La Gentrificazione di Gaza
- di Slavoj Žižek -
Google definisce la gentrificazione come «il processo attraverso il quale viene alterato il carattere di un'area urbana povera, ricollocando in essa persone più ricche, migliorando le abitazioni e attirando nuove imprese, spostando spesso nel processo gli attuali abitanti». Decenni fa, allorché mi è capitato di soggiornare presso degli amici in un appartamento vicino a Tompkins Square, a Lower Manhattan, ho potuto assistere a come avviene davvero la gentrificazione. All'inizio, la polizia ha sgomberato gradualmente tutta l'area intorno alla piazza, costringendo in tal modo i senzatetto e gli spacciatori a concentrarsi all'interno della piazza; poi, con un'azione più ampia e ben coordinata, questi abitanti sono stati sgomberati dalla piazza, in quanto il luogo non era comunque la loro casa. In tal modo l'intera area è stata gentrificata, i prezzi degli immobili sono aumentati, e tutt'intorno alla piazza sono stati aperti dei nuovi negozi... Per quel che sta accadendo ora a Gaza, non si tratta forse della medesima gentrificazione? Come prima cosa, Israele ha fatto sì che i palestinesi lasciassero i loro territori e si concentrassero a Gaza, dove l'intera popolazione proviene praticamente da altri luoghi. E ora, ha deciso di cacciarli anche da lì, dato che comunque quella non è casa loro... così ora, lo slogan proibito «dal fiume al mare» assume un nuovo significato: quello di «Grande Israele». Oggi tendiamo a dimenticare cosa significasse originariamente quello slogan: tutti coloro che vivono tra il fiume e il mare devono essere liberi, e non a partire dall'espulsione degli ebrei. Inoltre, a questo slogan si dovrebbe anche aggiungere: «Dal fiume al mare... e al di là del fiume»; il Libano, la Siria, la Giordania e l'Arabia Saudita sono forse liberi? Ci può essere libertà e pace in Palestina, se il loro dominio al di là del fiume rimane così com'è adesso? E forse gli Stati al di là del fiume non hanno forse bisogno di avere Israele come nemico principale, proprio per poter così procrastinare la propria emancipazione? Ponendosi sulla stessa linea della gentrificazione israeliana di Gaza, Dmitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha commentato, in un'intervista all'agenzia di stampa statale RIA Novosti, quali saranno, nel 2024 per il suo paese, gli obiettivi di guerra: «L'operazione speciale continuerà, e il suo obiettivo continuerà a essere il disarmo delle truppe ucraine e la rinuncia, da parte dell'attuale Stato ucraino, all'ideologia del neonazismo». Pertanto, l'attacco russo all'Ucraina è un atto umanitario, il cui obiettivo è la gentrificazione dell'Ucraina... e allora, in che modo le due guerre - a Gaza e in Ucraina - sono collegate? Sui nostri media, a proposito di questo, circolano molte varianti. Innanzitutto, abbiamo una versione di pseudo-sinistra: sia l'Ucraina che Israele, hanno provocato una guerra terrorizzando progressivamente Donetsk/Gaza e facendo sì che la Russia/Hamas non potesse più tollerarlo. Poi c'è la versione di destra che propone un analogo parallelismo: sia in Ucraina che in Israele, c'è uno stato democratico europeo che viene ora brutalmente attaccato da uno stato, o da una società orientale primitiva e dispotica (Russia, palestinesi); e pertanto l'Ucraina e Israele meritano il nostro totale sostegno. Infine, c'è la posizione dei pacifisti: la guerra è sempre un male, e quindi dovremmo chiedere un cessate il fuoco in entrambi i casi, tanto in Ucraina quanto a Gaza. Non condivido questa posizione poiché essa dimentica che la pace, di regola, serve agli occupanti: e che questi, una volta terminata la conquista, è ovvio che vorranno la pace...
