Primo cronista antropologico dell’Isola, Sebastiano Aglianò è uno studioso da recuperare per il complesso della sua attività. Anche per evitare che sia ricordato come l’autore di un unico libro, per via dell’originalità del suo saggio d’esordio, “Questa Sicilia” (pubblicato nel 1945 a Siracusa, città natale di Aglianò) e, soprattutto, in forza dell’accoglienza dirompente che quello studio ebbe all’epoca (tra i primi lettori entusiasti ci fu pure Eugenio Montale; sarà poi Sciascia a recuperare il volume). In realtà lo sguardo di Aglianò si allarga presto dalla Sicilia all’Italia, in cerca di un’identità condivisa che egli rintraccerà proprio nella continuità letteraria, da Nord a Sud. Questa lunga indagine si sviluppò in una serie di saggi e interventi dispersi (alcuni dei quali qui per la prima volta allineati insieme), usciti tra gli anni Quaranta e Sessanta. Sono scritti dedicati soprattutto alla Divina Commedia (in particolar modo all’Inferno e al Paradiso), e poi a Ugo Foscolo e Giuseppe Giusti. Lo stile è delicato ed elegante, lo sguardo sempre acuto, capace di cogliere anche le minime increspature della pagina senza mai perdere di vista le questioni principali legate alla poetica e all’ideologia degli autori di volta in volta esaminati. In apertura del volume, la prefazione del curatore Alessandro Cutrona restituisce la figura di uno dei saggisti italiani più originali e umbratili del Novecento.
(dal risvolto di copertina di: Sebastiano Aglianò, "Italiani. Da Dante a Vittorini", Succedeoggi, Pagine 144, 16 euro)
Sebastiano Aglianò: Antropologia della Sicilia
- di Piero Melati -
Il primo "cronista antropologico" italiano, nato a Siracusa nel 1917, morto a Siena nel 1982, era stato l'allievo prediletto di Luigi Russo alla normale di Pisa. Il grande storico della letteratura, il 5 maggio del '42, scrisse a Benedetto Croce di preferirlo a futuri accademici di grido come Giovanni Getto e Walter Binni, allora soltanto suoi compagni di studi. Non aveva ancora occupato la cattedra di letteratura a Siena, dove siederà fin dagli inizi degli anni Settanta, che Sebastiano Aglianò pubblicava già nel 1945, per Rosario Mascali editore, "Cos'è questa Sicilia: saggio di analisi psicologica collettiva”.
Non era un semplice studio, perché troppo letterario; e neppure un romanzo, poiché basato su una ricerca sul campo. Era piuttosto un "ibrido", come si direbbe oggi. Anticipava in qualche modo Il Viaggio in Italia di Guido Piovene (1957) e La linea Gotica di Ottiero Ottieri (1963), due esemplari cronache narrative dell'Italia del tempo. Eugenio Montale e Guido De Ruggiero, nel luglio dello stesso anno, lo rencensiranno quasi all'unisono: finalmente, parlando dell'isola, non c'è più soltanto il sole di Bellini o Verga, il nerofumo di Gentile, i lazzi di Angelo Musco, bensì quei "quarti di nobiltà" che, nel bene e nel male, fanno di questa terra un esempio unico al mondo. Era quasi un'anticipazione dei temi del futuro Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, che uscirà nel 1958. Eppure esplose un pandemonio.
Era la prima volta, infatti, che la Sicilia e i siciliani non venivano trattati con i guanti gialli o, al limite, con massicce dosi di paternalismo e compatimento. Piovvero lettere sui giornali: «Signor Aglianò, se ne vada, ci tolga l'incomodo della sua indesiderabile presenza e faccia presto». Un'altra minacciava ritorsioni: «Non tutti i siciliani sanno sopportare a lungo, e non si può indeterminatamente ignorare un comportamento denigratorio come il suo». Tuttavia, il successo del libro non solo porterà a varie riedizioni, facendone un longseller (Mondadori nel 1950, Corbo e Fiore nell'82 con prefazione di Leonardo Sciascia, Sellerio nel 1996) ma anche a un cauto interessamento di Cesare Pavese per conto di Einaudi: «Vogliamo pubblicarlo, ma solo se nella seconda parte del volume venissero spiegate le ragioni de contenuto della prima». Aglianò si rifiutò di spiegare o modificare alcunché,. Attese, invece, che Ottiero Ottieri, allora capo ufficio stampa in Mondadori, lo presentasse così: «Un saggio di psicologia e sociologia, composto da uno scrittore che ha tutta la sensibilità e la capacità descrittiva, di paesaggi e d'anime, di un romanziere».
