Le ricerche di Giorgio Vallortigara, uno degli scienziati italiani più noti a livello internazionale per le sue indagini sui meccanismi neurali della cognizione animale, stanno ridisegnando il confine tra la biologia e il mondo astratto delle speculazioni metafisiche. Ne è un esempio questo saggio affascinante sull’imprinting e l’origine della conoscenza che vede protagonisti i pulcini, oggetto di studi sperimentali condotti per quasi trent’anni in parallelo con quelli sui neonati umani. Tali studi ci mostrano come, prima di qualsiasi esperienza specifica di apprendimento, un pulcino conosca le proprietà meccaniche degli oggetti e sappia che essi non solo occupano un determinato spazio con specifiche proprietà euclidee ma possono essere dotati di certe numerosità, che è in grado di stimare eseguendo in maniera non verbale e non simbolica le quattro operazioni dell’aritmetica. Così, fin dalla schiusa, il pulcino sa ravvisare gli indizi della presenza nel mondo di creature animate, quali un volto o la semovenza, presupposto per la costruzione di un cervello sociale. Alla luce di queste scoperte, la contrapposizione tra eredità e ambiente, natura e cultura appare irrimediabilmente datata. La mente, argomenta Vallortigara, non è una tabula rasa. L’apprendimento dall’esperienza è possibile solo se il sistema nervoso possiede in partenza una struttura atta a favorirlo. Le ricerche sui pulcini corroborano dunque la tesi delle conoscenze innate sintetizzata da Lorenz nell’espressione «l’a priori kantiano è un a posteriori filogenetico». Una sapienza di cui non siamo depositari esclusivi: condividiamo schemi di comportamento, predisposizioni, emozioni, organizzazioni neurali con creature da cui ci dividono trecento milioni di anni di evoluzione. Come i piccoli dell’uomo, anche i «pulcini di Kant» cercano la mamma. Divertono, commuovono e fanno pensare.
(dal risvolto di copertina di: GIORGIO VALLORTIGARA, "Il pulcino di Kant". Illustrazioni di Claudia Losi. ADELPHI, Pagine 171, €20)
Anche il pulcino sa il fatto suo. Vero,Kant?
- di Orazio Labbate -
È un saggio narrativo appassionante, comprensivo di interessanti disegni d’accompagnamento, Il pulcino di Kant. La prosa è di una semplicità che seduce, grazie a una lingua spigliata e svelta. Colpisce, soprattutto, il ritmo entusiastico delle frasi — nette, precise e morbide — che mai ricadono nello sterile didatticismo, anzi suonano delicate come fossero micro-favole scientifiche e metafisiche. Sin dalla prefazione in cui l’autore — Giorgio Vallortigara è docente di Neuroscienze e Cognizione animale all’Università di Trento — spiega i motivi reconditi e umani della scelta del tema oggetto del libro.
Un tema originale e stimolante che vede come protagonisti i pulcini. L’oggetto dell’analisi di Vallortigara ha a che fare, infatti, con l’imprinting su questi cuccioli, in comparazione e, in parallelo, con quello sui neonati umani. Secondo questo studio i pulcini mostrano come, ben prima di qualsiasi tipo di percezione reale dei movimenti attorno, da parte di oggetti animati o meno, conoscano le stesse proprietà meccaniche. In sostanza, riescono a individuare lo spazio occupato da creature in movimento o in semovenza che si animano. Percepiscono gli indizi della loro presenza ambientale. Ciò tenta di dimostrare i presupposti di un cervello sociale in questi piccole creature, di uno schema di apprendimento innato, di ciò che Konrad Lorenz definisce così: «L’a priori kantiano è un a posteriori filogenetico».
«Come nel caso dell’equivalenza fra testa di gallina e testa di faina, siamo alle prese con una predisposizione biologica che non è calibrata sui tratti particolari della specie. I pulcini non sembrano avere una concezione precisa di come debba essere il movimento della chioccia. Ne posseggono piuttosto una sorta di idea generale, uno schema astratto che si riduce al movimento di tipo semirigido, il quale è peraltro comune a tutti i vertebrati: galline, esseri umani, gatti».
Il pulcino di Kant, con uno stile favolistico e discorsivo, per mezzo di una struttura a capitoli fulminante — intervallata dalle ottime illustrazioni di Claudia Losi, a mo’ di schizzo, a sostegno della narrazione — offre un’incursione saggistica di veloce e appassionante consumo. Il lettore è come guidato nel cammino sperimentale e non risente, tuttavia, della base scientifica di cui è imbevuto il libro, semmai si ha l’impressione di accostarsi a un agile libro pop dall’aura metafisica. Per queste eccellenti qualità espositive, il volume di Vallortigara sembra possedere la stessa capacità di sintesi romanzesca dello psicoanalista James Hillman. Lavorano a opere di branca opposta, certo, ma narrano con lo stesso piglio letterario, carico di furore e di felicità di trattazione.
«Il punto non è dimostrare che un qualche barlume di conoscenza è presente in assenza di qualsivoglia esperienza, bensì dimostrare che una certa specifica esperienza è necessaria perché quel barlume di conoscenza si riveli. Considerate un pulcino appena uscito dall’uovo. Certamente interagirà nel suo ambiente con oggetti solidi, ma non soltanto con questi. Ci sono entità nel mondo che non offrono resistenza alla beccata […] Poi ci sono entità assai bizzarre come le ombre, la nebbia o le luci riflesse sulle superfici...»
- Orazio Labbate - Pubblicato su La Lettura del 10/9/2023 -
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