Il 6 gennaio 2024, nel corso di un evento elettorale a Newton, Iowa, Donald Trump ha suggerito che la guerra civile americana avrebbe potuto essere evitata grazie a un "negoziato"; sostenendo che per porre fine alla schiavitù negli Stati Uniti, non era necessaria la guerra, e che Abraham Lincoln avrebbe dovuto fare molto di più per evitare lo spargimento di sangue: «Sono stati commessi troppi errori. Come vedete, se siete onesti con voi stessi, c'era qualcosa che avrebbe potuto essere negoziato. E io penso che si sarebbe potuto negoziare. Tutte quelle persone sarebbero morte. Tante persone sono morte». Trump sta solo applicando al passato la sua idea secondo cui, se egli fosse presidente, in 24 ore porrebbe fine alla guerra ucraina, per mezzo di negoziati. Possiamo immaginare altre opinioni simili a proposito delle occasioni mancate in passato: nel luglio 1940, la Gran Bretagna avrebbe dovuto accettare il "generoso" piano di pace tedesco, cosa che le avrebbe permesso di mantenere intatto il proprio impero, ecc. Pertanto, a mio avviso, l'unica posizione corretta è: in Ucraina, resistenza armata alla Russia, ma pace e negoziati nella guerra di Gaza. Perché? Questa posizione non è forse incoerente? No. Perché, sebbene anche Israele sia un occupante, in Cisgiordania e Gaza, il parallelo tra Israele e Russia non è perfetto. In Medio Oriente abbiamo una situazione davvero tragica, nella quale una guerra totale sarebbe distruttiva per entrambe le parti, mentre l'Ucraina rappresenta un chiaro caso in cui c'è uno Stato sovrano che è stato brutalmente attaccato da uno Stato vicino. In una simile situazione, una critica precisa di Israele, è "conditio sine qua non" per qualsiasi soluzione. Rispetto a tale critica, la cosa più disgustosa è che molti tedeschi che mi hanno attaccato pubblicamente per la mia posizione sulla guerra tra Israele e Gaza, mi hanno però poi contattato in privato per dirmi che erano d'accordo con me; solo che ora non sarebbe il momento per dirlo pubblicamente. Io interpreto la loro posizione come: sì, ora non è il momento di dichiararlo pubblicamente perché un atto del genere POTREBBE AVERE QUALCHE EFFETTO REALE - ci sarà permesso di dirlo quando non avrà più alcun significato farlo. La critica comincia a partire dall'analisi del contesto di ciò che sta accadendo a Gaza e dintorni. E per «analizzare il contesto» non mi riferisco certo all'arroganza mascherata da profonda saggezza: «Un nemico è qualcuno di cui non hai sentito raccontare la storia». Ma davvero? Io ho sentito la storia di Hitler (quando ero giovane ho letto il Mein Kampf) e ne sono rimasto ancora più inorridito... Pur insistendo sul fatto che l'Olocausto non può essere "compreso", Primo Levi ha, relativamente a questo, introdotto una distinzione fondamentale tra il comprendere e il conoscere: «Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre». Ecco perché elevare l'attacco di Hamas a "Male irrappresentabile" costituisce una verità, vale a dire, un atto di libertà selvaggia che non si basa su delle cause specifiche, e ne costituisce esattamente l'opposto: siamo continuamente bombardati da delle rappresentazioni (foto e clip) degli orrori commessi da Hamas, a partire da un sottinteso: limitarsi a guardare e a inorridire, non pensare e non analizzare! L'attacco di Hamas viene trattato come se fosse un male abissale che non può essere contestualizzato o relativizzato, mentre di solito il contrattacco di Israele viene interpretato come assolutamente determinato dalle circostanze: in tanti, sono stati brutalmente massacrati, e allora che cosa può fare Israele, se non annientare la minaccia e distruggere Hamas? Nel far questo, non c'è alcuna scelta sensata... Il paradosso è sorprendente: in maniera perversa, è Hamas che appare come l'unico soggetto veramente libero. Se, dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, ci fosse stato qualcuno che avesse solo menzionato il fatto che anche i palestinesi stanno soffrendo, sarebbe stato immediatamente accusato di relativizzare l'orrore, contestualizzandolo; «Hamas non ha alcun contesto», come titolava, in un commento, un importante quotidiano tedesco. Siamo pronti a dire lo stesso anche della massiccia distruzione di Gaza, con migliaia di bambini uccisi, oppure qui dovremmo riferirci al contesto che rende comprensibile un simile orrore? (Oggi è lecito perfino ritenere deplorevole la sofferenza dei palestinesi, e chiedere a Israele di mostrare più moderazione; ma quelli - potenzialmente - buoni sono solo i palestinesi che soffrono. Se resistono attivamente, diventano terroristi all'istante...) Le cose diventano davvero oscene nel momento in cui Israele, non solo commette violenze brutali e ingiustificabili, ma le presenta come se fosse un atto umanitario: per i palestinesi, svuotare Gaza (e forse, in un prossimo futuro, la Cisgiordania) è la migliore soluzione umanitaria (dal momento che, se vengono espulsi, le Forze di Difesa Israeliane smetteranno ovviamente di ucciderli...); nel bombardamento calcolato di Gaza, queste forze stanno stabilendo dei nuovi elevati standard umanitari relativi al bombardamento di un paese. L'obiettivo ufficiale delle Forze di Difesa, è distruggere Hamas, ma in realtà hanno distrutto Gaza, e in questo modo hanno dato ad Hamas una nuova vita, come l'unico gruppo che lotta realmente per i palestinesi.