Nacque così la prima opera "ibrida" italiana. Una vera e propria inchiesta, ma dove entrava in gioco in maniera preponderante anche il "fattore umano". Il siciliano vi è dipinto come un "eroe impotente" con grandi doti interiori, ma che vive solitario in un'isola "luminosamente asfittica". Aglianò lanciò con questo un nuovo concetto, la "sicilitudine", che tanto influenzerà Sciascia, Consolo, Bufalino e Camilleri. Dovrà arrivare proprio lo scrittore di Racalmuto per infine spiegare: «La Sicilia deve ad Aglianò, patriota senza indulgenze, quello che un uomo deve a un medico della propria anima». Per Sciascia «si sente di toccar finalmente terra. Hanno termine tutte le sfumature, gli stati nebulosi, le incertezze, e subentrano i toni assoluti, essenziali. Si sa che il mare è azzurro, ma in Sicilia è proprio azzurro, senza sottintesi... e i fichi d'india aggrappati alle rupi e le agavi virulente sotto il sole di mezzogiorno scarnificano il pensiero fino ad allucinarlo. Se cercate l'oggettività assoluta, qui è il vostro mondo: non avrete più dubbi e andirivieni spirituali».
Il paesaggio isolano come specchio della condizione umana e oggetto di indagine filosofica. La Sicilia come sogno onirico dell'Italia. Affermazioni impegnative (ma più tardi le troveremo anche in Giuseppe Borgese e nei colori di Renato Guttuso) che confermano le visioni siciliane di Goethe nel suo Viaggio in Italia e sono copia carbone del famoso dialogo tra il principe di Salina e l'inviato piemontese Duvalier nel Gattopardo. Non solo: per Sciascia riguarderebbero perfino il tema del "sublime" indagato dal poeta tedesco settencentesco Friedrich Schiller («sublime come manifestazione del bello fondato sul caos»). Ancora Sciascia: «È una Sicilia che sembra scomparsa sotto le antenne televisive, il parossistico consumismo, la fuga dalle campagne, il disarmo delle zolfare. Sembra, ma non lo è».
Merito de critico Alessandro Cutrona (a cui si deve la definizione di "cronista antropologico") avere esteso il viaggio di Aglianò al resto d'Italia. Cutrone ha curato per l'editrice "Succedeoggi" il volume “Italiani”, che raccoglie gli altri scritti dell'autore siracusano. In apparenza sono testi letterari su Dante, Foscolo, Vittorini. In realtà, è un'altra immersione nel carattere degli italiani da parte di un intellettuale che, con Alessandro Natta e Mario Spinelli, aveva condiviso i gruppi clandestini antifascisti durante il regime, e che era rimasto convinto che in Italia «mentalità arcaica e feudale, camarille e schiavitù morale tardano a scomparire». Per questo «la Sicilia accoglie e riassume le caratteristiche che sono proprie di tutto il Paese, accentuandole e colorendole».
Gli darà ragione un altro guru dei "costumi" nostrani, il regista Pietro Germi, genovese, inventore della "commedia all'italiana". Quando girerà nel 1964 a Sciacca “Sedotta e abbandonata”, ricorda il suo esegeta Lorenzo Catania, dirà: «Credo che in Sicilia siano un po' esasperati quelli che sono i caratteri degli italiani in generale. Oserei dire che la Sicilia è Italia due volte. Insomma, tutti gli italiani sono siciliani e i siciliani lo sono di più, semplicemente».
- Piero Melati - Pubblicato su Robinson il 1° luglio 2023 -
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