giovedì 26 ottobre 2023

«Filosofi da Poltrona» !!??

Il pensiero e la vita appassionante dei maestri del cosiddetto Pensiero critico o della Scuola di Francoforte: Walter Benjamin, Theodor Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Jurgen Habermas e molte altre figure leggendarie del mondo intellettuale europeo del Novecento. Benestanti di nascita ma in rotta con le proprie famiglie, colti, spesso elitari ma sempre impegnati fino allo stremo nel contrasto a ogni forma di fascismo. Sullo sfondo di questa ampia biografia di gruppo si vede passare l'intero secolo: la Repubblica di Weimar, l'avvento del nazismo, la tragedia della guerra e la Shoah, l'ambiente degli esuli in America, lo stalinismo e i partiti comunisti europei, la Guerra fredda, il Sessantotto e le contestazioni, la caduta del comunismo e l'avvento del postmoderno. Di loro il marxismo duro e puro disse che erano intellettuali da salotto, residenti in un elegante grand hotel affacciato sulle catastrofi del secolo; eppure questo gruppo di filosofi ha saputo negli anni creare un laboratorio intellettuale di insuperata libertà, nel quale sono stati radicalmente messi in discussione temi come la personalità autoritaria, la sessualità, il fascismo, la xenofobia, il consumismo, il dominio delle coscienze, la libertà individuale, la cultura di massa, il dominio della natura e molto altro. Uno spazio di pensiero libero che non ha mai smesso di essere preso di mira da ogni integralismo e da ogni conservatorismo. Stuart Jeffries ordisce in questo libro un denso intreccio di concetti elevati e di storie umanissime, di grandi affermazioni pubbliche e di vizi privati. Un affresco in cui le idee la fanno da padrone, dimostrando la loro straordinaria capacità di illuminare non solo la storia che abbiamo alle spalle, ma il nostro complesso presente.

(dal risvolto di copertina di: Stuart Jeffries, "Grand Hotel Abisso", (traduzione di Bruno Amato) EDT, pp. 536  €26)

La bella vita dei filosofi di Francoforte che volevano fare la rivoluzione vista oceano
- Erano benestanti di nascita, colti, elitari, studiosi del marxismo e oppositori tenaci di ogni forma di fascismo. Una storia della Scuola che voleva cambiare il '900 (con attacchi troppo veementi alla cultura di massa). -
di Simone Regazzoni

«La spia più formidabile della storia»: così Ian Fleming, creatore di James Bond, definì Richard Sorge, ufficiale subalterno del Comintern inviato in Germania nel 1921. Sorge non aveva licenza di uccidere, ma un accesso privilegiato alla biblioteca dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. Se il padre di 007 avesse scritto questa vicenda leggeremmo oggi una pagina inedita nel rapporto tra filosofia e spy story: quella della spia russa che lavora sotto copertura presso la Biblioteca della Scuola di Francoforte. Tutto questo non è accaduto, e ci dobbiamo accontentare della storia, non romanzata, del rivoluzionario Herbert Marcuse, membro della Scuola insieme a Marx Horkheimer e Theodor W. Adorno, che, negli USA, lavorava come analista di intelligence per l'Office od Strategic Service (OSS), il servizio segreto precursore della CIA, come ci racconta Stuart Jeffries nel suo Grand Hotel Abisso. Biografia avventurosa della scuola di Francoforte, pubblicato da poco in Italia da EDT.