Alcuni miei amici tedeschi pro-sionisti dicono che, nonostante le sue azioni problematiche, dovremmo sostenere incondizionatamente Israele perché quello stato è sostanzialmente l'unica isola di libertà e di democrazia della civiltà occidentale in Medio Oriente... E la mia risposta è: sì, e il mondo intero può vedere a Gaza, su base giornaliera, cosa significano in pratica la civiltà occidentale e l'umanitarismo. Anche nell'Occidente sviluppato la maggioranza delle persone è a favore del cessate il fuoco, cosa che dimostra una separazione tra la popolazione e i governi, e come questa separazione può portare a conseguenze pericolose e imprevedibili. Il nostro edificio morale, che non è solo ipocrita (come lo è sempre stato), con la guerra di Gaza ha perso anche la forza ipocrita dell'apparenza; in questa guerra, l'apparenza diventa effettivamente solo un'apparenza, e non più un'apparenza che contiene però la propria verità. A questo proposito, Arundhati Roy ha osservato che se il bombardamento di Gaza continuerà, allora «l'architettura morale del liberalismo occidentale cesserà di esistere. È sempre stato ipocrita, lo sappiamo. Ma anche così, questa ipocrisia aveva fornito una sorta di riparo. E ora quel rifugio sta scomparendo davanti ai nostri occhi». L'idea centrale è quella che, nonostante la sua ipocrisia (o, perché no, proprio a causa di essa e attraverso di essa), l'edificio morale liberale avrebbe comunque sempre «fornito una sorta di riparo». Basta ricordare le proteste di Tiananmen nel 1989: la folla in protesta costruì una semplice copia della Statua della Libertà e ci ballò intorno. Oggi, sarebbe facile liquidare tutto questo come una passione per il sogno ideologico americano: ciò che la folla cinese proiettava sulla statua era forse un mix di libertà politiche e personali, di giustizia sociale e benessere comune, un desiderio di emancipazione piuttosto dignitoso. Non è stato forse lo stesso quando, circa un decennio fa, gli studenti che protestavano a Hong Kong hanno chiesto a Donald Trump di proteggere la loro autonomia? E quando, negli ultimi decenni, si sono verificate le rivoluzioni "arcobaleno" in Ucraina, Bielorussia, ecc., la richiesta di adesione all'Unione Europea è stata motivata da ciò che "l'Europa" rappresentava agli occhi di questi paesi: libertà e sicurezza, benessere... cosa molto più vicina a un livello elementare di idea socialdemocratica, che alla realtà dell'Unione europea. In un certo senso, essi erano più europei della maggior parte dei veri europei occidentali. Ed era in questo senso che l'edificio morale dell'Europa occidentale «forniva una sorta di rifugio»: serviva da bussola morale. Ma perché non dovremmo semplicemente dire che la scomparsa del rifugio ipocrita è un bene, dal momento che - almeno negli Stati Uniti, come diceva Malcolm X – «la democrazia è ipocrisia», di modo che eliminando l'ipocrisia, potremmo costruire un edificio morale più autentico? La risposta è che l'ipocrisia è infinitamente superiore alla brutale esibizione della violenza: mantiene in vita gli standard che ci permettono di giudicare ciò che stiamo facendo. Su un piano più generale, lo stesso vale anche per i diritti umani universali: sì, sono stati ipocriti, ma hanno innescato un lungo processo di auto-rettifica. Le dittature brutali dissipano le apparenze di libertà formale, e ciò che otteniamo non è la vera libertà, ma il dominio della forza bruta. Ecco perché bisogna insistere su questioni "universali", come i diritti umani, e resistere alla tentazione di "decostruirli" in quanto strumento di dominio imperialista, contro l'atteggiamento