Che cosa significa oggi essere liberi?
La parola «libertà» è sulla bocca di tutte le parti politiche, dalle vecchie e nuove sinistre ai liberali ai reazionari: chi mai è contro la libertà? E – a ragione – temiamo spesso che i rivolgimenti politici e sociali ce ne privino. Ma di quale libertà parliamo? Non appena proviamo a definirla incontriamo contraddizioni, paradossi, vicoli ciechi. Eppure, è proprio sulla natura della libertà che bisogna riflettere: e a questo compito Slavoj Žižek dedica la sua nuova fatica filosofica, che Ponte alle Grazie pubblica in anteprima mondiale. Muovendo da Hegel, attraversando Kierkegaard e Heidegger, intrecciando cultura «alta» e «bassa», psicoanalisi, marxismo e riflessioni taglienti sulla contemporaneità, il geniale filosofo sloveno stende la diagnosi più dettagliata, acuta, innovativa della «malattia incurabile» che chiamiamo libertà. Se la tecnologia digitale sottopone oggi la società a un livello di controllo senza precedenti, che cosa rimane del libero arbitrio? E dell’idea di uomo capace di costruirsi il proprio destino, tanto cara all’individualismo liberale? Come fronteggeremo, esseri umani «liberi» ma sempre più spesso obbligati all’isolamento, le nuove guerre, le carestie, le epidemie, le migrazioni, il cambiamento climatico? I dilemmi della libertà sono immensi, ma le vie di fuga esistono e sono impreviste: qui Slavoj Žižek le indica con impareggiabile sagacia.
(dal risvolto di copertina di: Slavoj Zizek, "Libertà, una malattia incurabile". Traduzione di Ostuni Vincenzo, Ponte alle Grazie, pagg. 416, €24,90)
Il fantasma della libertà
- di Roberto Esposito
Un cliente in un ristorante, dopo aver sfogliato perplesso il menù, chiede al cameriere: «Per favore, mi può dire cosa scelgo?». L'aneddoto, attribuito a Lacan, è ripreso da Slavoj Zizek nel suo nuovo libro "Libertà. Una malattia in curabile", appena edito da Ponte alle Grazie. Con l'aggiunta che ormai è scomparso anche il cameriere. Il cliente, rimasto solo, crede di scegliere quello che invece gli è destinato da un algoritmo che annulla ogni libertà di scelta. È facile parlare di libertà. Non facciamo altro, ma ignorandone la natura. Cosa è, e soprattutto cosa è diventata, la libertà? È la domanda che percorre l'intero libro, scritto da Zizek con la consueta capacità di sorprendere il lettore attraverso un singolare mix di linguaggi diversi - psicoanalisi e marxismo, letteratura e cinema, filosofia e politica. Definire la libertà non è stato mai facile. Quanto più si immagina di afferrarla, tanto più ci sfugge, trascinandoci in contraddizioni e paradossi insolubili che rischiano di rovesciarla nel suo opposto. Se in Kant la libertà è inseparabile dalla Legge, ma anche dal male, per Hegel può sempre scivolare nel Terrore.
Questa è la sua malattia incurabile: se la portiamo fino in fondo, come desideriamo fare, la libertà finisce per autodistruggersi. Il problema è che non si è mal riusciti a conciliare i suoi due versanti, che in inglese corrispondono ai termini liberty e freedom, Mentre con il primo s'intende un'assenza di costrizioni, che però non leda i diritti degli altri, il secondo rimanda a una soddisfazione illimitata dei propri desideri. Queste due nozioni di libertà non hanno mai trovato vera conciliazione. Tuttavia, da qualche tempo anche questo conflitto è alle nostre spalle. Quello che oggi si pone è un interrogativo più profondo, che riguarda la possibilità stessa del libero arbitrio. Che nel nuovo mondo delle neuroscienze e del controllo digitale appare radicalmente in discussione. L'equilibrio tra libertà e determinismo è rotto a favore del secondo. Piuttosto che scegliere, siamo scelti da qualcosa che ci avvolge e ci precede. Anche nell'universo virtuale in cui ci illudiamo di custodire uno spazio libero, si generano forme sempre più opache di dominio sulle coscienze. Del resto nelle profondità dell'inconscio le cose non vanno meglio. Quelle che Freud chiamava libere associazioni - lapsus, sogni, sintomi - non sono nostri prodotti. Certo, possiamo sempre sperimentare traumi che spezzano la catena delle cause. Ma ciò significa che il soggetto è libero solo in presenza di catastrofi, travolto da qualcosa che non riesce a dominare. In realtà quello che viviamo è una sorta di integrale naturalizzazione dell'esperienza. Persino la conoscenza che abbiamo di tale deriva e gli sforzi che facciamo per arrestarla sono necessariamente condizionati dagli strumenti che adoperiamo.
Quanto più immaginiamo di governare i processi automatici, tanto più ne siamo dominati, Prima di assumere una decisione consapevole, i nostri neuroni sono già in moto: non facciamo che prendere nota di quanto già sta accadendo. Quello che è possibile è soltanto bloccare una decisione già presa - dando ragione a chi riduce la libertà alla negazione. Ma anche in questo caso siamo anticipati dal nostri neuroni. Con altro linguaggio Heidegger era arrivato a una conclusione non diversa: le nostre scelte non sono davvero nostre, perché veniamo "gettati" in un orizzonte predefinito. È vero che l'evento rompe l'ordine delle cause, ma non siamo noi a determinarlo. Non possiamo uscire dalla nostra matrice simbolica, visto che tutto ciò che facciamo dipende da essa. Siamo vicini al punto di non ritorno. Fin quando modifichiamo corpo e mente con terapie genetiche, siamo ancora al di qua della soglia d'irreversibilità. Ma se cominciamo a manomettere le proprietà psicologiche e fisiche dei nascituri, la superiamo: più che esseri umani, fabbrichiamo prodotti in serie.
A questo punto, cosa si può fare per conservare almeno una parvenza di libertà? Secondo Habermas dobbiamo porre un limite alla tecnicizzazione, salvaguardando il nocciolo duro della natura umana. Non tutto ciò che si può, si deve fare. Ma in questo modo separiamo definitivamente scienza ed etica, illudendoci di bloccare il progresso scientifico. È allora? Zizek avanza due proposte. La prima, filosofica o teologica, è quella di agire come se fossimo liberi, pur sapendo che non lo siamo. Anche Pascal faceva una scommessa del genere. La seconda proposta, politica, visto che la democrazia liberale non funziona, è quella di pensare in termini di cambiamento radicale. Fallita la logica delle mediazioni, non ci resta che l'eccesso. Come dice Lacan, non cedere sul proprio desiderio. La crisi di un capitalismo incapace di affrontare i quattro cavalieri dell'apocalisse - pandemia, fame, guerra e morte - apre la possibilità di una nuova stagione comunista. Una conclusione su cui è lecito nutrire più che un dubbio.
- Roberto Esposito - Pubblicato su Robinson del 2/9/2023 -
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