Finalmente la mitica rivoluzione del ’68 raccontata in chiave ironica e... da una donna!
Abbiamo letto centinaia di rievocazioni in tono eroico-celebrativo dei “formidabili” anni Sessanta e Settanta, ma ci pareva sempre che mancasse qualcosa, una grande assenza che determinava opacità e quasi un senso d’irrealtà in quei racconti... Era la voce delle donne a mancare (tranne forse le voci di Lila e Lenù), quell’altra “metà del cielo” che il ’68 l’ha fatto prima tra il ciclostile, la corte di qualche leaderino e maschi che volevano menar le mani, più tardi tra rivolta femminista e gruppi di autocoscienza. In questo romanzo la voce di una ragazza di quei tempi, squillante, ironica, curiosa, ci racconta le fughe da casa, le cotte per i bei rivoluzionari, gli amari risvegli, le botte coi fascisti, le estenuanti e fumose riunioni sulla linea politica, l’“andata” alla classe operaia, il “ritorno” alle intimità “piccolo-borghesi”, le amicizie femminili e le tante altre avventure di quell’epoca comunque straordinaria. Si ride davvero con questo romanzo ma, come si diceva una volta, s’impara pure tantissimo su una storia, un tempo, una rivoluzione di cui si può e si deve ridere senza rinnegarne gli aspetti più belli. A fronte dei cupi deliri brigatisti – con cui troppo spesso si rievoca quell’epoca – fa bene ascoltare la risata liberatrice con cui molte (e molti) accompagnarono quell’assalto al cielo.
(dal risvolto di copertina di: Amedea Pennacchi, Molotov e bigodini. Edizioni E/O pagine 368, €18,50)
Figliola mia, marxista immaginaria
- di Patrizia Viola -
«Dalla sera alla mattina era diventata maoista. Senza pensarci un attimo aveva messo fine a tutte quelle poesie, quel parlare di foglie morte, mal di vivere». Siamo a Latina nel 1969 e Alice, vulcanica liceale protagonista del memoir Molotov e bigodini di Amedea Pennacchi, sogna la lotta al capitalismo e infatti scrive sul diario nel giorno del compleanno: «Sedici anni sono sufficienti per odiare e combattere i padroni». Ormai può avere pensieri da adulta e sottolinea il concetto con un disegnino di falce e martello. L’autrice in quest’originale romanzo di formazione ripercorre la sua gioventù negli anni Settanta. Con una prospettiva molto intima rievoca quei tempi lontani in cui per le ragazze, nelle famiglie un po’ bigotte, le regole sono molto rigide: per le uscite serali c’è il coprifuoco, la minigonna è bandita mentre gli schiaffoni abbondano. Alice, animata da un indomito spirito ribelle, è l’ultima di sette fratelli, la piccola ancora rimasta in famiglia. Le uniche possibilità di fuga le offre la complicità del fratello Marco, nome di fantasia per descrivere il personaggio ispirato al compianto scrittore Antonio Pennacchi. Ai tempi è già andato via di casa, ma ogni tanto torna e racconta qualche bugia per salvare la sorella dal controllo ossessivo dei genitori. Alice soffre e scalpita, per raggiungere la tanto agognata libertà decide di fare come le coetanee: si sposa giovanissima. Prima di finire il liceo, convola con un affascinante rivoluzionario siciliano, di parecchi anni più vecchio di lei. Finalmente fuori casa, passa dal giogo dei genitori a quello del marito, che si rivela anche un po’ manesco. La passione politica li unisce, insieme entrano in Lotta Continua e si trasferiscono a Napoli, Alice si iscrive all’università, fa volantinaggio all’Italsider di Bagnoli e all’Alfasud di Pomigliano d’Arco. Con gli ideali non si mangia: così, tra una manifestazione e l’altra, la ragazza comincia a vendere bigodini elettrici nei rioni più difficili della città. I soldi continuano a scarseggiare e allora le vacanze si fanno in autostop e, per essere coerenti, si visitano i Paesi comunisti. Pennacchi descrive tutto con uno stile vivido e coinvolgente, mentre gli eventi più drammatici di quel periodo rimangono nello sfondo: la strage di piazza Fontana, la morte dell’anarchico Pinelli e quella del commissario Calabresi. Con il passare del tempo, il rapporto con il movimento diventa sempre più difficile, alcune certezze vengono messe in discussione mentre per le ragazze il ruolo subalterno di «angeli del ciclostile» si rivela quantomeno frustrante. È il momento dei primi collettivi femministi, si sperimenta l’autocoscienza, si discute di orgasmo e coppia aperta. Il maschilismo dei compagni, che approfittano della rivoluzione sessuale, viene messo in discussione.
«I leader del Sessantotto, non importava se belli o brutti, erano così popolari e ambiti dalle ragazze che quasi superavano le rock star. Avendo l’imbarazzo della scelta tendevano a scegliere, non si sa come e perché, non solo le più belle del reame che poi, manco farlo apposta, erano anche le più ricche».
- Patrizia Violi - Pubblicato su La Lettura del 25/6/2023 -
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