anti-occidentale autodistruttivo della cancel culture. Quel che ci aspetta al di fuori di questo spazio, lo possiamo vedere nel nuovo gruppo BRICS non allineato, soprattutto ora che anche l'Arabia Saudita e l'Iran vi hanno aderito: ossia, la tolleranza... ai reciproci crimini. Tuttavia, il vero problema è come mantenere viva l'eredità emancipatoria dell'Occidente. In Germania, vengono ripetute spesso le parole «mai più» [Nie wieder], indicando con questo che dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che qualcosa come la Shoah si ripeta. Tuttavia, Franco Berardi ha scritto di recente che oggi, «dal punto di vista tedesco, le parole "mai più" devono essere interpretate nel seguente modo: dopo aver ucciso sei milioni di ebrei, due milioni di zingari, trecentomila comunisti e venti milioni di sovietici, noi tedeschi proteggeremo Israele a tutti i costi, perché ora non sono più nemici della nostra razza superiore, ma parte di essa».
Può sembrare un'affermazione dura, ma è importante notare come Jürgen Habermas, l'ultimo grande rappresentante della Scuola di Francoforte e uno dei firmatari di una lettera a pieno sostegno di Israele – lettera che è diventata il principale bersaglio delle critiche di Berardi – sia un grande sostenitore dell'eredità dell'Illuminismo: uno dei suoi libri più noti è "Il progetto incompiuto dell'Illuminismo", una critica non solo del pensiero postmoderno francese, ma anche della "Dialettica dell'lluminismo" di Adorno e Horkheimer. In poche parole, Habermas liquida gli orrori degli ultimi secoli, dal colonialismo agli omicidi di massa di milioni di persone, come semplici segni del fatto che il progetto dell'Illuminismo non è stato ancora pienamente realizzato, mentre invece Adorno e Horkheimer vedono in questi orrori la materializzazione delle potenzialità più profonde dell'Illuminismo, e non solo i resti di un passato oppressivo non ancora annullato dalla realizzazione del progetto illuminista. Berardi ci ricorda i versi scritti da Max Horkheimer e Theodor Adorno nel 1941: «il concetto stesso di questo pensiero [...] contiene il germe della regressione che oggi è in atto ovunque. Se l’illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna. Se la riflessione sull’aspetto distruttivo del progresso è lasciata ai suoi nemici, il pensiero ciecamente pragmatizzato perde il suo carattere superante e conservante insieme, e quindi anche il suo rapporto alla verità».
È questo, ciò che sta accadendo anche nel sostegno problematico, alle azioni di Israele a Gaza e in Cisgiordania, da parte di molti intellettuali occidentali: vedono Israele come se fosse un'incarnazione dell'Illuminismo europeo in quella che è una parte del mondo meno progressista, e pertanto ignorano «l'elemento distruttivo del progresso», trascurando il destino degli ebrei europei, così come ciò che Israele sta facendo ai palestinesi. Un nero americano si è recentemente recato a Hebron, per valutare l'opinione prevalente secondo cui la situazione sarebbe troppo complessa; e quello che ha visto è che invece la situazione è assai semplice: nessuna complessità, solo un apartheid aperto e brutale... La lezione generale da trarre da tutto questo, è che se vogliamo davvero affrontare i fenomeni distruttivi che ci affliggono da qualche decennio, dall'ascesa dei nuovi populismi fino alle nuove forme di controllo sociale, dobbiamo guardare con occhio critico ala base filosofica stessa della democrazia liberale di oggi, il pensiero dell'Illuminismo.
- Slavoj Žižek - Pubblicato il 19/1/2024 sul Blog do Boitempo -
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