Ai primi di agosto del 1936 la guerra di Spagna imperversa e Simone Weil, non ancora trentenne, lascia Parigi per arruolarsi nelle Brigate internazionali. La causa dei repubblicani spagnoli che combattono contro i franchisti fa eco ai suoi ideali e lottare al fianco dei compagni giunti in Aragona da ogni parte del mondo per lei è una necessità, un’evidenza, come lo era stato smettere di insegnare in un liceo ed entrare in fabbrica come operaia: «scrivere, pensare e agire sono una sola e medesima cosa». Ma già dopo pochi giorni, durante un’offensiva sulle rive dell’Ebro, Simone si ferisce a una gamba in modo maldestro ma grave e deve abbandonare il campo di battaglia per essere ricoverata nell’ospedale di Sitgès. A fine settembre rientra in Francia assistita dai genitori. Di questa manciata di mesi, per lei decisivi, restano pochi documenti, qualche appunto, alcune fotografie, delle lettere, che Adrien Bosc interroga ridando vita con forza e poesia a quei giorni. Insieme a Simone Weil e ai testimoni diretti, fa parlare i dettagli, i paesaggi, i volti, le piccole storie, i silenzi, mentre solleva la questione più che mai aperta della «guerra giusta»: la stessa che la giovane filosofa porrà al già maturo scrittore Georges Bernanos in una lettera che lui porterà con sé per sempre. La vita di Simone Weil attraversa queste pagine come la testimonianza di uno dei pensieri più luminosi e audaci del Novecento. E la scrittura di Bosc ci restituisce il ritratto vivido di una pensatrice radicale, del suo inesauribile impegno per la libertà.
(dal risvolto di copertina di: Adrien Bosc, "La volontaria". Guanda, 144 pp. €16)
Adrien Bosc: L'Ucraina di Simone Weil
- di Elisabetta Rosaspina -
Primi di agosto 1936. A un paio di settimane dall'alzamento del generale Francisco Franco e dalla rivolta di molti alti gradi militari contro il governo socialista di Francisco Largo Caballero, inviso anche all'Italia fascista e alla Germania nazista, un’esile ragazza francese di 27 anni, dagli occhiali di metallo tondeggianti all’Antonio Gramsci, e dall’aspetto di una mansueta bibliotecaria, arriva sul fronte aragonese della guerra civile, appena cominciata in Spagna. Simone Weil è già una filosofa, un’insegnante, una nota saggista, e non è lì soltanto per documentarsi. È venuta a combattere. «Scrivere, pensare e agire sono una sola e medesima cosa», è il principio che la guida, e che l’ha già guidata a lavorare ai forni delle officine metallurgiche Alsthom e, come fresatrice, alle manifatture Renault. Perché era certa di non poter capire e spiegare la condizione operaia senza averla prima sperimentata. Ai genitori ha detto di non preoccuparsi: «Parto come giornalista». Ma non è vero. Ha lasciato Parigi per arrivare a Barcellona, poi a Saragozza e, magari, da lì riuscire a infiltrarsi oltre le linee nemiche, in Galizia, regione già sotto controllo dei nazionalisti. S’illude di rintracciare, e perfino di liberare, Joaquín Maurín, leader del Partito operaio di Unificazione marxista (Poum), arrestato dai franchisti il giorno della sollevazione e destinato a restare in carcere per dieci anni. Comincia qui, e da una rara istantanea di Simone Weil in tuta blu da operaia ed espadrillas, pronta ad arruolarsi con il fucile in spalla nella colonna internazionale dell’anarchico José Buenaventura Durruti, il racconto dello scrittore ed editore francese Adrien Bosc, La volontaria (Colonne, nella versione originale, tradotta in Italia da Laura Bosio e pubblicata da Guanda), che ricostruisce il mese e mezzo trascorso dalla filosofa in una Spagna sempre più insanguinata e crudele. La permanenza di Simone in prima linea sarà interrotta presto da uno stupido incidente, quando inciamperà in una marmitta di olio bollente, ustionandosi gravemente. Ciò che ha visto e sentito le basterà comunque per inviare due anni dopo una sofferta lettera di condivisione allo scrittore Georges Bernanos che, pur dal campo politicamente opposto, ha affidato al suo libro, I grandi cimiteri sotto la luna, un duro atto d’accusa contro la ferocia della repressione franchista. Vale anche dall’altra parte della barricata: «Si parte come volontari, con idee di sacrificio, e si finisce in una guerra che assomiglia a una guerra di mercenari», testimonia lei, partecipe.
