per davvero siamo». Siamo donne e uomini dell’eternità.
- Maria Luisa Colledani - Pubblicato su Domenica del 20/8/2023 -
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