Ora, se la Scuola di Francoforte non compare nei romanzi di 007 è forse perché, ci informa Jeffries, la spia del brillante libro di Jeffries che ricostruisce le avventure di un gruppo di filosofi che «anziché portare la rivoluzione in Germania, rivoluzionarono la teoria marxista». Grand Hotel Abisso è la storia di un grande paradosso, quello dei «filosofi da poltrona» che volevano fare la rivoluzione sul piano della teoria. A questo paradosso rimanda il titolo del libro, una citazione del filosofo marxista György Lukács che accusava i colleghi tedeschi di aver preso alloggio in un hotel la cui vista sull'abisso accresceva la gioia di poter godere di pasti consumati negli agi e altri confort. Che ci fosse un fondo di verità nel sarcasmo di Lukács lo dimostrano non solo la villetta che Horkheimer si fece costruire a Pacific Palisades, nel ricco settore occidentale di Los Angeles, tra le Santa Monica Mountains e l'Oceano Pacifico, negli anni dell'esilio americano, ma anche alcuni aneddoti riportati nel libro di Jeffries. Parlando dell'atteggiamento tenuto da Horkheimer negli USA, Jeffries scrive: «Horkheimer si andava scrupolosamente assicurando che il periodico della scuola, laddove possibile, usasse eufemismi al posto di parole che potevano interpretarsi come dimostrazioni delle simpatie politiche dell'Istituto e tradursi in attacchi politici da parte del Paese che lo ospitava». Per questo, al momento della pubblicazione del saggio di Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, le frasi finali del testo vennero modificate e la parola «comunismo» sostituita con «le forze costruttive dell'umanità». Qualcosa di analogo avvenne anni dopo, al momento del ritorno della Scuola in Germania. Nel 1957 Horkheimer allontanò dalla Scuola un giovane e promettente studioso di nome Jürgen Habermas nei cui saggi di ricerca per l'Istituto l'impegno politico era stato espresso con troppa veemenza. Come scrisse Horkheimer in una lettera ad Adorno: «Professioni di fede come queste, espresse nella relazione di una ricerca condotta da un Isituto che ufficialmente vive dei mezzi forniti da questa società carceraria, sono inammissibili». E inammissibili erano anche le contestazioni studentesche all'interno della Scuola, che sfociarono nel Busenattentat, «attentato dei seni»: il 22 aprile 1969 tre studentesse circondarono Adorno in aula, si denudarono il seno e sparsero addosso a Teddy petali di rosa e tulipano, facendolo cadere in una profonda depressione.

Se sul piano della prassi la Scuola di Francoforte si contraddistingue per una sorta di pragmatismo della sopravvivenza costellato di intoppi, sul piano della teoria le cose non sembrano andare meglio. I paralleli tra l'industria di Hollywood e il Terzo Reich, i veementi attacchi contro il cinema e la cultura di massa che non risparmiano nessuno, né Chaplin né Paperino, , più che esempi di lucidità dialettica sembrano reazioni stizzite di filosofi che hanno guadagnato una villetta con vista sul Pacifico ma non il riconoscimento intellettuale negli USA. Solo Walter Benjamin, che peraltro resta un outsider rispetto alla Scuola, e morì suicida a Portbou nel 1940, mostra capacità e profondità di lettura che lo rendono ancora oggi un filosofo attualissimo. C'è però almeno un aspetto della Scuola di Francoforte che può essere salvato: l'idea che lo spazio della cultura in grado di produrre effetti reali sui soggetti non sia solo quello della cultura alta, ma l'insieme di tutti i fenomeni culturali, compresa la cultura di massa. Benché nell'ottica di una critica che spesso manca totalmente di bersaglio, con la Scuola di Francoforte sport, stili di vita, moda, musica, oroscopi, cinema, tv, diventano oggetti degni di interrogazione filosofica. Da qui l'esigenza vitale di multidisciplinarietà della Scuola di Francoforte contrapposta al processo, ancora in atto, di chiusura accademica: «Le università stavano diventando moderne torri di Babele, sempre più divise in facoltà specialistiche popolate da esperti che a malapena parlavano lo stesso linguaggio».

- Simone Regazzoni - Pubblicato su Tutto Libri del 1° luglio 2023 -

1 commento:

Mikhail Necaev ha detto...


"C'è però almeno un aspetto della Scuola di Francoforte che può essere salvato: l'idea che lo spazio della cultura in grado di produrre effetti reali sui soggetti non sia solo quello della cultura alta, ma l'insieme di tutti i fenomeni culturali, compresa la cultura di massa."

I residui delle vecchie ideologie dell'università liberale borghese si banalizzano nel momento in cui scompare la sua base sociale.
E' stato possibile per l'università considerarsi autonoma nell'epoca del capitalismo liberoscambista e del suo stato liberale che le lasciava una certa libertà marginale. Ma di fatto dipendeva strettamente dai bisogni di quel tipo di società: dare a una minoranza privilegiata, quella che studiava, la cultura generale appropriata prima che tornasse a far parte della classe dirigente da cui proveniva. Sono perciò ridicoli i commenti nostalgici , amareggiati perchè le università hanno perduto l'antica funzione di cani da guardia dei futuri padroni, in cambio di quella molto meno nobile di cani da pastore che guidano, secondo i bisogni pianificatori del sistema.