Anne Carson, arrivata più o meno verso la metà circa del suo libro "Eros il dolceamaro",ci dice che i «testi pieghevoli e [del]le tavolette [che] erano una realtà nel mondo antico». Ne parla come se si trattasse di qualcosa di assai comune, di ricorrente: «La superficie di scrittura più comune per lettere e messaggi, in epoca arcaica e classica» - continua Carson - «era il deltos, una tavoletta di legno o di cera che veniva ripiegata su se stessa dopo essere stata adoperata, perché il contenuto rimanesse nascosto». Poi, «esistevano anche tavolette di metallo per la scrittura, impiegate soprattutto da chi consultava gli oracoli».
Insomma, la cera per gli amori terreni, e il metallo, invece per quelli divini. In proposito, Carson fa un esempio: «A Dodona, dove c’era un santuario oracolare attivo già dal settimo secolo, gli archeologi hanno scoperto circa centocinquanta tavolette su cui erano stati incisi quesiti per l’oracolo di Zeus. La grande varietà di grafia, ortografia e grammatica riscontrabile su queste tavolette indica che ciascuna sia stata compilata dal richiedente stesso. Le tavolette sono di piombo. Ciascuna è tagliata in una striscia stretta come un nastro, con scritte da due a quattro righe che ne percorrono l’intera lunghezza. In quasi tutti i casi la striscia, dopo l’iscrizione, è stata piegata ordinatamente più volte per nascondere il messaggio al suo interno». Per poi concludere (e qui cita una nota del libro di H.W. Parke, The Oracles of Zeus, in un'edizione del 1967) con, «le parole che si scrivono sul piombo a Dodona sono un segreto tra noi e l’oracolo di Zeus».
Perciò, così facendo, Anne Carson richiama l'attenzione sulla materialità della scrittura nell'Antichità: sui gesti coinvolti nella scrittura e nella lettura; a partire da come si può vedere in quella che è la dinamica della piegatura delle tavolette, che lei sottolinea quando afferma che «I testi pieghevoli e le tavolette erano una realtà nel mondo antico». Tuttavia, nel capitolo successivo, va a esplorare, nelle scene di lettura e di scrittura, anche la dimensione metaforica di questa oscillazione tra il "mostrare" e il "nascondere", e l’analizza a partire dalla narrazione del mito di Bellerofonte, che ne fa Omero nel sesto capitolo dell'Iliade.
E qualcosa di simile appare anche nel libro di Jacques Derrida, dedicato al Fedro di Platone, "La farmacia di Platone" (Jaca Book, 2015), dove l'analisi di una scena di lettura viene condotta sia attraverso la materialità che la metaforicità: Socrate vuole ascoltare la lettura del manoscritto di Lisia che Fedro ha con sé.
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