Elisabetta Rosaspina: «Bosc, la lettera di Simone Weil a Bernanos è dunque il punto d’arrivo della storia?»
Adrien Bosc: «No, in realtà per me la lettera è stata il punto di partenza, com’è accaduto anche per gli altri due romanzi che compongono questo ciclo. Sono stati tutt’e tre pensati come altrettante traversate, per un viaggio a rovescio nel tempo. Inizia nel 1949, con Constellation (in italiano Prendere il volo, ndr), l’aereo di Air France precipitato nell’arcipelago delle Azzorre con 48 passeggeri, tra cui il celebre pugile Marcel Cerdan amante di Edith Piaf. Prosegue con Capitaine (La traversata), la storia del viaggio per nave da Marsiglia alla Martinica di trecento profughi, artisti, rifugiati politici, in fuga dalla Seconda guerra mondiale, nel 1941. Anche in questo caso il punto di partenza è un oggetto: una delle immagini scattate a bordo dalla fotografa tedesca Germaine Krull. Nel terzo romanzo si risale al 1936 e alle colonne internazionali in Spagna: ancora una volta una comunità eterogenea di persone si trova riunita dal caso o dall’impegno».
E.R.: «Non si sa se Bernanos abbia risposto a Simone Weil. Lei che cosa pensa?»
A.B.:«Quella lettera mi ha colpito per il suo contenuto: parla della corruzione della forza, della discesa a compromessi con i propri ideali e con la giustizia. Ma la stessa autrice non chiedeva risposta al suo interlocutore. Il fatto straordinario è che sia stata ritrovata ripiegata nel portafogli di Bernanos alla sua morte, il 5 luglio 1948, dieci anni più tardi. Quando anche colei che l’aveva scritta se n’era andata da 5 anni. Si suppone che non abbia avuto risposta, anche se non è certo al cento per cento. In ogni caso Bernanos ha conservato la lettera di Simone su di sé per tutto il tempo che gli è rimasto da vivere. E mi sembra la risposta più bella».
E.R.: «Come si spiega, invece, che al ritorno Simone Weil non abbia raccontato in un libro o in un reportage l’avventura vissuta in Spagna?»
A.B.: «Si può spiegare in vari modi: accelerato da quello civile spagnolo, il conflitto stava diventando mondiale. Inoltre avrebbe rischiato di tradire i suoi compagni, perché la guerra non era ancora finita. È evidente però che quell’esperienza ha influenzato tutta la sua opera successiva, come dimostrano gli articoli, i saggi, le lettere che sono stati raccolti e pubblicati postumi nel dopoguerra da Albert Camus».
E.R.: «Tenne un diario nei 45 giorni, o poco più, trascorsi in Spagna?»
A.B.: «Sì, esistono i suoi carnet, gli appunti che prendeva giorno per giorno. Si tratta però di note molto tecniche e lei decise di non renderle pubbliche per non danneggiare la causa. All’inizio degli anni Quaranta, uscì su una rivista di Marsiglia, “Cahiers du Sud”, il suo saggio sulla guerra, L’Iliade o il poema della forza. È il testo più chiaro su ciò che aveva vissuto».
E.R.: «Pensa che Simone Weil, André Malraux, George Orwell, Ernest Hemingway o John Dos Passos, oggi sarebbero in Ucraina?»
A.B.: «Senza dubbio. Ce ne sono altri, ci sono molti inviati al fronte, come Florence Aubenas. Certo, non sono nei ranghi dei combattenti. Siamo in un’epoca diversa rispetto alla guerra di Spagna. Non ci sono gli stessi ideali anarchici, socialisti e repubblicani. I confini tra i blocchi sono meno netti di allora, quando una repubblica stava per essere rovesciata. Weil partì per partecipare alla creazione d’un ideale e tornò delusa dalla crudeltà della guerra, dall’abbandono degli ideali rivoluzionari, dal tradimento degli anarchici da parte degli stalinisti».
E.R.: «Qual è dunque il modo migliore per un intellettuale di impegnarsi nei conflitti o nelle questioni sociali?»
A.B.: «Non andando a combattere. Basterebbe che gli intellettuali si mostrassero più coerenti con ciò che pensano, dicono, scrivono. Non serve predicare ciò che non si mette in pratica».
E.R.: «Che cosa intende?»
A.B.: «Intendo dire che ci sono specialisti delle petizioni, sui naufragi o sui crimini di guerra, che non adeguano i loro comportamenti quotidiani verso il prossimo a ciò che chiedono con i loro appelli. Con qualche eccezione, naturalmente».
- Intervista pubblicata su La Lettura del 25/6/2023 -
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